40 anni fa moriva mons. Angrisani, Vescovo nella Seconda guerra mondiale

Quarant’anni fa a Buttigliera d’Asti moriva uno dei grandi vescovi della seconda guerra mondiale, il torinese Giuseppe Angrisani per trent’anni vescovo di Casale Monferrato

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Mons. Giuseppe Angrisani

«La notizia della feroce esecuzione compiuta dai tedeschi del parroco di Villadeati e di nove parrocchiani mi trapassò il cuore come una lama di coltello. Non potevo credere che si fosse compiuta tanta barbarie. Con il cuore sanguinante mi presentai al comando tedesco di Casale, senza chiedere udienze, perché pochi giorni prima mi era stata villanamente negata. Entravo là dentro come un accusato. Gente nostra, dimentica di essere italiana e cristiana, unicamente guidata da astio, mi aveva dipinto al maggiore tedesco come capo dei partigiani del Monferrato. Dio sa se meritavo tale appellativo. Durante il calvario dell’occupazione tedesca, la mia preoccupazione fu una sola: salvare il mio popolo, essere e mostrarmi padre di tutti, senza distinzione».

Quarant’anni fa a Buttigliera d’Asti moriva uno dei grandi vescovi della seconda guerra, il torinese Giuseppe Angrisani per trent’anni vescovo di Casale Monferrato.

Giuseppe nasce a Buttigliera d’Asti il 19 dicembre 1894, da Bartolomeo e Maria Chiovra, famiglia di modeste condizioni. La zia Angela, maestra elementare, lo incoraggia a studiare: è allievo a Valdocco e poi nei Seminari di Bra, Chieri, Metropolitano di Torino. Nella Grande Guerra è caporale di Sanità: ad Alessandria assiste i feriti nello scoppio della Cittadella; e poi Modena. Laureato in Teologia il 15 novembre 1916 nella Facoltà Teologica, è ordinato prete il 20 dicembre 1919 dal vescovo ausiliare Costanzo Castrale nella cappella del Metropolitano. Frequenta il Convitto della Consolata con il beato Giuseppe Allamano. Viceparroco  a Pianezza, si occupa dell’Unione uomini cattolici e del Circolo giovanile ed è anche autore dell’opera teatrale «Dramma di sangue» messo in scena il 3 ottobre 1926 per la benedizione del labaro della Schola cantorum.

Segretario del cardinale arcivescovo di Torino Giuseppe Gamba, dal 28 giugno 1931 è parroco della Crocetta, per nove anni. Il 1° luglio 1940 è eletto vescovo di Casale Monferrato, succede a mons. Albino Pella ed è consacrato dal cardinale Maurilio Fossati il 25 agosto 1940 nella chiesa parrocchiale. Entra in diocesi il 13 ottobre. Compie sei visite pastorali dal 1941 al 1967-69 per far penetrare lo spirito e le riforme del Concilio Vaticano II al quale partecipa (1962-65). Il 6-8 aprile 1954 celebra il Sinodo diocesano, dopo quello celebrato da mons. Paolo Barone nel 1895. Dal 1951 al 1971 ogni anno indirizza una lettera pastorale. Scrittore brillante, eccelle nella predicazione: il 29 nov3embre-5 dicembre 1959 detta gli esercizi spirituali alla Curia Romana e a Papa Giovanni che annota su «Il giornale dell’anima»: «Da me invitato e riuscito di generale ed edificante impressione».

Gli ultimi anni sono resi amari dalla contestazione: 9 preti si pronunciano contro il celibato e pretendono che il settimanale diocesano «La Vita Casalese» sia d’accordo; un prete, già professore in Seminario, annuncia che sposerà una suora tedesca; il parroco di Santo Stefano di Montemagno presenta la promessa sposa agli sbigottiti parrocchiani. Il vescovo Giuseppe ne soffre moltissimo. Rinuncia nel 1971 e torna al paese natale, dove muore il 23 aprile 1978 a 83 anni.

