Il sei giugno 1861, a neanche tre mesi dalla proclamazione del Regno d’Italia, di cui era stato il primo capo del Governo, si spegneva a Torino, nel palazzo in cui era nato, Camillo Benso conte di Cavour. Avrebbe compiuto cinquantun anni l’agosto successivo. Aveva logorato la sua salute con un’intensa attività politica e lavorativa, che non conosceva orari e limiti, con un’eccessiva golosità alimentare e, soprattutto, il suo fisico era stato minato dalla malaria. Quella terribile malattia lo aveva accomunato ai contadini che la contraevano coltivando il riso nella sua tenuta di Leri, vicino a Vercelli, dove a lungo aveva soggiornato da giovane e dove ancora tornava frequentemente, per fuggire allo stress della politica. L’impulso di Cavour fu decisivo per lo sviluppo della coltura risicola, con opere idriche, utilizzo di concimi e di macchine agricole, ecc., metodi che aveva mutuato dai suoi viaggi europei, che formarono la sua coscienza politica liberale e le sue attitudini all’innovazione.
Sincero costituzionalista e “tifoso” del Parlamento, fu il primo vero capo liberale della politica italiana, anche se era incline ad un certo autoritarismo, quando lo riteneva necessario per raggiungere i suoi scopi politici. Fu il motore della modernizzazione del Regno di Sardegna e l’artefice della sua espansione territoriale. Seppe gestire il processo di indipendenza di vasti territori italiani dall’Austria e il percorso di (parziale) unità nazionale, realizzatosi forse più vorticosamente di quanto avesse previsto e sperato. Purtroppo i suoi successori non furono alla sua altezza e molti problemi legati all’unificazione rimasero irrisolti per lunghi decenni. Del resto, in questi centosessanta anni di unità nazionale sono stati pochi i Presidenti del Consiglio italiani che hanno avuto una così ampia caratura internazionale come lui.

Intimamente credente, ma politicamente laico e liberale, non si può annoverare Cavour tra i “neoguelfi” piemontesi del XIX secolo. I “guelfi” medioevali erano gli antichi patrioti italiani che si opponevano alla tirannia imperiale straniera. A loro, idealmente, si ispirarono gli intellettuali e i politici cattolici che, nell’800, auspicavano l’indipendenza nazionale guidata dall’autorità papale. Tra di loro ricordiamo Napione, Santorre di Santarosa, Balbo, Gioberti e Rosmini (trentino d’origine, ma piemontese di adozione), tanto per citarne alcuni. I decenni seguiti alla Rivoluzione Francese del 1789, con i turbini napoleonici e i tentativi di Restaurazione dello staus quo ante, operati dal Congresso di Vienna del 1815, cioè lo sforzo di riportare indietro le lancette dell’orologio della storia, come se nulla fosse successo, ponevano un limite da superare per raggiungere la modernità. I liberali e la Chiesa cattolica avrebbero potuto varcarlo insieme, ma la realtà fu più complessa e talvolta impossibile. In Piemonte prima e nel prossimo Regno d’Italia poi, le questioni dei cosiddetti “privilegi ecclesiastici” e dei confini territoriali dello Stato Pontificio portarono a lunghe incomprensioni politiche, forse pienamente risolte solo nel secolo successivo. Cavour fece comunque suo il motto “libera Chiesa in libero Stato”, che fu pure di Rosmini, anche se la primogenitura dell’affermazione era del francese Montalembert. In quelle complicate vicende, tra reciproche ritorsioni, fu anche comminata la scomunica a quanti avversarono, in vari modi, antichi diritti della Chiesa, molti dei quali erano ormai superati. Un fervente cattolico come il ministro Pietro di Santa Rosa morì senza conforti religiosi. Cavour, invece, li ebbe, ma il prete che lo assistette fu canonicamente punito. Era quello un mondo che si affacciava al nuovo, con molta fatica, e che subì la prematura scomparsa di uno dei suoi più illuminati protagonisti.
Per chi volesse approfondire l’argomento, suggeriamo la visita (virtuale o effettiva) al rinnovato Memoriale Cavour, il museo dedicato allo statista piemontese, allestito all’interno del Castello di Santena, antico feudo della sua famiglia. E’ stato da poco restaurato ed aperto il 17 marzo scorso, in occasione della festa dell’unità nazionale. L’inaugurazione ufficiale è stata domenica 6 giugno, alla presenza della Autorità, in occasione del centosessantesimo della morte della sua morte. A fare gli onori di casa, nel giardino delle scuderie, Marco Boglione, presidente della Fondazione Cavour e successore di Nerio Nesi, ora presidente onorario. Il suo intervento di ringraziamento a quanti si sono adoperati nell’operazione di restauro del complesso cavourriano, finanziato dal Governo, ha preceduto quello di Giovanni Ghio, presidente dell’Associazione degli Amici del Memoriale e quello di Ugo Baldi, sindaco di Santena che, tra l’altro, ha ricordato come venticinque comuni dell’area chierese-carmagnolese si sono consorziati per la promozione del loro territorio. Sono poi seguiti i saluti dell’assessore regionale Maurizio Marrone e di Chiara Appendino, nella sua duplice veste di sindaco di Torino (città che, per via ereditaria, è la proprietaria del castello e del parco circostante, che si estende per circa ottanta ettari) e della Città Metropolitana. Ha concluso la cerimonia l’intervento di Fabiana Dadone, ministro per le Politiche Giovanili e responsabile della Struttura di Missione del Governo, l’organismo che ha assicurato i fondi per la ristrutturazione del memoriale e della tomba di Cavour. Infine è stato annunziato che l’annuale Premio Cavour, per il 2021, è stato assegnato a Romano Prodi e sarà consegnato il 20 settembre.
Il museo è ora aperto al pubblico su prenotazione e il percorso di visita, che ripercorre la storia della famiglia Benso, quella personale di Camillo e il percorso politico che lo vide protagonista negli anni 1848-1861, alterna opere d’arte, cimeli storici e supporti multimediali. Per saperne di più: www.camillocavour.com.