«Figli, fratelli, amici, uomini sconosciuti e già amati come reciprocamente legati – voi a noi, noi a voi – da una parentela superiore a quella del sangue, del territorio, della cultura; una parentela ch’è una solidarietà di destini, una comunione di fede, esistente o da suscitare, una unità misteriosa, quella che ci fa cristiani, una sola cosa in Cristo! Tutte le distanze sono superate, le differenze cadono, le diffidenze e le riserve si sciolgono; siamo insieme, come se non fossimo forestieri gli uni e gli altri. Questo specialmente con noi perché siamo vostri, come lo è il Papa per tutti: padre, pastore, maestro, fratello, amico! Per ciascuno, per tutti. Così pensateci e ascoltateci».
Cinquant’anni fa, nella notte di Natale, 24-25 dicembre 1968, Paolo Vi celebra la Messa tra i lavoratori siderurgici degli altiforni nello stabilimento Italsider di Taranto.
Nell’immenso capannone del centro siderurgico più vasto d’Italia l’altare è di lamiera di acciaio. Dice: «Siamo venuti per voi, lavoratori di questo nuovo e colossale centro siderurgico e anche per gli altri delle officine e cantieri di questa città e di questa regione, e diciamo pure per tutti i lavoratori dell’immenso e formidabile settore dell’industria moderna».
«Cristo è perenne, Cristo è l’infanzia, è la giovinezza, è la virilità nuova del mondo»
proclama nel bel mezzo dei sommovimenti della contestazione che infiamma quegli anni: «Vi parliamo con il cuore. Vi diremo una cosa semplicissima, ma piena di significato. Noi facciamo fatica a parlarvi. Noi avvertiamo la difficoltà a farci capire da voi. O noi forse non vi comprendiamo abbastanza? Sta il fatto che il discorso è per noi abbastanza difficile. Ci sembra che tra voi e noi non ci sia un linguaggio comune. Voi siete immersi in un mondo che è estraneo al mondo in cui noi, uomini di Chiesa, invece viviamo. Voi pensate e lavorate in maniera tanto diversa da quella in cui pensa e opera la Chiesa. Vi dicevamo che siamo fratelli e amici: ma è poi vero in realtà? Perché noi tutti avvertiamo questo fatto evidente: il lavoro e la religione, nel nostro mondo moderno, sono due cose separate, staccate, tante volte anche opposte. Una volta non era così. Anni fa noi parlammo di questo fenomeno a Torino. Ma questa separazione e reciproca incomprensione non ha ragione di essere».
Si riferisce a domenica 27 marzo 1960. Al Monte dei Cappuccini di Torino i cardinali arcivescovi di Torino Maurilio Fossati e di Milano Giovanni Battista Montini inaugurano la statua in bronzo della Madonna regalata dagli operai Fiat, presenti il sindaco Amedeo Peyron, il presidente della Fiat Vittorio Valletta, Gianni Agnelli e migliaia di cittadini. Da Roma Giovanni XXIII manda la «confortatrice benedizione sulla diletta Torino affinché in tutte le anime regni la pace di Dio». Poco prima il discorso di Montini su «Religione e lavoro» a un foltissimo pubblico di torinesi.
Elogiando l’attività nelle fabbriche dei cappellani del lavoro, il cardinale Montini ricorda come dirigenti d’azienda e lavoratori «devono cooperare per superare le difficoltà ambientali in una più alta visione spirituale che dà la giusta risposta alle esigenze dell’anima e della vita umana». Ai lavoratori il futuro Pontefice dice: «La Chiesa ha compreso e ha parlato cento volte affermando principi che sono divenuti inamovibili; scoprendo errori che lo studio e l’esperienza confermano tali; confortando movimenti che vanno affermandosi nella purezza e nell’entusiasmo dell’idea e nella praticità e difficoltà della realizzazione; aprendo un dialogo con le classi operaie pieno di bontà, di consolazione e di amicizia. Nel mondo del lavoro sovente, i padroni sono ancora impregnati dell’obiezione razionalistica e della pretesa illuministica, mentre i lavoratori vedono nella religione un motivo di distrazione dagli interessi economici e sociali. È tempo per la cultura italiana di uscire dai luoghi comuni, indice di pigrizia culturale».
Dei discorsi a Torino e a Taranto colpisce il realismo, segno di coraggio e di libertà di pensiero. In Puglia aggiunge: «Qui due mondi si incontrano, la materia e l’uomo; la macchina, lo strumento, la struttura industriale da una parte, la mano, la fatica, la condizione di vita del lavoratore dall’altra. Il primo mondo, quello della materia, ha una segreta rivelazione spirituale e divina da fare a chi la sa cogliere; ma quest’altro mondo, che è l’uomo, impegnato nel suo lavoro, carico di fatica e pieno di sentimenti, di pensieri, di bisogni, di stanchezza, di dolore, quale sorte trova qui dentro?».
Si chiede: «Qual è la condizione del lavoratore impegnato nell’organizzazione industriale? Sarà macchina anche lui? Puro strumento che vende la propria fatica per avere un pane per vivere; perché, prima e dopo tutto, la vita è la cosa più importante d’ogni altra. Ma l’uomo vale più della macchina e della sua produzione. Sappiamo bene tutte queste cose, le quali hanno assunto e ancora assumono una importanza nuova, immensa, predominante».
Montini non scrive un’enciclica sul lavoro, ma a Milano – dove lo chiamano «l’arcivescovo dei lavoratori» – a Torino e Taranto guarda in faccia alla realtà, la coglie e la denuncia. Leone XIII nella «Rerum novarum» (1891) scrive: «Un piccolissimo numero di straricchi ha imposto a una infinita moltitudine di proletari un gioco poco men che servile». A Taranto evidenzia la difficoltà del dialogo fra Chiesa e mondo del lavoro ma afferma che quella distanza non ha ragion d’essere e che la sua visita è segno di interesse e della ricerca di un rapporto più diretto. A tutti ricorda la nascita del Salvatore nella vita e nella società. Aggiunge: «La Chiesa non condivide le passioni classiste, quando queste esplodono in sentimenti di odio e in gesti di violenza; ma riconosce il bisogno di giustizia del popolo onesto, lo difende e lo promuove. Non di solo pane vive l’uomo, ripete con Cristo. Non di sola giustizia economica, di salario, di benessere, ha bisogno il lavoratore, ma di giustizia».