Vent’anni anni fa l’addio al cardinale Ballestrero

21 giugno 1998 – Ricorre il 20° anniversario della morte del compianto Arcivescovo cardinale Anastasio Alberto Ballestrero, di cui è in corso la causa di beatificazione. Il ricordo dell’Arcivescovo Nosiglia che ha presieduto una Messa di suffragio al Santuario della Consolata

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Il cardinale Ballestrero e il predecessore card. Pellegrino

Il prossimo 21 giugno si compie un ventennio dalla morte del cardinale A. Anastasio Ballestrero (1998) e tale data è occasione per ricordare la sua figura; tuttavia il suo rapporto con la Chiesa che è in Torino risale al 1° agosto 1977, quando Paolo VI che lo apprezzava e lo aveva voluto arcivescovo di Bari lo trasferì alla diocesi della capitale subalpina e al 25 settembre dello stesso anno, data del suo ingresso nell’arcidiocesi.

Cardinale Anastasio Alberto Ballestero

È utile ricordare i divergenti interrogativi che accompagnarono la sua entrata per meglio valutare il quasi unanime consenso, quando nel 1989 lasciò, per raggiunti limiti di età, il ministero episcopale.

Alla maggioranza del clero e del popolo la sua persona era ignota, dato che il personaggio non aveva mai fatto dichiarazioni clamorose e aveva affermato che la prima condizione per bene operare è stare lontano dalle interviste. Di conseguenza ci si chiedeva: Ballestrero, chi è costui?

Gradualmente emersero dei dati, al momento frammentari: è un frate carmelitano scalzo, a 41 anni fu eletto Preposito Generale del suo ordine che aveva ed ha una diffusione mondiale, aveva visitato a ritmo incalzante tutte le case maschili e femminili dell’Ordine in tutto il mondo, impresa mai compiuta prima di lui dai suoi predecessori, prova che godeva di un ottima resistenza alla fatica; aveva partecipato a tutte le sedute del concilio Vaticano II; non aveva alcun titolo accademico, né ecclesiastico né laico, ma aveva frequentato ed era stato accolto a Parigi nel Circolo Culturale promosso da Jacques Maritain ed aveva fondato a Roma il prestigioso Istituto di Spiritualità.

Secondo il mal vezzo, già allora imperante nel mondo cattolico e non solo, anziché partire dalla fede comune ci si chiedeva se fosse un riformista o un conservatore, poiché alcuni, considerato l’indirizzo degli ultimi anni del pontificato di Paolo VI, paventavano, altri auspicavano, un normalizzatore. Destinati gli uni e gli altri ad essere delusi.

I grandi avvenimenti che contrassegnarono il suo servizio alla diocesi di Torino furono le due visite di San Giovanni Paolo II (13 aprile 1980 e 2-4 settembre 1988) e l’ostensione della Sindone (26 agosto – 8 ottobre 1978), con le fondamentali ricerche interdisciplinari condotte da team internazionali, nonché la comunicazione dei risultati dell’analisi sulla Sindone con il 14C (13 ottobbre 1988 )  volute dal papa.

Non possiamo qui rievocare le vicende ordinarie del suo episcopato, per altro in parte ( 1979-1985) onerato dell’assorbente incarico di presidente della Conferenza Episcopale Italiana.

Tra le grandi doti di Ballestrero non c’era l’immediatezza della comunicazione; per temperamento, per auto disciplina mentale, per stile di governo preferiva lavorare con infaticabile fedeltà sui tempi lunghi.

Giunse a Torino negli anni del terrorismo politico, in una città lacerata, in una società, in cui si manifestavano i primi segni della crisi industriale che mettevano in pericolo e avrebbero travolto i risultati economico-sociali raggiunti nei decenni precedenti; nei momenti difficili mai mancò la sua presenza per portare il conforto del Vangelo e le indicazioni della Dottrina Sociale della Chiesa.

All’interno del mondo ecclesiale le tensioni e le crisi di persone, di prassi, di istituzioni secolari erano presenti e talora devastanti. Seppe vedere, pazientare, mediare, attendere, indicare, far pregare, capire le opposte ragioni, senza necessariamente sottoscriverle. Riteneva infatti riduttivo e rovinoso pensare e agire per antitesi e nella pratica di governo preferiva procedere considerando gli aspetti duali delle questioni e delle persone stesse. Con queste convinzioni di fondo operò nel concreto dei rapporti umani, nel promuovere riflessioni, nel prevenire collisioni e si propose di  costruire un clima concreto e credibile di riconciliazione. Per questo motivo il centro della sua attività pastorale fu il Convegno Diocesano: «La Chiesa di Torino sulle strade della Riconciliazione» ( 21-23 settembre 1986 ).

Alcuni critici irriducibili sostennero che la sua «ricetta» era il manzoniano «lenire e sopire».  Di certo la sua superiore intelligenza aveva acquisito e metabolizzato nel sopra ricordato  cursus honorum ai vertici delle strutture ecclesiastiche una raffinata esperienza diplomatico-politica, mai rinnegata, ma nel suo osservare, pensare, dire, argomentare, decidere, pregare, comunicare in privato e in pubblico era preminente la dimensione teologico-spirituale che determinò la sua concezione globale dell’uomo e del suo destino, della Chiesa e della sua missione, della storia e del suo significato e in ultima istanza la sua strategia di governo episcopale. Le convinzioni che ispirarono l’azione quotidiana, culturale, umana, cristiana e pastorale di Ballestrero furono puntualmente analizzate nell’omelia letta dal cardinale Giovanni Saldarini nel funerale del suo predecessore:

– il primato della contemplazione e dello spirituale che non cancellano la concretezza, non si staccano dalla solidità del fondamento teologico, non si sovrappongono all’istituzione, ma tutto vivificano, ispirano, approfondiscono, sintetizzano e fanno diventare saggezza;

– il senso della Chiesa, come copia imperfetta ma reale della comunione trinitaria, da realizzarsi a livello locale e universale con la conseguente priorità della comunione ecclesiale;

– la fedeltà al Concilio, come nodo centrale dell’ispirazione pastorale con fedeltà «ai testi del Vaticano II, non ai discorsi attorno al Concilio»;

– la ricerca dell’essenziale che genera la libertà dello spirito;

– la costante attenzione alla dimensione escatologica, non come fuga dal reale, ma come criterio per valutarlo, mettendoci, per quanto è a noi possibile, dalla parte di Dio.

Il quadro sopra tracciato è complesso, ha richiesto di moltiplicare aggettivi e verbi, per evitare riduttive semplificazioni.

Ballestrero sintetizzò in un motto quanto si è cercato di descrivere con molte parole: «amare… ho amato».

Agli interrogativi dell’esordio episcopale a Torino la vita e l’azione di Ballestrero offrirono una bella e impegnativa risposta.

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