25 aprile, la “resistenza” del Vescovo Leone Ossola che salvò Novara

25-26 aprile 1945 – Fondamentale il con­tributo del Vescovo Giacomo Leone Ossola (1887-1951) nelle trattative per la resa dei nazifa­scisti durante la liberazione di Novara. Nella notte del 25-26 aprile i partigiani accerchiano la città e incaricano il vescovo di mediare: convince la Wermacht a rimanere nelle caserme, i fascisti a non uscire dai loro acquartieramenti, i partigiani a evitare ogni violenza. E Novara fu salva…

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Il Vescovo Leone Ossola a Novara

Giacomo Leone, nato il 12 maggio 1887 da modesta famiglia di la­voratori a Vallo di Caluso (Torino, diocesi di Ivrea), orfano di padre è colpito da paralisi infantile, ne guarisce ma con il braccio destro più piccolo. Entra tra i Cappuccini per diventare «frate con la barba»: emette i voti e diventa frate Leone da Caluso, nome adatto alla  personalità. Sacerdote nel 1909 a Torino, dotato di grande intelligenza, si laurea in Lettere e «Utroque iure» a Sant’Apollinare di Roma, frequentato da Angelo Giuseppe Roncalli (Giovanni XXIII) e ha come insegnante Eugenio Pacelli (Pio XII). Per dieni anni insegna in provincia di Cuneo. Nel 1919 è chiamato alla Curia generalizia di Roma: intreccia rapporti con gerarchi fascisti, amicizie utili quando sarà in Africa.

Dal 1922 per 15 anni è parroco di San Lorenzo fuori le mura al Verano, parrocchia povera, 50 mila abitanti in un’area vastissima dell’Agro romano in indicibile degrado: padre Leone, «missionario urbano», istituisce la «mensa del venerdì» e il «sabato del disoccupato» con distribuzione di vestiario. Insiste con Mussolini per il risanamento.

Nel 1937 Pio XI lo nomina vescovo di Salona (Grecia) e vicario apostolico di Harar in Etiopia: «Vai a continuare in Africa quello che hai fatto a Roma». È accolto dall’esercito e da pochi civili italiani. In 5 anni riorganizza quasi da zero la Chiesa; si muove con semplicità e accortezza, un ministero basato sulle relazioni umane e sulla costruzione di opere, grazie ai fi­nanziamenti del regime: chiese, orfanotrofio, asili, scuole, seminario, lebbrosario, ambulatori, tipografia, monastero per le indigene Oblate di San Francesco. Forma il clero indigeno; aiuta senza distinzioni italiani ed etiopi; protesta vigorosamente contro il licenzioso comportamento delle truppe di occupazione verso la popolazione indigena. Sconfitta l’Italia a El-Alamein e finito il dominio coloniale, trasforma il vicariato in centro di accoglienza e sostegno. Con l’aiuto di preti e suore, assiste i bisognosi e organizza centri di raccolta e distribuzione di acqua, cibo, farmaci e beni di prima necessità. I lavoratori italiani, sottoposti all’amministrazione britannica, affidano i loro risparmi al vescovo. Tornato in Italia, gira la Penisola per consegnare il denaro alle famiglie fino all’ultimo centesimo.

Alla morte di mons. Giuseppe Castelli, il 19 ottobre 1943 Pio XII lo chiama a reggere la diocesi di Novara. La situazione dopo l’8 settembre consiglia la nomina ad amministratore apostolico che evita il giu­ramento alla Repubblica Socia­le. Entra l’8 dicembre 1943, festa dell’Immacolata con un memorabile discorso: vieta ricevimenti e feste. Accolto con freddezza, nei 18 mesi di occupazione nazifascista, conquista la fiducia e la stima del­la popolazione e del sempre più for­te movimento partigiano che lo crede un interlocutore imparziale e giusto. Gli aguzzini nazifascisti più volte lo minacciano e lo costringono all’inattività con un attentato all’auto. «Vescovo dei partigiani» che riconoscono la sua mediazione per sal­vare vite umane e paesi e per soccorrere la popolazione. Emblematica la visita a Borgosesia, provata dall’uccisione di dieci civili. Nella prima lettera pastorale i verbi più ricorrenti sono «svegliarsi e cambiare. Svegliarsi e ritrovare noi stessi e orientarci verso il nuovo avvenire che dobbiamo costruire, non secondo gli umani programmi, tutti falliti; non secondo le teorie nuove ideologie fallaci, ma secondo gli insegnamenti infallibili del Vangelo: “Amatevi scambievolmente e perdonatevi l’un l’altro”».

