80 anni fa a Palazzo Chiablese nasce il Museo nazionale del Cinema

Estate 1941 – Ottant’anni fa da un’intuizione di Maria Adriana Prolo, «Madama Pelicula», a Palazzo Chiablese prese corpo il Museo nazionale del Cinema: una sala di 120 posti nella quale al pomeriggio proiettavano introvabili film in bianco e nero. Pier Giuseppe Accornero mezzo secolo fa intervistò la Prolo

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I torinesi neppure vedevano quella porta a sinistra. Transitavano in auto sotto l’arco che congiunge Palazzo Chiablese e Palazzo Reale. Arrivavano da piazza Castello, che era un caos di traffico; passavano nell’enorme parcheggio di piazzetta Reale e si immettevano, in fila indiana, in piazza San Giovanni, a fianco del Duomo; si disputavano con i tram lo spazio in via XX Settembre; sbucavano in corso Regina Margherita e andavano per i fatti loro.

La porta sulla sinistra dava su un antro meraviglioso, il Museo del cinema di Palazzo Chiablese con una sala di 120 posti nella quale al pomeriggio proiettavano introvabili film in bianco e nero. Era il regno di Maria Adriana Prolo, «Madama Pelicula». Da una sua intuizione ottant’anni fa prese corpo il Museo nazionale del Cinema.

Maria Adriana Prolo nasce a Romagnano Sesia il 20 maggio 1908, ultima di tre sorelle di un’agiata famiglia borghese; studia lingue e violino; pratica gli sport; si diletta di poesia. Si laurea in Lettere all’Università di Torino; lavora alla Biblioteca Reale; frequenta corsi di biblioteconomia, archivistica e paleografia: 50 anni fa, per il trentennio del Museo, la intervistai per la rivista «Cineschedario», fondata e diretta da un uomo di cinema, teatro e comunicazione come il salesiano don Marco Bongiovanni.

«Studiavo in particolare – mi disse Prolo – il ruolo culturale delle donne, tra cui la poetessa risorgimentale Agata Sofia Sassernò. Nell’estate del 1938, conducendo una ricerca sulla letteratura piemontese, sfogliai delle riviste di cinema muto e scoprii la mia passione per il cinema», come testimonia il suo articolo «Torino cinematografica prima e durante la guerra» sulla rivista «Bianco e nero»: «Ho avvicinato molti pionieri del cinema torinese, i creatori del cinema italiano, e ho ritrovato parecchi oggetti: macchine da presa e da proiezione, scenografie, manifesti, fotografie, oggetti pubblicitari» che documentano la nascita del cinema.

Scova e per 600 lire acquista «L’emigrante» (1915) di Febo Mari. Gli antiquari torinesi si passano la parola, la chiamano «signorina del cinematografo» per i suoi acquisti anche al mercato delle pulci del Balon. Per trovare il denaro lavora come annunciatrice all’Eiar, la prima versione della Rai. Contemporaneamente coltiva l’idea di costituire il Museo del Cinema: il «Corpus italicorum filmorum» diventa la ragione della sua vita. Il Municipio le concede dei locali al pianterreno della Mole Antonelliana e un magazzino allo Stadio comunale. Questo salva tanti tesori dai bombardamenti durante la Seconda guerra mondiale.

L’8 giugno 1941 annota sulla sua agenda: «Pensato il Museo». Nasce così il progetto di raccogliere ed esporre il materiale racimolato da varie parti, ma la guerra costringe il progetto e il materiale a scendere in cantina. Conosce i più grandi esponenti del cinema: i registi Arrigo Frusta e Giovanni Pastrone – l’autore dell’intramontabile «Cabiria» -, attori, attrici, registri e maestranze del cinema muto: Federico Fellini, Alfred Joseph Hitchcock.

Nel 1949 – ricorda Prolo – c’è la prima esposizione delle collezioni e alla «X mostra internazionale d’arte cinematografica» di Venezia presenta una comunicazione al congresso della Federazione internazionale dei circoli del cinema sulla necessità di raccogliere quanto c’è sulla storia della cinematografia italiana «affinché sia conservato ed esposto in un museo». L’attività si fa frenetica. Ogni occasione è buona per parlarne, discuterne, sollecitare, chiedere e muovere. Nel 1950, per l’«Esposizione internazionale della tecnica cinematografica» al Valentino allestisce una mostra retrospettiva e partecipa a varie manifestazioni.

