Sette firme hanno ufficializzato, il 2 maggio scorso, il «Piano integrato di sostegno alle persone senza dimora», un protocollo unico nel panorama italiano che ha messo allo stesso tavolo istituzioni e mondo del Terzo Settore e che si propone di affrontare le problematiche di chi vive per strada in maniera sistematica e integrata. Ne abbiamo parlato con Pierluigi Dovis, direttore della Caritas diocesana, che ha seguito tutto l’iter dei lavori che hanno portato al documento.

Come nasce e chi riguarda il protocollo?
Bisogna anzitutto tornare all’inverno 2020-2021 quando il numero dei senza dimora (attualmente si stimano 2.500 presenze nel Comune di Torino) per strada registrò un significativo aumento legato al Covid: da un lato era stata necessaria una riduzione dei posti nei dormitori per garantire il distanziamento, dall’altro molti avevano paura di contrarre il virus in spazi chiusi e sceglievano di restarne fuori. Questa situazione aveva creato problemi che erano culminati nell’allontanamento forzato da parte dei vigili urbani di cose e persone dalle zone del centro di Torino. Uno sgombero che aveva acceso il dibattito fra forze politiche e mondo del volontariato sociale. In questa situazione l’allora Arcivescovo mons. Cesare Nosiglia intuì la necessità di provare a capire se mondo ecclesiale e associazioni del volontariato sociale potessero identificare strategie per superare la criticità del momento e riunì in Arcivescovado 16 associazioni impegnate a vario titolo, ma da lungo tempo nella cura dei senza dimora per identificare proposte operative da trasferire come ‘suggerimento dal basso’ alle Istituzioni. Da quell’incontro si elaborò un documento di sintesi che venne riportato al Prefetto e che ha rappresentato il canovaccio per la riflessione del tavolo interistituzionale e di quello tecnico che si sono così costituiti e ora diventati parte fondante del protocollo (alla voce «Modalità di Governance», ndr) come strumenti per identificare percorsi, condivisi negli obiettivi e concertati nei metodi, per affrontare, non solo in termini emergenziali, la situazione dei senza dimora. Il protocollo firmato il 2 maggio scorso deriva da questo percorso – ed è quindi anche frutto dell’impegno dell’Amministrazione comunale precedente così come della volontà dell’Arcivescovo oggi emerito e dell’ex prefetto torinese Claudio Palomba – coinvolgendo Prefettura, Città Metropolitana e Comune di Torino con le sue Circoscrizioni, Regione Piemonte, Azienda sanitaria, Arcidiocesi (in rappresentanza delle 16 associazioni tra cui la stessa Caritas) e Fiopsd (Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora) e intraprende ora il percorso attuativo.
Attori diversi, istituzionali e non, che convergono sull’affrontare insieme una situazione complessa come quella dei senza dimora è dunque un primo elemento che rende innovativo il protocollo, ma dal punto di vista dei contenuti quali sono gli elementi di forza, le nuove prospettive che si aprono da ora sino al 2024 quando resterà in vigore (scadenza legata alla fine della legislatura regionale, ma è prevista la possibilità che venga reiterato)?
Un primo elemento che si traduce in termini operativi è il coinvolgimento non solo del settore socio assistenziale, ma anche di quello sanitario. Non sono compartimenti stagni: il mondo dei senza dimora vive problematiche che sono di carattere psichiatrico, si pensi anche alle implicazioni sanitarie connesse alle dipendenze, e non sono solo di tipo sociale. Questo coinvolgimento viene indicato come necessario anche nel servizio di strada: un servizio che nel protocollo si auspica di potenziare, sia a livello diurno che notturno, per riuscire a raggiungere efficacemente, indirizzando ai vari servizi, quante più persone in difficoltà vi si trovano.
E per quel che riguarda l’accoglienza?
In questo ambito il protocollo capovolge l’impostazione tradizionale del grande dormitorio cercando di favorire occasioni di accoglienza in cui anche le interazioni con gli operatori siano favorite. Luoghi dove passare la notte che garantiscano tempi più lunghi di permanenza, ambienti più piccoli dove sia meno problematica la condivisione degli spazi tra gli ospiti, dove si possa creare un clima di dialogo, luoghi diffusi sul territorio cittadino. Si cerca di portare a sistema il modello dell’«housing first»: piuttosto che lunghi passaggi a step dai dormitori all’alloggio, l’offerta parte subito da una soluzione abitativa accompagnata con l’obiettivo, come si legge nel protocollo, «di mettere la persona al centro dell’intervento, migliorare l’efficacia dell’intervento e la sua durata nel tempo, coinvolgere attivamente i cittadini e la società civile che possono attivare reti di cittadinanza solidale». Una modalità che implica uno sforzo maggiore nel far emergere le potenzialità di resilienza della persona e quindi può contribuire a innescare percorsi virtuosi. Un’altra parola, che non compare nel protocollo ma che ne consegue, è «stile reticolare». Il coinvolgimento della Regione per le sue competenze e quello della Città Metropolitana permette di allargare la gestione anche ad altri centri che non sono il capoluogo ma che sono interessati dalla realtà dei senza dimora e di valorizzare il rapporto e le competenze dei consorzi che agiscono sul territorio. Altre conseguenze positive di questo coinvolgimento allargato potranno essere il supporto alle Amministrazioni pubbliche per avviare processi che portino alla diffusione omogenea dell’iscrizione all’anagrafe e della concessione del diritto alla residenza fittizia anche nei comuni della Città Metropolitana e della Regione Piemonte o ancora la facilitazione per l’iscrizione al Servizio Sanitario Regionale e la scelta del medico di Medicina generale. E infine: l’indicazione dei Tavoli fa sì che ci sia un approccio non emergenziale, ma una attenzione costante e monitorata, un parlarsi in modo sistematico non quando esplode il problema ma, nel caso del Tavolo tecnico, una volta al mese.
Non è secondaria nemmeno la situazione economica….
Con progettualità condivise, come avviene in tutti i settori, si evita la dispersione di fondi, che invece si concentreranno su azioni mirate. Il coinvolgimento della Prefettura consentirà inoltre di avere un fondamentate interlocutore con il Governo per quanto riguarda anche il reperimento delle risorse. Altro aspetto importante, favorito dal protocollo, sarà la gestione dei fondi e dei progetti del Pnrr che potranno meglio essere convogliati sulla strategia housing first e sul varo dei centri di servizi territoriali previsti anche dai progetti nazionali nella cosiddetta misura 5.
Nell’«iter» del protocollo ha citato il ruolo di mons. Nosiglia come promotore e nella firma dell’Arcidiocesi si riassumono le 16 realtà ecclesiali interpellate, Caritas compresa: che valore ha questo «accorpamento»?
In questo momento credo che sia il segno di un cammino sinodale, di un lavoro davvero improntato sul dialogo, sul mettersi in ascolto delle reciproche esperienze concentrandosi sull’obiettivo di produrre frutti. Mi pare che il Protocollo lo testimoni, e speriamo che questo stile di confronto e collaborazione diventi sempre più operativo e condiviso, anche oltre la città di Torino: non un nuovo documento ma l’elemento fondativo di un processo di attenzione condivisa agli ultimi per il quale con testardaggine solleciteremo insieme l’attuazione.