Dal Poz, «infrastrutture e stabilità le vere emergenze»

Crisi Embraco e dintorni – Secondo il presidente di Federmeccanica «è giusto pregare per i lavoratori che perdono il lavoro, ma anche perché dalle Elezioni esca un Governo stabile». Nodo centrale la fragilità del mercato italiano

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Alberto Dal Poz, presidente di Federmeccanica

In queste settimane in cui al nostro territorio sono state dedicate aperture di quotidiani e telegiornali per via della vicenda dell’Embraco, abbiamo chiesto al presidente di Federmeccanica, Alberto Dal Poz, di riflettere sul tema della globalizzazione. 45 anni, torinese, coniugato, tre figli, ingegnere, Dal Poz è amministratore delegato della Comec, azienda da lui fondata nel 1995 specializzata nella componentistica meccanica di precisione per l’industria automotive. Eletto lo scorso giugno presidente di Federmeccanica per il quadriennio 2017-21, è un giovane imprenditore che ha alle spalle numerose cariche importanti nell’associazionismo d’impresa: già presidente dell’Amma, Associazione delle imprese meccaniche e meccatroniche della Provincia di Torino e vice presidente dell’Unione Industriale di Torino dal  2013 è stato anche vice presidente di Federmeccanica.

Presidente, papa Francesco distingue tra una globalizzazione «buona», che accresce i legami tra i popoli e crea ricchezza e quella «cattiva» pilotata dal «mercatismo» senza scrupoli sempre alla ricerca di nuovi territori da sfruttare e poi abbandonare. È questo il caso Embraco?

Non entro nel caso specifico che non conosco a fondo, pur condividendo la preoccupazione per i dipendenti, le famiglie ed il territorio che in questo momento soffrono per la dichiarata chiusura dello stabilimento di Riva presso Chieri. D’altra parte l’impresa si alimenta per la capacità di fare profitto e sta all’imprenditore di localizzare le proprie attività dove il risultato può essere migliore. In questo non c’è nulla di illegale. Globalizzazione non sempre è sinonimo di delocalizzazione «selvaggia». Del resto le multinazionali sono un fondamentale motore di sviluppo ed occupazione anche nel nostro territorio, come ad esempio nel caso di Petronas non distante da Riva o General Electric. Certo, l’auspicio è che si trovino soluzioni di riconversione dell’Embraco proteggendo tanto i lavoratori quanto il patrimonio industriale.

Di che cosa ha bisogno l’Italia per attirare investimenti e fare in modo che le imprese non lascino il nostro Paese?

Per fare impresa in Italia, gli imprenditori locali o le multinazionali hanno bisogno di infrastrutture, strade, trasporti, reti di comunicazione a banda larga e distribuzione dell’energia. Non solo la realizzazione di infrastrutture crea immediatamente nuova occupazione ma prepara una migliore competitività di sistema che a sua volta proteggerà e incrementerà l’occupazione negli altri settori. Nel nostro territorio l’export ha fatto da traino nei momenti di crisi ma per questo bisogna essere competitivi  appunto rispetto agli altri sistemi-paese. D’altra parte l’Italia è ancora capace di attirare capitali anche sulle infrastrutture basti pensare al recente acquisto della rete ferroviaria Italo da parte degli americani.

Siamo alla vigilia delle elezioni politiche. Quali sono gli altri fattori su cui un Governo per la competitività dovrebbe concentrarsi per scongiurare altre situazioni come Embraco?

Un fattore chiave per decidere di investire in un Paese è il Costo del lavoro per unità di prodotto (Clup) che in Italia è purtroppo aumentato del 30 per cento. Il problema non è il costo del lavoro di per se stesso ma il valore di ciò che quel lavoro produce. Qui entra in gioco il cuneo fiscale, in Italia tra i più altri del mondo: quel lavoro che costa caro all’imprenditore rimane solo in piccola parte disponibile al lavoratore come redito netto, una volta pagati tasse e  contributi.

Cosa chiede il Presidente di Federmeccanica al Governo che uscirà dalle urne nei prossimi giorni?

Martedì 6 marzo a Chieri, giustamente, la comunità diocesana invitata dall’Arcivescovo si ritroverà per pregare con le famiglie colpite affinché si trovi una soluzione di riconversione che salvi i posti di lavoro dell’Embraco e perché il nostro territorio, già provato dalla crisi, non perda una risorsa importante. Ricordiamo che attorno all’Embraco ruota un indotto significativo: se l’azienda chiude non saranno «solo»  500 le persone che perderanno il lavoro. Ma mi permetto di aggiungere, da imprenditore e da padre, che per il futuro del nostro Paese occorre pregare perché ci sia stabilità. Perché l’Italia torni ad essere credibile sul piano internazionale ha bisogno di un Governo stabile, affidabile, che favorisca le imprese che vogliono investire nel nostro Paese. Non si delocalizza solo perché il costo del lavoro altrove è più basso…

Dunque l’industria deve tornare al centro delle politiche economiche del nuovo Governo…

Certamente. E c’è ancora molto da fare: il «Piano Calenda industria 4.0»  è andato nella direzione giusta, sostenendo gli investimenti per il rinnovamento delle tecnologie di produzione nelle imprese. Sono già presenti misure per promuovere la formazione dei lavoratori per stare al passo con l’evoluzione tecnologica. Ci attendiamo che il nuovo Governo prosegua e incrementi questa linea di intervento essenziale  per dare stabilità e continuità di crescita e per attirare nuovi investitori. Non dobbiamo avere paura del progresso: il cambiamento, la cosiddetta industria 4.0 se ben gestita porterà sviluppo.

Ma da più parti si teme che i robot cancelleranno migliaia di posti di lavoro, come quando fu inventato il motore a scoppio, poi la macchina elettrica e dopo ancora i computer…

La cosiddetta terza rivoluzione industriale con l’avvento dell’automazione iniziò negli anni ’70: già allora si temeva che i robot avrebbero sostituito l’uomo tagliando posti di lavoro ma non fu così: alla Fiat sulle linee della Ritmo furono installati i primi robot programmabili che alleggerirono il lavoro degli operai e questo fu senza dubbio un vantaggio. Certamente accadrà che i robot della quarta rivoluzione industriale che stiamo vivendo soppianteranno alcune mansioni: ma per costruire e manutenere i robot occorrono aziende che creeranno occupazione e questo nuovo sistema industriale produrrà nuovi bisogni e nuovi mestieri migliorando la qualità del lavoro.

Lei dunque non è pessimista…

Un cristiano non può che essere portatore di speranza. Pur nella complessità del periodo storico che stiamo vivendo, credo che il mestiere dell’imprenditore, se fatto con la volontà di contribuire a costruire il bene comune per il proprio Paese creando ricchezza e sviluppo, possa dare speranza a patto che tutte le forze in campo facciano la propria parte. Non dimentichiamo che, grazie anche alle Piccole medie imprese tra le ricchezze dell’operosità piemontese, siamo il secondo Paese manifatturiero al mondo.  Ci vuole talento, idee, inventiva (e l’Italia non è seconda a nessuno per capacità creativa) e poi  impegno e responsabilità, rispetto delle leggi  nella convinzione che non tutto è nelle nostre mani…

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