Il 2019 è l’anno in cui l’Acec, l’Associazione cattolica esercenti cinema, festeggia i suoi settanta anni di attività. Oggi Acec-Sdc (il suo nome completo) è l’associazione di categoria che ha ricevuto dall’episcopato italiano il compito di coordinare, rappresentare, riunire, promuovere e tutelare le Sale della comunità sparse per il territorio nazionale. Si tratta delle strutture polivalenti, in particolare cinema e teatri, che in ambito ecclesiale fanno propri i linguaggi della multimedialità per sviluppare una pastorale in ambito culturale sempre più attuale e qualificata. «Una scelta associativa, quella del 1949», spiega don Adriano Bianchi, presidente nazionale Acec, «che giungeva come frutto di un lungo processo che, partito con la nascita delle prime ‘sale ricreative cattoliche’ (Src) all’inizio del nostro secolo, e avendo registrato una proliferazione notevole di esse, aveva richiamato l’attenzione della Santa Sede».
Parlare di una comunità culturale, concreta, che si riunisce in un luogo fisico, in tempi in cui le comunità virtuali sembrano segnare la nostra vita, comunanze immateriali troppo spesso segnate dalla banale e fuorviante dittatura dei like dei social network, può sembrare un controsenso. A questo proposito, sono illuminanti le parole di Papa Francesco. «È a tutti evidente», scrive il Pontefice nel messaggio per la 53ma Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali, nello scorso gennaio, «come, nello scenario attuale, la social network community non sia automaticamente sinonimo di comunità. Nei casi migliori le community riescono a dare prova di coesione e solidarietà, ma spesso rimangono solo aggregati di individui che si riconoscono intorno a interessi o argomenti caratterizzati da legami deboli. Inoltre, nel social web troppe volte l’identità si fonda sulla contrapposizione nei confronti dell’altro, dell’estraneo al gruppo».
Fondamentale diviene, allora, non accontentarsi di avere soltanto una community di successo, ma saperla accompagnare a mostrarsi il più possibile nel suo volto adulto di comunità. Una «rivelazione» odierna che si compie anche nell’esperienza della Sala della comunità, esempio virtuoso di «panificazione»: nelle sale Acec il pane si spezza, infatti, con un dialogo e una contaminazione costante tra la community e la comunità.
«Ricondotta alla dimensione antropologica, la metafora della rete», spiega il messaggio del Papa, «richiama un’altra figura densa di significati: quella della comunità. Una comunità è tanto più forte quanto più è coesa e solidale, animata da sentimenti di fiducia e persegue obiettivi condivisi. La comunità come rete solidale richiede l’ascolto reciproco e il dialogo, basato sull’uso responsabile del linguaggio». Ancor più strategica nell’epoca digitale, la Sala della comunità rappresenta quindi, con continuità, un faro quotidiano nell’apprendimento e sperimentazione di un linguaggio responsabile. Ad essa attingono continuamente sempre nuovi volti a partire anche dalle generazioni più giovani. Accogliendo, allora, l’invito di Papa Francesco, l’Acec crede pienamente che «il contesto attuale», come scrive ancora il Santo Padre nel messaggio, «chiama tutti noi a investire sulle relazioni, ad affermare anche nella rete e attraverso la rete il carattere interpersonale della nostra umanità. A maggior ragione noi cristiani siamo chiamati a manifestare quella comunione che segna la nostra identità di credenti. La fede stessa, infatti, è una relazione, un incontro; e sotto la spinta dell’amore di Dio noi possiamo comunicare, accogliere e comprendere il dono dell’altro e corrispondervi».
Con questo approccio, quindi, proseguono le celebrazioni del settantesimo e, più semplicemente, la vita delle Sale Acec italiane, più di settecento, che vivono grazie alla dedizione di 50 mila volontari. Per rispondere, insieme ad altre realtà ma con una propria specificità, alla necessaria esigenza di declinare un’esperienza ogni volta inedita e irripetibile di comunità, uscendo dall’anonimato delle diverse definizioni e categorie di società. Nelle Sale della comunità le persone sono di casa. Senza etichette: perché guidate, come ricorda il Papa, nella convinzione che ciascuno sia «l’attesa di Dio», per costruire legami rispettosi e inclusivi che diminuiscano la distanza tra comunità liturgica e ambiente sociale. Cercando, inoltre, di creare quell’impasto tra pensiero ed emozioni sorretto da legami autorevoli e autentici che consente alla bellezza, nella forma artistica (cinema, teatro, concerti…), di sviluppare umanità e anelito evangelico.
Nella Diocesi di Torino sono dodici le sale (Agnelli, Baretti, Esedra, Monterosa di Torino; Elios di Carmagnola, Don Bosco Digital di Cascine Vica, San Lorenzo di Giaveno, Auditorium di Leinì, Eden di None, Borgonuovo di Rivoli, Jolly di Villastellone, Auditorium di Vinovo) seguite, in vario modo, dall’Acec piemontese. Il Jolly è il cinema torinese che partecipa all’iniziativa Acec nazionale «Costruiamo la comunità – dai social network alla comunità umana»: in programma, dopo l’apertura del 10 ottobre con don Luca Peyron, proiezioni di film fino al 14 novembre anche per festeggiare il ventennale di attività, dopo la ristrutturazione, della sala di Villastellone. In vista della conclusione del settantesimo Acec, a Roma, quando, dal 6 all’8 dicembre, ci saranno gli #SdCdays. In quell’occasione i partecipanti incontreranno privatamente papa Francesco il 7 dicembre.