Gli eroici vescovi piemontesi della Resistenza salvano ebrei e partigiani, paesi e comunità, obbedendo al duplice amore per Dio e per l’uomo.
Maurilio Fossati (1876-1965), arcivescovo di Torino
Nell’aiuto agli ebrei e ai partigiani, con l’arcivescovo di Torino, «defensor civitatis», collabora il segretario mons. Vincenzo Barale. Scrive lo storico don Giuseppe Tuninetti: «Nei confronti del fascismo Fossati tenne la schiena diritta: non fu mai servile e all’occorrenza protestò contro prepotenze e violenze fasciste. Il regime volle punirlo arrestando il segretario. Non c’è comunità parrocchiale della diocesi di Torino che non abbia offerto soccorso agli ebrei. La parola d’ordine di Pio XII era aiutare e salvare gli ebrei. Fossati la fece propria, avvalendosi di tutti gli strumenti, a cominciare dal segretario Barale». Non potendo arrestare il cardinale, il 3 agosto 1944 la polizia fascista preleva il segretario, lo chiude in via Asti, poi nel braccio tedesco delle «Nuove», infine nel domicilio coatto dell’Istituto Sacra Famiglia a Cesano Boscone (Milano). Lo salva dal «lager» il cardinale arcivescovo di Milano Alfonso Ildebrando Schuster. Nel 1955 l’Unione delle comunità israelitiche italiane gli conferisce la medaglia d’oro: «Accolse e protesse gli ebrei che nelle persecuzioni si rivolsero a lui. Attraverso inenarrabili pericoli trasse a salvamento, nascondendo o facilitando l’espatrio, singoli e famiglie. Nemmeno in carcere interruppe la sua attività instancabile, illuminata dalla fede».
Michele Pellegrino (1903-1986), futuro arcivescovo di Torino
A Fossano insegna in Seminario, dirige il settimanale diocesano «La Fedeltà», è vicario generale. In rotta di collisione con il nazifascismo, a un prete che va cappellano dei partigiani intima: «Non toccherai un’arma e assisterai tutti». Lo chiamano per il funerale a un aviatore inglese caduto. Il federale: «Lasci stare quel cane». «Davanti a Dio e alla morte siamo tutti uguali». Nel suo archivio c’è la «Relazione delle trattative effettuate per lo scambio di ostaggi fra le Brigate nere “Novara” e “Cremona” e i partigiani» (agosto 1944). Nella primavera 1945 prepara alla Pasqua i partigiani di Giustizia e libertà. Suggerisce a don Piero Giacobbo, viceparroco a Bra, di seguire i giovani dell’oratorio che vanno partigiani.
Umberto Rossi (1879-1952), vescovo di Asti
Nativo di Casorzo, vescovo di Asti, durante la Seconda guerra mondiale si adopera per liberare gli ostaggi e per salvare i condannati a morte. Si offre al comando tedesco di Bra e salva 24 ostaggi. Salva i paesi di Baldichieri, Calliano, Castello di Annone, Grana, Mombercelli, Montafia, Portacomaro, Rocchetta Tanaro, Scurzolengo. Rischia la vita per l’esplosione di una bomba.
Egidio Luigi Lanzo (1885-1973), vescovo di Saluzzo
Nel Piemonte esposto alla prepotenza nazifascista e alle azioni partigiane, opera con pazienza e coraggio al di sopra dei contendenti, media e salva i prigionieri nel castello di Scarnafigi. I nazisti compiono deportazioni, esecuzioni, depredazioni, ostaggi, stupri; mettono a ferro e fuoco Arresti, Barge, Cartignano, Ceretto, Dronero Martiniana, Paesana, Rossana, San Damiano Macra, Sanfront, Venasca, Villar Bagnolo. Confessa: «Sono mesi di trepidazione, minacce e pericoli. Gli angosciosi fatti che turbarono la vita della diocesi si ripercossero nell’animo mio con ferita straziante. Vi scongiuro, per la carità di Gesù Cristo, a non aggravare oltre la delicata situazione, con atteggiamenti inconsulti o azioni imprudenti. Raccolgo le lacrime dei sofferenti e le offro a Dio in espiazione per questa povera umanità provata da tante sventure, imploro per i defunti pace e riposo in Cristo». Quando il suo intervento è insufficiente, ricorre al cardinal Fossati e salva dalla fucilazione sacerdoti e laici.
