Per la nascita dell’esecutivo Lega-M5S siamo ad una svolta. Forse quella decisiva. Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha infatti incaricato il giurista Giuseppe Conte per la formazione del nuovo governo. Conte, che nei giorni scorsi era stato proposto dai leader leghisti e pentastellati per Palazzo Chigi, inizia giovedì un giro di consultazioni con le forze politiche della futura maggioranza giallo-verde, per definire ed affinare il programma.
La decisione del Capo dello Stato è maturata al termine di una giornata che si era aperta con lo sguardo rivolto alle smagliature del curriculum del candidato alla presidenza del Consiglio. Gli ambienti politici erano tornati nuovamente in fibrillazione, al punto che stava prendendo corpo l’ipotesi di un ritorno in auge di Luigi Di Maio e in subordine, qualora Matteo Salvini avesse ribadito il veto sul leader pentastellato, ecco profilarsi la possibilità di un eventuale ritorno alle urne.
Quella di Conte aveva spiegato Di Maio è una «candidatura politica, per un governo politico», quasi per fugare il dubbio che si possa pensare al battesimo di un prossimo esecutivo tecnico. Al di là delle precisazioni del leader pentastellato, la realtà è un po’ questa. Tutto infatti può dirsi di Conte, tranne che appartenga al mondo della politica. Il giurista non è un parlamentare, né fa parte di quella classe dirigente, il cosiddetto establishment, cui invece appartenevano altri premier tecnici del passato, come Carlo Azeglio Ciampi o Mario Monti. In buona sostanza è un accademico prestato, per così dire, alla politica.
Certo nessuno può negare che, dopo aver tanto tuonato contro presidenti del Consiglio non legittimati dal voto popolare, adesso leghisti e pentastellati si apprestano a varare un governo tecnico che solo per via indiretta emana da una scelta degli elettori. Tutto legittimo, ci mancherebbe. Però stiamo assistendo ad una clamorosa inversione di rotta, a mostrare in modo lampante la spregiudicatezza che anima Lega e M5S, capaci di dire una cosa e fare poi esattamente il contrario.
Lunedì scorso il Presidente della Repubblica aveva ricevuto le delegazioni dei due partiti della futura maggioranza giallo-verde, trovando conferma che, ad oltre due mesi dalle elezioni e dopo due settimane passate a redigere il programma, Lega e M5S erano finalmente in grado di costituire un governo e avevano individuato un candidato idoneo a guidarlo. Una novità assoluta, poiché è la prima volta nella storia repubblicana che i leader delle forze che hanno prevalso alle elezioni non assumono direttamente la guida del Paese, delegandola invece ad una figura terza, scelta di comune accordo, ma sostanzialmente esterna ad entrambe, non risultando organico né alla Lega, né al M5S, pur avendo maggiori affinità con quest’ultimo.
In ogni caso adesso Conte è chiamato a formare il governo del Paese, e nell’accettare l’incarico, con riserva come sempre è d’uso in queste circostanze, ha promesso di partire dal programma concordato dalle formazioni che hanno sostenuto la sua candidatura. Di certo vedremo se saprà fare uso di tutte le sue prerogative costituzionali, non confinandosi nel ruolo di esecutore di decisioni altrui. D’altronde, proprio il Capo dello Stato, nell’incontro con leghisti e pentastellati, aveva tenuto a ricordare che il presidente del Consiglio è la guida politica della nazione che autonomamente dirige il governo svolgendo il proprio programma, di cui risponde soltanto alla maggioranza parlamentare che lo sorregge o che, se del caso, lo sfiducia. Questo sta scritto nella Costituzione e soltanto ad essa ci si deve riferire.
Un avvertimento chiaro quello del Presidente della Repubblica. L’ennesima lezione di diritto costituzionale per segnalare che non sono immaginabili altre interpretazioni. Sarà dunque il presidente del Consiglio incaricato, di concerto con il Capo dello Stato, a scegliere i ministri, dopodiché si potrà dare il via libera al primo esecutivo giallo-verde. Prima però, per l’appunto, occorrerà varare la squadra dei ministri e alcuni nomi messi in circolazione, come quello dell’economista antieuro Paolo Savona, proposto per il ministero dell’Economia, suscitano le perplessità del Quirinale. Più in generale, è la forte carica antieuropeista della maggioranza giallo-verde a preoccupare il Capo dello Stato, soprattutto per le ripercussioni sugli equilibri di bilancio e sugli impegni internazionali. A questo si aggiungono le esorbitanti promesse elettorali, tra flat tax, reddito di cittadinanza e revisione della legge Fornero, a preannunciare una navigazione che si annuncia irta di ostacoli non solo per il futuro premier, ma per il Paese intero.