Un piccolo contrattempo nel 1952 che Prolo ricorda con un sorriso: «L’apparizione, per la prima volta, di documenti e di apparecchi in televisione rende un pessimo servizio al Museo, perché i pezzi che possono interessare, in mano ai privati, salgono a prezzi altissimi». Nel 1953 persuade le istituzioni del prestigio che deriverebbe alla città dalla fondazione di un Museo del Cinema e sollecita l’assegnazione di una sede e il riconoscimento legale e giuridico. Il 23 maggio 1953 un «tornado» abbatte la guglia della Mole Antonelliana, ma reca pochi danni al materiale depositato. Il 7 luglio 1953, presso il notaio Mandelli, si costituisce l’«Associazione Museo del Cinema» con sede a Palazzo Chiablese, associazione culturale «apolitica, durata illimitata, sede in Torino, né può né potrà avere sede in altre città». «Questo – mi disse – l’ho fatto scrivere io». I soci fondatori sono: Arrigo Ferraris Frusta, Carlo Giacheri, Mario Gromo, Leonardo Mosso, Giovanni Pastrone, Maria Adriana Prolo, Giordano Bruno Ventavoli. Il Museo entra a far parte della Fédération internationale des archives du film (Fiaf) e le collezioni vengono esposte alla «Cineteca francese» di Parigi, alla «Cineteca italiana-Archivio storico del film» e al «Museo della tecnica» di Milano. Organizza la «Mostra dei dagherrotipi» e la mostra itinerante «La caricatura nella fotografia e nel cinema dal 1839 al 1939» viaggia a Firenze, Bordighera, Monaco, Londra e Algeri. Nel 1956 il Museo ottiene l’importante appellativo «nazionale» che consente la concessione di un contributo ministeriale.

Il 1958 vengono concesse 16 sale al pianterreno di Palazzo Chiablese: dopo i lavori di restauro e ammodernamento, il 27 settembre s’inaugura la sede. Il 7 novembre comincia l’attività della sala di proiezione. Mario Gromo la aiuta a raccogliere 20 milioni di lire: apparecchiature del pre-cinema, reperti del muto, foto e manifesti italiani e stranieri, pellicole. La «legge sul cinema» del 4 novembre 1965 eroga contributi a favore di iniziative e manifestazioni per la diffusione della cultura cinematografica. Un decreto ministeriale del 15 settembre 1965 lo qualifica tra i «musei medi d’Italia», e il suo regolamento è approvato il 10 aprile 1968.

Nell’intervista di mezzo secolo fa la fondatrice mi disse con una punta di simpatico sarcasmo: «La nostra città era nota per le caramelle, le automobili e le pellicole». E mi parlò con entusiasmo, affetto e riconoscenza sia di Giovanni Pastrone, autore di «Cabiria» morto il 27 giugno 1959, e soprattutto del giornalista Mario Gromo, critico cinematografico de «La Stampa», suo collaboratore e confidente. Alla morte, il 19 maggio 1960, dona al Museo libri, riviste e la collezione dei suoi articoli dagli anni Venti. La collezione Gromo è il nucleo originario della biblioteca che porta il suo nome.

Alcuni cineasti di peso, considerano la posizione decentrata di Torino chiedevano che la città rinunciasse al Museo per beneficiarne Milano. Al «divo» Giulio Andreotti, che le prometteva tanti soldi se mollava il Museo a Roma rispose – non in malo modo perché era una signora – ma a muso duro: «No». «Abbiamo – spiegava – una collezione unica al mondo di materiale fotografico e cinematografico del valore di oltre 800 milioni. Tutto il pre-cinema e il primo cinema sono documentati nelle macchine da presa e da proiezione, nelle scenografie e nei manifesti pubblicitari, nelle laterne magiche, nelle fotografie, nei seimila volumi e migliaia di riviste della biblioteca. Il tutto stipato in 16 minuscole sale di esposizione. Tutto il resto è chiuso in casse, in attesa di vedere un po’ di luce. Abbiamo del materiale sufficiente per 30 sale».

Fondatrice e direttrice del museo importante ma dimenticato di Torino, la raffinata studiosa e «passionaria» del cinema si batte con volontà leonina contro difficoltà di ogni genere, prima la mancanza cronica di soldi e di locali. Nel 1989 Daniele Segre realizza su di lei il film «Occhi che videro». A metà degli anni Novanta si accende il dibattito sul trasferimento del Museo alla Mole Antonelliana. Il suo merito più grande è avere messo a disposizione di tutti una delle maggiori raccolte dedicate alla «settima arte»: 7 mila pellicole, 9 mila oggetti d’arte, 130 mila fotografie, 200 mila manifesti.

Il nuovo inizio è il 19 luglio 2000 quando diecimila torinesi – ma lei era morta il 20 febbraio 1991 – e mille giornalisti partecipano all’inaugurazione del Museo nazionale del cinema alla Mole Antonelliana.

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