Luigi Maria Grassi (1887-1948), vescovo di Alba
È «buon soldato di Cristo». In «La tortura di Alba e dell’Albese (settembre 1943-aprile 1945). Ricordi personali» appare decisamente avverso alla Repubblica di Salò mentre la Resistenza nelle Langhe si organizza. Fronteggia le ingerenze dei fascisti, degli occupanti tedeschi, dei resistenti partigiani. Interviene per ottenere lo scambio di ostaggi, scongiurare rappresaglie, nascondere i ricercati, liberare gli imprigionati. Il 10 settembre 1943 favorisce la liberazione dei soldati italiani del presidio, già rinchiusi nei carri bestiame diretti allo sterminio in Germania. Nel luglio 1944 media lo scambio di prigionieri fra nazisti e partigiani. Il 10 ottobre 1944 i nazifascisti, con la sua mediazione, abbandonano Alba senza spargimento di sangue. Decisiva, nel novembre 1944, la difesa della città evacuata dai partigiani che l’avevano liberata dai nazifascisti. Mette più volte a repentaglio la vita. Conclude: «Voglia Iddio che gli uomini si pongano bene in mente che tanti dolori sarebbero stati evitati se essi fossero stati docili a Dio e alla sua legge e che infischiarsene vuol dire portare al suicidio gli uomini e le nazioni».
Giacomo Leone Ossola (1887- 1951), vescovo di Novara
Nei 18 mesi di occupazione nazifascista conquista la stima della popolazione e la fiducia del forte movimento partigiano. I «repubblichini» lo minacciano, sabotano la sua auto costringendolo all’inattività. Lo chiamano «vescovo dei partigiani» che riconoscono la sua infaticabile mediazione per salvare vite umane e paesi. Fondamentale il contributo nelle trattative per la resa dei nazifascisti nella liberazione di Novara il 26 aprile 1945. La città lo proclama «Defensor civitatis».
Giuseppe Angrisani (1894-1978), vescovo di Casale Monferrato
«La notizia della feroce esecuzione compiuta dai tedeschi del parroco di Villadeati e di nove parrocchiani mi trapassò il cuore come una lama di coltello. Non potevo credere che si fosse compiuta tanta barbarie. Con il cuore sanguinante mi presentai al comando tedesco di Casale, senza chiedere udienze, perché pochi giorni prima mi era stata villanamente negata. Entravo là dentro come un accusato. Gente nostra, dimentica di essere italiana e cristiana, unicamente guidata da astio, mi aveva dipinto al maggiore tedesco come capo dei partigiani del Monferrato. Dio sa se meritavo tale appellativo. La mia preoccupazione fu una sola: salvare il mio popolo, essere e mostrarmi padre di tutti, senza distinzione». Il torinese Giuseppe Angrisani per tutta la vita è sempre e solo pastore. Dice al maggiore tedesco Mayer: «Ho saputo la triste notizia, che mi avete mitragliato in piazza il parroco di Villadeati con nove capi famiglia. Vengo a domandarvi che delitto hanno commesso». «Quel paese era tutto per i partigiani. Il parroco era sempre con i capi dei partigiani». «Smentii recisamente l’accusa, provando che il parroco non aveva avuto altra relazione con i partigiani che di ministero sacerdotale, essendo stato chiamato a dare i conforti religiosi ad alcuni che dovevano essere giustiziati. Aggiunsi che il parroco aveva chiesto che fosse salva la vita a quei disgraziati. La conversazione si prolungò per un’ora e mezza, aspra, con momenti di drammaticità violenta. Nell’andarmene, dissi: “Noi, davanti a voi, siamo dei poveri schiavi e potete fare di noi quello che volete. Ma ricordatevi che c’è un Dio al di sopra di tutti e che a Lui dovrete rendere conto di tutto”».