«Vox clamantis» le sue esortazioni. Al programma dell’Azione Cattolica (preghiera, azione, sacrificio), unisce la devozione a Eucaristia, Madonna, Papa «perché è l’ora delle misericordie di Dio, della sopraffazione delle tenebre e della più assoluta necessita della luce di Dio, degli imprigionamenti e degli oscuramenti, l’ora della libertà dei figli di Dio». Intraprende un’intensa mediazione tra i combattenti. Quando i nazifascisti decidono per rappresaglia di incendiare Quarona e Roccapietra riesce a farli desistere e i due paesi si salvano. Gira a raccogliere e distribuire beni di prima necessita. Il 24 ottobre 1944 i fascisti fucilano sette partigiani lasciandoli sulla piazza: interviene per dare loro sepoltura ma non ci sono soldi per acquistare le bare, mette in vendita l’anello vescovile. Per i novaresi ancora internati organizza l’invio di pacchi confezionati dalle famiglie. Nella primavera 1945 trasferisce la preparazione della Pasqua dalle chiese alle fabbriche accostando donne e uomini «lontani».

Fondamentale il con­tributo nelle trattative per la resa dei nazifa­scisti durante la liberazione di Novara. Nella notte del 25-26 aprile i partigiani accerchiano la città e incaricano il vescovo di mediare. Il rischio è che gli Alleati bombardino e che scoppi una battaglia casa per casa. Convince la Wermacht a rimanere nelle caserme, i fascisti a non uscire dai loro acquartieramenti, i partigiani a evitare ogni violenza. E Novara fu salva. Nel periodo di riappacificazione, il vescovo resta in prima linea. Saputo che i partigiani vogliono far sfilare nude le ausiliarie prigioniere, minaccia di sfilare anche lui nudo: recedono. Riesce a «rifocillare, ripulire e rivestire í reduci, ex prigionieri militari e di ex-internati, che rientrano con un aspetto presentabile». Padre dei partigiani e dei fascisti, quando comandavano i fascisti, in vescovado trovavano rifugio i partigiani; a guerra finita accoglie e difende i fascisti. Il federale minaccia di tagliargli la barba per metterla sul suo tavolo: il vescovo la tagliò e gliela mandò.

Per questi meriti Novara lo proclama «Defensor civitatis» e gli conferisce la cittadinanza onoraria. Il 9 settem­bre 1945 è nominato vescovo. Malato, può seguire solo parzialmente le vicende dopo la Liberazione. Nel 1947 all’arrivo dei profughi dalla Venezia Giulia il vescovo Leone si interessa all’integrazione e il l° novembre 103 bambini profughi si accostano alla prima Comunione e alla Cresima accompagnati da padrini e madrine novaresi. Il 12 giugno 1951 rinuncia alla sede vescovile ed è nominato arcivesco­vo titolare di Geropoli di Frigia in Siria. Si spegne a Brescia il 17 ottobre 1951 a 64 anni.

Il riconoscimento di un partigiano e comunista doc. «Era il vescovo della povera gente, dei diseredati, di coloro che sudano fatica e dolore e soffrono. Per questo ci era particolarmente caro». Sono le parole pronunciate in Consiglio comunale il 25 ottobre 1951 da Cino Moscatelli, comandante partigiano delle Brigate Garibaldi, sindaco comunista. E dire che mons. Ossola con il Pci non fu affatto tenero. Per il 18 aprile 1948 scrive sulla «Rivista diocesana»: «Il marxismo ha ingaggiato una lotta aperta contro la Chiesa. È grave dovere di ogni cristiano ricordare queste segnalazioni mentre compie il dovere civico del voto. O si è cattolici e non si può essere comunisti, o si è comunisti e non si può essere cattolici».

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