Affidi minorili, la meraviglia delle reti familiari

Intervista – Il tremendo scandalo dei bambini manipolati a Reggio Emilia non infangherà il sistema italiano di tutela minorile, il Garante piemontese dell’Infanzia Rita Turino racconta il vero volto della collaborazione fra le istituzioni e i cittadini

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Rita Turino è Garante per l’Infanzia e l’Adolescenza della Regione Piemonte. L’abbiamo incontrata per riflettere sull’istituto dell’affidamento famigliare a margine della terribile notizia di 18 persone agli arresti domiciliari  e 27 indagati a Regio Emilia (psicologi, assistenti sociali, medici e politici) per l’ipotesi di «affidi illeciti», effettuati manipolando i minori. Risulta coinvolta anche l’onlus di Moncalieri Hansel&Gretel. I colpevoli, se i reati dovessero essere confermati dovranno essere puniti e molto presto ma esiste il rischio, sull’onda emotiva della cronaca, che «il bambino venga buttato con l’acqua sporca» e che si getti discredito su tutti gli operatori che si occupano di minori fragili.

Il Garante regionale per l’infanzia e per gli adolescenti Rita Turino

Dottoressa Turino, ciò che è successo in Emilia proietta un’ombra cupa sulle istituzioni. Qual è il vero volto del servizio pubblico?

La nostra Regione è riconosciuta tra le migliori in campo sociale ed è da molti definita «un laboratorio per il sociale» per capacità di innovazione e sperimentazione propria di amministratori ed operatori piemontesi che in 40 anni hanno costruito un sistema articolato di servizi, interventi e prestazioni. Il ricorso alle strutture residenziali per minori nel corso degli ultimi anni si è andato via via trasformando a favore dell’affidamento familiare e del sostegno al nucleo familiare tanto che il ricorso alla comunità è diminuito, circoscritto alle situazioni maggiormente problematiche.

E come avviene?

Per quei minori che devono essere accolti in strutture residenziali fuori dal loro contesto di origine sono previste diverse forme di controllo. Intanto tutte le strutture soggiacciono ad una normativa regionale stringente e devono essere autorizzate al funzionamento e sono sottoposte a numerosi controlli. Tutte devono essere accreditate dagli enti per i quali operano. I controlli avvengono in prima battuta proprio da parte degli enti che, inserendo i minori, se ne assumono anche il pagamento della pagamento della retta ma poi in specifico dalle commissioni di vigilanza istituite una per ogni Asl e poi dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni. L’assessorato regionale alla Coesione Sociale da anni ha istituito un gruppo di lavoro sostenuto da uno specifico protocollo d’intesa che riunisce l’attività di tutte le commissioni di vigilanza della Regione e la Procura dei Minori stessa, oltre al servizio sociale del ministero di Giustizia e da ultimo anche il Garante per l’infanzia e l’Adolescenza, proprio per verificare e monitorare l’attività delle diverse strutture residenziali  caratterizzate in ragione delle diverse necessità degli ospiti e della loro età.

Cosa non ha funzionato a Reggio Emilia?

Su questa vicenda non mi sento di dire nulla perché non conosco i fatti e tutti attendiamo che l’autorità giudiziaria faccia luce su episodi che se confermati sono gravissimi.  Chi come me si occupa da tanti anni di bambini, di ragazzi e famiglie in difficoltà  purtroppo sa che non c’è fine  limite alle esperienze negative che alcuni minori si trovano a vivere: tra queste la peggiore è sicuramente l’abuso sessuale.

Su cosa vigilano i servizi sociali?

Accanto alle indagini della Polizia e della magistratura occorre mettere in atto attività di sostegno di confronti dei bambini e degli adolescenti; spesso quando si tratta di ragazzi sono loro stessi a chiedere direttamente aiuto.

Marinella Malacrea, neuropsichiatra infantile  che ha  recentemente partecipato ad un seminario formativo per gli operatori della nostra regione nel  suo ultimo libro «Curare i bambini abusati » (Cortina editore) afferma: L’abuso sessuale ai bambini fa male e per lungo tempo, in quanto si i tratta di un dolore specifico pieno di sfaccettature che mancano in altre esperienza infantili sfavorevoli. Il bambino  sessualmente abusato va accolto, ascoltato e protetto ma anche e sempre curato in modo tenace e amorevole».

Non c’è solo l’abuso sessuale…

Certamente: come Garante collaboro con il Cismai  (Coordinamento italiano servizi contro il maltrattamento e l’abuso all’infanzia)  e nel 2017  abbiamo organizzato un seminario regionale formativo per divulgare le linee guida in materia di violenza assistita e cioè quella che viene esercitata non direttamente sui minori ma sulle persone a loro vicine, in genere la  mamma…L’epilogo di queste «violenze assistite» sono i tragici episodi di femminicidio: e le vittime di queste situazioni incredibili vengono definiti «orfani speciali» (se speciale si può definire il tragico destino di aver perso il papà che è in galera e la mamma perché è stata uccisa dal padre)… Questo tipo di violenza sarebbe ancora più devastante, sostengono gli esperti, di quella subita direttamente sul proprio corpo in quanto inferta alle persone amate e più vicine.

