L’Ordine dei Medici di Torino ha scritto al Papa chiedendo un incontro («sarebbe un grandissimo onore») per condividere opinioni ed esperienze collegate alla professione medica. L’occasione è però «la sorpresa e il dispiacere» dei medici per il fatto che il Papa nell’udienza del 10 ottobre abbia usato il termine «sicari» per indicare gli operatori che procurano aborti.
Crediamo meriti ricordare che quelle parole del Papa, come deve accadere per ogni altro discorso pubblico, vanno lette e accolte considerando il contesto complessivo in cui sono state pronunciate: e cioè nell’ambito della più ampia catechesi che Francesco sta conducendo in queste settimane sui Comandamenti – e sul «non uccidere» in particolare. Il discorso che ha suscitato la reazione dei medici (pubblicato integralmente su questo giornale la scorsa settimana) non era rivolto solo ai medici e ad altre figure professionali, ma a tutti coloro che in vari modi non contribuiscono ad «aiutare qualsiasi vita a vivere».
Il Papa sta affermando l’insegnamento di sempre della Chiesa, in particolare contro l’aborto terapeutico: «come può essere terapeutico, civile o semplicemente umano un atto che sopprime la vita innocente e inerme nel suo sbocciare?».
Non si sottolinea mai abbastanza il fatto che la legge 194, quella che rende possibile l’aborto, dichiara prima di tutto di voler tutelare la maternità: all’interno di quel quadro normativo esistono molteplici possibilità per «aiutare la vita». Esse sono lodevolmente messe in atto da numerose persone e gruppi, anche di medici, a sostegno della vita nascente, delle madri e delle famiglie che cercano di evitare la soluzione sempre traumatica, dolorosa e inaccettabile dell’aborto.