L’Aids esiste ancora

Torino – L’associazione Casa Giobbe segnala ogni giorno in Piemonte un nuovo infetto di Hiv. Un convegno promosso dal coordinamento nazionale delle Case alloggio per persone con Hiv/Aids ha inviato a non abbassare la guardia sul rischio del contagio. I farmaci evitano la malattia, ma è decisiva la prevenzione fra i giovani

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Un contagio di Hiv al giorno in Piemonte. Un dato che invita a non abbassare la guardia e «a far finta di nulla» su una malattia che fra gli anni Ottanta e Novanta, come epidemia globale, ha causato milioni di morti in tutto il mondo, e che è ancora presente. L’appello è stato lanciato al convegno nazionale del coordinamento italiano delle Case alloggio (Cica) per persone con Hiv/Aids che si è tenuto dal 10 al 12 maggio a Torino, presso Cascina Roccafranca, organizzato dall’associazione torinese Casa Giobbe, nata nel 1990 su impulso della diocesi di Torino, con l’allora Arcivescovo cardinale Giovanni Saldarini, per offrire accoglienza e sostegno ai malati di Aids e alle persone con Hiv.

La rete delle Case alloggio in tutta Italia conta 42 strutture, la maggior parte di ispirazione cattolica, che quotidianamente, oltre a prendersi cura degli oltre 600 pazienti colpiti da Aids, promuove iniziative di formazione, prevenzione e ricerca, legate al virus.

«Nonostante gli obiettivi posti dall’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) di debellare la malattia entro il 2030», sottolinea Giuliano De Santis, medico, presidente dell’associazione Giobbe, «questa non sparirà a breve anzi, anche a causa della pandemia di Covid-19, rimane una patologia subdola di cui si parla troppo poco e per questo è alto il rischio di nuove infezioni».

Casa Giobbe a Grugliasco

Il convegno ha inteso lanciare delle sfide nella lotta al virus non solo dal punto di vista sanitario, ma anche sociale e culturale.

«La sfida più impegnativa delle Case alloggio», evidenzia Marco Peretti, medico, vicepresidente di Casa Giobbe, «è proprio quella di riprogettare un percorso di vita per gli ospiti seguiti nelle strutture e a domicilio».

Casa Giobbe, che ha sede a Grugliasco (via Moncalieri 79) presso un immobile concesso in comodato dalla parrocchia Spirito Santo, negli anni Novanta accoglieva persone malate con un’aspettativa di vita di pochi mesi, al massimo un anno.

«La sfida oggi», prosegue Peretti, «grazie alle terapie antiretrovirali che hanno aumentato di gran lunga l’aspettativa di vita (paragonabile a quella della popolazione generale, ndr), è passata dall’accompagnare alla morte a condurre a vivere, tenendo presente le diverse fragilità sociali e le storie che le persone hanno alle spalle: tossicodipendenza, prostituzione, periodi di detenzione, vissuti familiari difficili, …, oltre al sentirsi, ancora oggi, emarginati. Si cerca dunque di accompagnare verso la riconquista di un’autonomia personale a tutti i livelli».

Sì, perché lo stigma continua ad esistere. «Le reazioni alla notizia della sieropositività di una persona», sottolinea il vicepresidente di Casa Giobbe, «sono tutt’ora profonde e irrazionali e contribuiscono ad isolare chi è in Hiv anziché aiutarlo, ed ecco l’importanza di una rete come quella offerta dalle Case alloggio che creano legami di auto mutuo aiuto».

Oggi Casa Giobbe ospita 10 persone, che a breve diventeranno 11, mentre altre 27 sono seguite a domicilio.

L’incontro ha poi lanciato l’allarme sullo scarso grado di prevenzione al contagio. «Il problema più grave degli ultimi anni è legato alle diagnosi tardive», osserva Peretti, «questo avviene anche perché di Hiv si parla poco, e sempre meno: è fondamentale ribadire a tutti i livelli, dai ragazzi agli adulti, quali sono i comportamenti a rischio e l’importanza di sottoporsi precocemente al test dell’Hiv per scoprire la malattia in una fase estremamente precoce, quando, grazie alle terapie, è possibile condurre una buona qualità di vita».

Mons. Marco Brunetti, Vescovo di Alba e delelgato Cep per la Pastorale della Salute

Mons. Marco Brunetti, Vescovo di Alba, delegato della Conferenza episcopale piemontese per la Pastorale della Salute, già vicepresidente di Casa Giobbe per numerosi anni, ha messo al centro l’importanza delle comunità come le Case alloggio «che, grazie ad un clima di famiglia, permettono alle persone di affrontare le difficoltà contro l’isolamento, e di poter condurre una vita di qualità». «Allo stesso tempo», evidenzia, «è fondamentale il sostegno del volontariato, che si sta affievolendo, come risposta concreta, di presa in carico e di cura integrale, oltre alle terapie». «C’è poi il rischio», prosegue, «che il tema della prevenzione del contagio venga messo in ombra, che non se ne parli più come se il problema non esistesse; questo genera risvolti negativi anche da un punto di vista culturale, perché da una parte è fondamentale mettere al centro l’importanza di stili di vita che evitino di contrarre il virus e dall’altra favorire una mentalità di presa in carico olistica delle persone contro l’emarginazione o la cultura dello scarto».

Giancarlo Orofino, medico infettivologo, responsabile dell’assistenza domiciliare all’ospedale Amedeo di Savoia di Torino, ha auspicato un potenziamento della medicina territoriale per un accompagnamento a 360 gradi dei pazienti, grazie a infermieri, oss e medici di medicina generale.

L’antropologo Felice Di Lernia ha espresso la centralità di una progettualità e di una visione di futuro che la società, a maggior ragione dopo il Covid, sta sempre più perdendo. Una progettualità di vita che diventa fondamentale per le persone con Hiv/Aids.

Al convegno sono intervenuti anche l’assessore regionale alle Politiche sociali Maurizio Marrone e l’assessore al Welfare della Città di Torino Jacopo Rosatelli che ha parlato del progetto «Fast Track»: nato da un accordo tra il Comune e diverse associazioni, fra cui Casa Giobbe, mette in campo una serie di azioni per combattere il contagio, fra cui la somministrazione del test rapido in luoghi di vita quotidiana, come per esempio l’aula studio gestita dall’associazione Comala in corso Ferrucci a Torino.

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