Come prevenire la violenza sui minori?

Aiutando le famiglie in difficoltà con interventi concreti. Sono ancora troppe le famiglie che versano in condizioni di povertà economica che porta con sé spesso anche povertà educativa. Occorre evitare che i nuclei famigliari perdano l’abitazione (quando una famiglia perde la casa si sfascia la famiglia), c’è bisogno di interventi  sul reddito, sull’affiancamento di operatori che aiutino i genitori a capire come rispondere  ai bisogni di sviluppo dei loro figli a seconda dell’età. Sono processi che funzionano se intervengono tutti gli attori e gli operatori che conoscono i minori (medici, educatori, insegnanti): soltanto intervenendo in rete si possono sostenere davvero le famiglie «fragili e vulnerabili».

In Italia ci sono circa 3 mila comunità che in modo improprio vengono definite «case famiglia», dove vengono accolti i circa 21 mila minori costretti a vivere per svariati motivi lontani dalle famiglie di origine. Come funziona il meccanismo con cui un minore viene allontanato dalla famiglia?

Nessun minore può essere allontanato dalla propria famiglia di origine senza il consenso dei propri genitori, o di entrambi gli esercenti la responsabilità genitoriale. Quando questo consenso non vi sia e il bambino o il ragazzo versi in situazione di grande difficoltà, e abbia bisogno di protezione è l’autorità giudiziaria che interviene con un provvedimento che limita la responsabilità dei genitori attribuendo la garanzia di tutela   ad altri siano questi educatori delle strutture accoglienti o famiglie affidatarie.

L’autorità giudiziaria si attiva su sollecitazione di chiunque segnali una situazione di abbandono, di rischio o di pregiudizio che coinvolga  un minore. Alcune figure istituzionali sono obbligate a segnalare le situazioni di cui sopra di abbandono rischio o pregiudizio di minori, tra questi gli insegnanti, la pubblica sicurezza, gli operatori sanitari e operatori sociali. Ne seguono approfondite indagini da parte dell’autorità giudiziaria all’esito delle quali, si potrebbe  determinare la necessità di collocare il bambino/ragazzo in un contesto di protezione. Per quanto riguarda l’autorità giudiziaria minorile tale decisione viene assunta sempre in modo collegiale da 4 giudici due magistrati di professione e due giudici onorari e sempre dopo valutazione di quanto riferito dai numerosi esperti che vengono interpellati, in genere operatori di servizi pubblici a cui spesso si accosta l’attività di periti di ufficio (cioè incaricati dal giudice titolare della situazione) e di periti di parte cioè nominati dai genitori e/o dai parenti. È poi di fondamentale importanza la figura del curatore speciale – in genere è un avvocato – che agisce nell’interesse del minore che è considerato soggetto autonomo portatore di interessi ed istanze personali a cui appunto il curatore dà voce.

I rappresentanti delle associazioni che si occupano della tutela dei minori e l’Associazione dei magistrati per i minorenni e per la famiglia  (Aimmf) sono preoccupati che la vicenda di Reggio Emilia possa mettere in dubbio l’istituto dell’affido…

Non possiamo permettere che il discredito investa tutto e tutti. In Piemonte si è sperimentato l’affidamento familiare dal 1976 (ben 7 anni prima dell’approvazione della legge 184 che è del 1983) con un atto deliberativo del Consiglio comunale della Città di Torino. Si proponeva e prevedeva  già in allora di ricorrere alla solidarietà familiare per accogliere persone con bisogni importanti di assistenza cura ed educazione fossero esse anziani disabili o bambini. Da allora in poi sono stati fatti enormi passi in avanti in un’ ottica di ricerca e innovazione continue. Questo grande e incessante lavoro condotto da amministratori pubblici,  operatori e associazioni di volontariato ha permesso al Piemonte di superare le comunità da 0 a 6 anni e di  sviluppare un sistema e una rete di famiglie solidali che sono disponibili ad accogliere bambini molto piccoli, anche appena nati, mamme con bambini, situazioni in emergenza e molto altro ancora.

L’affidamento familiare funziona, costa pochissimo alla società  (si riconosce alle famiglie solo un rimborso spese inferiore ai 500 euro) e fornisce un servizio straordinario e insostituibile.  I servizi devono però disporre delle necessarie risorse. Invece, a causa dell’interruzione della sostituzione del turn over, stiamo rischiando di disperdere un patrimonio straordinario di competenze costruito in circa 40 anni di incessante lavoro.

Tutti insieme dobbiamo impegnarci perché i nostri servizi sociali, di psicologia e neuropsichiatria infantile, i nidi, e tutte le scuole di ogni ordine e grado  operino al pieno delle loro possibilità e questo può avvenire solo con le risorse umane adeguate.

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