Il periodo più tremendo è quello della guerra. Il 9 ottobre 1944 l’eccidio di Villadeati (Alessandria): sotto il fuoco dei nazisti cadono il parroco don Ernesto Camurati e uomini dai 44 ai 57 anni. Mons. Angrisani è accolto «glacialmente. Dissi al maggiore tedesco: “Ho saputo la triste notizia, che avete mitragliato in piazza il parroco di Villadeati con nove capi famiglia. Vengo a domandarvi che delitto hanno commesso”. Mi rispose: “Quel paese era tutto per i partigiani. Il parroco era sempre con i capi dei partigiani”. Smentii recisamente l’accusa, provando che il parroco non aveva avuto altra relazione con i partigiani che di ministero sacerdotale, essendo stato chiamato a dare i conforti religiosi ad alcuni giustiziati. Il parroco chiese che fosse salva la vita a quei disgraziati e si era preoccupato di far pervenire notizie ai parenti. La conversazione si prolungò per un’ora e mezza, aspra, con momenti di drammaticità violenta. Ricordo che, nell’andarmene, dissi testualmente: “Noi, davanti a voi, siamo dei poveri schiavi e potete fare di noi quello che volete. Ma ricordatevi che c’è un Dio al di sopra di tutti e che a Lui dovrete rendere conto di tutto”».

Il giorno dopo è fissata la sepoltura delle vittime a Villadeati: «Non volevo, non potevo mancare. Di buon mattino mi misi in viaggio. Giunto alla piazzetta, un gruppo di gente mi si fece attorno. Quando si accorsero che c’era il vescovo, fu uno scoppio alto, straziante, di urla e singhiozzi. La piccola folla cresceva, e cresceva la fiumana del pianto. Mi dissero che si era tramandata la sepoltura al giorno seguente per paura di complicazioni». Dopo l’eccidio sfida le SS visitando le famiglie delle vittime passando di casa in casa.

Per 31 anni è un pastore sempre e solo dedito al suo popolo, «padre di tutti». Uomo libero e desideroso della libertà per tutti, si pone ben presto in rotta di collisione con le autorità fasciste: nel 1942 in un rapporto riservato della polizia politica è definito «furiosamente antitedesco e nettamente disfattista». La sua predica della Pasqua 1944 è definita dai fascisti «una presa di posizione e dichiarazione di guerra al movimento nazionalsocialista». In realtà si mantiene al di sopra delle contese, compie il suo dovere di pastore che tenta di evitare lutti, rovine e danni alla popolazione. Lo scrive chiaramente negli articoli suo «La Vita Casalese» raccolti poi nel fascicolo «La croce sul Monferrato durante la bufera» che ha avuto decine di ristampe.

Angrisani interviene innumerevoli volte a mediare tra partigiani e occupanti e per salvare i paesi dall’orda nazifascista. Scongiura la rappresaglia tedesca a Rosignano contro una settantina di civili, tra cui una donna, già messi al muro. Impedisce che all’incendio di oltre 40 case di Pontestura seguano più gravi rappresaglie, interviene presso il comandante tedesco di Casale. L’azione senza dubbio più coraggiosa è a favore di 150 civili rastrellati dai nazifascisti a Ozzano il 14 novembre 1944, come rappresaglia per l’attacco portato dai partigiani a un’autocolonna. Il vescovo tratta febbrilmente e a lungo con partigiani e nazisti facendo la spola tra la Valcerrina e Ozzano. Convince i partigiani a rilasciare i prigionieri: liberati questi, anche gli ostaggi civili, sui quali incombe la deportazione in Germania, sono salvi.

Fieramente anticomunista, è l’estensore della preoccupata «Lettera nella Pasqua 1944» dei 18 vescovi subalpini. Animo squisito, nel luglio 1973 legge su «La Voce del Popolo» l’intervista a un prete missionario Fidei donum nei «barrios» in Guatemala e la settimana dopo invia un assegno di 100 mila lire a «un prete tanto bravo quanto semplice e buon operaio di Gesù». Sepolto nella splendida Cattedrale di Casale che gli intitola la piazza antistante. Recentemente ad Angrisani «Vescovo della nostra Chiesa» è stato dedicato un convegno di studio con i contributi di mons. Luciano Pacomio, vescovo emerito di Mondovì; dell’avvocato e storico Sergio Favretto e di don Carlo Grattarola.

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