
Sergio Mattarella da Aushwitz in terra polacca a Cuneo, Borgo San Dalmazzo e Boves, triangolo dell’orrore nazifascista e della Resistenza nella Provincia Granda.
Il 18 aprile, nella seconda giornata della visita in Polonia, il capo dello Stato ricorda le vittime dell’Olocausto. Ci sono migliaia di studenti da ogni parte del mondo, anche tre scuole superiori italiane; anche le sorelle Bucci, tra le poche testimoni ancora in vita dell’Olocausto.
«Rendiamo omaggio e facciamo memoria – dice il presidente della Repubblica – dei milioni di cittadini assassinati da un regime sanguinario come quello nazista che, con la complicità dei regimi fascisti europei che consegnarono propri concittadini ai carnefici, si macchiò di un crimine atroce contro l’umanità, un crimine che non può conoscere né oblio né perdono. Ricordare è dimensione di impegno; è dimostrazione che, contro gli araldi dell’oblio, la memoria vince, per ribadire “mai più”. L’odio, il pregiudizio, il razzismo, l’estremismo e l’indifferenza, il delirio e la volontà di potenza sono in agguato, sfidano in permanenza la coscienza delle persone e dei popoli».
Prima Cuneo, poi Borgo San Dalmazzo e infine Boves: sono le tre città in cui sosta Mattarella martedì 25 aprile per festeggiare il 78° della Liberazione. Tre luoghi simbolo della Resistenza in Italia. In mattinata partecipa, come sempre, alle celebrazioni all’altare della Patria a Roma; poi decollerà per Levaldigi e alle 11 sarà a Cuneo prima al parco della Resistenza e poi al «Teatro Toselli», per la cerimonia commemorativa ufficiale. Potrebbe esserci anche una visita privata al «Museo-Casa Galimberti»: dal balcone di casa sua l’eroe nazionale Tancredi (Duccio) Galimberti pronunciò lo storico discorso: «La guerra continua fino alla cacciata dell’ultimo tedesco». Il 26 luglio Cuneo ricorderà l’80° di questo storico discorso dalla propria abitazione che si affaccia sulla piazza e che è considerato di fatto una dichiarazione di guerra ai tedeschi. Galimberti fu ucciso dalle bande fasciste il 3 dicembre 1944 a Centallo: per il suo sacrificio e per quello di tanti che parteciparono alla lotta partigiana sulle montagne, Cuneo è stata insignita della medaglia d’oro al valor militare il 1° agosto 1947.
Alle 15,30 il presidente sarà a Borgo San Dalmazzo al «Memoriale della deportazione» e visiterà il «Museo Memo4345», dedicato agli ebrei deportati da Borgo tra il 1943 e il 1944. Il 21 novembre 1943 furono ammassate sul piazzale della stazione ferroviaria 329 persone, uomini, donne, bambini: ammassati sui carri bestiame, furono condotti prima al campo di Drancy, presso Parigi e poi ad Auschwitz, dove 311 di loro furono uccisi. Erano ebrei stranieri, in fuga dalla Francia, rinchiusi da due mesi nel campo di concentramento allestito a Borgo. Il 15 febbraio 1944, altri 26 ebrei furono deportati da questa stazione, diretti a Fossoli e poi Auschwitz o Buchenwald. Solo due di loro sopravvissero. Nel 2000 Borgo San Dalmazzo ha ricevuto la medaglia d’oro al merito civile per l’aiuto offerto agli ebrei.
Poi a Boves, al «Monumento alla Resistenza» di piazza Italia. Il prossimo 19 settembre la città martire ricorderà gli 80 anni dell’eccidio, uno dei più crudeli in Italia compiuto dai nazifascisti, che misero a ferro e fuoco la città. Bruciarono 350 abitazioni e morirono 25 persone, tra cui don Giuseppe Bernardi e don Mario Ghibaudo che danno la vita per salvare la popolazione. L’8 settembre 1943 si firma l’armistizio. Vittorio Emanuele III, il generale Pietro Badoglio e i vertici militari scappano a Brindisi. L’ex alleato germanico, con il voltafaccia dell’Italia, ora è il nemico. I partigiani combattono contro i nazifascisti per la libertà e la democrazia. Giovedì 16 settembre 1943 il maggiore delle SS Joachim Peiper piomba a Boves, raduna gli uomini e abbaia la minaccia: «I ribelli nascosti sulle montagne si consegnino o Boves sarà distrutta». Punta il cannone e spara contro i monti verso il santuario Sant’Antonio e colpisce la statua del santo. La sera del 19 settembre 1943 tutta Boves brucia: un orrendo rogo e 24 assassinati, tra cui il parroco Bernardi, 46 anni, e il viceparroco Ghibaudo, 23 anni, che vengono beatificati a Boves il 16 ottobre 2022, dal cardinale Marcello Semeraro. I sopravvissuti, allora ragazzini, ricordano i due preti che portano in salvo più persone possibile, fanno fuggire bambini e anziani, benedicono e assolvono la gente che corre impazzita per le strade.
La destra di governo diserta le celebrazioni del 25 aprile. Giorgia Meloni andrà solo all’altare della Patria con il capo dello Stato. Nessun appuntamento per Ignazio La Russa. Nella Granda va il ministro della Difesa Guido Crosetto, nato a Cuneo nel 1963. La prima festa della Liberazione per la destra post-fascista, per la prima volta al governo in Italia, è un banco di prova. In questi mesi, di errori marchiani sull’antifascismo, parola mai pronunciata, ne ha fatti più di uno. Il più grossolano è del presidente del Senato Ignazio La Russa. «Via Rasella è stata una pagina tutt’altro che nobile della Resistenza, quelli uccisi furono una banda musicale di semi-pensionati, e non nazisti delle SS, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia su cittadini romani, antifascisti e non»: dice la seconda carica dello Stato a «Terraverso», podcast di «Libero», scatenando la reazione delle partiti di opposizioni, le proteste dei partigiani e le precisazioni degli storici. «Parole indecenti, inaccettabili per il ruolo che ricopre», replica Elly Schlein, segretaria del Pd; caustico Carlo Calenda: «Sono ammirato dalla determinazione con cui La Russa riesce a dimostrare ogni giorno la sua inadeguatezza come presidente del Senato». Il presidente nazionale dell’Anpi, Gianfranco Pagliarulo: La Russa dovrebbe avere «la coscienza delle dimissioni da presidente del Senato perché è palesemente inadeguato al ruolo». «È stata una sgrammaticatura istituzionale» commenta la ineffabile Meloni.