Italiani, sempre più poveri. E poveri sempre più giovani. Lo rivela il rapporto di Caritas italiana «Povertà in attesa» presentato lo scorso 17 ottobre a Roma e frutto delle informazioni raccolte da 1.892 Centri di Ascolto Caritas in 185 diocesi.
Dati allarmanti non solo per la crescita del numero dei poveri (quasi triplicati in 10 anni), ma per le prospettive di un Paese in cui da circa 5 anni l’incidenza della povertà assoluta tende ad aumentare al diminuire dell’età e in cui è cresciuta la percentuale di chi vive in situazioni di fragilità da più di 5 anni.
Il numero dei poveri assoluti secondo il rapporto supera i 5 milioni, di cui i minorenni sono 1 milione e 200 mila, i giovani (18-34 anni) un milione e 100 mila. Quasi un povero su due è minore o giovane. Il 42,2% è di nazionalità italiana, gli stranieri che si rivolgono ai Centri d’Ascolto sono più numerosi in Settentrione mentre nel Mezzogiorno prevalgono le richieste di italiani.
L’istruzione continua ad essere un fattore che influisce sulla condizione di povertà: oltre i due terzi delle persone che si rivolgono alla Caritas ha un titolo di studio pari o inferiore alla licenza media (il 68,3%) e «coloro che hanno un titolo di studio basso o medio-basso», si legge nel rapporto, «oltre a cadere più facilmente in uno stato di bisogno, corrono anche il rischio di vivere una situazione di povertà cronica non risolvibile in poco tempo».
Famiglie e singoli, giovani e anziani «in attesa» come evidenzia il titolo del rapporto, ma un’attesa immobile, rassegnata che fa insorgere problemi depressivi, acuisce la voglia di solitudine e di isolamento: «Le deprivazioni materiali attivano spesso dei circoli viziosi che tramandano di generazione in generazione le situazioni di svantaggio». Così le storie di povertà, continua il rapporto, «risultano sempre più complesse, croniche, multidimensionali»: alla mancanza di denaro si aggiunge e si collega la mancanza di occupazione e sempre più anche della casa. «Su 100 persone per le quali è stato registrato almeno un bisogno quasi 40 hanno manifestato tre o più ambiti di difficoltà, e nell’arco di un anno la percentuale di chi risulta privo di una casa è passata dal 44,3 al 52,5%».
Un quadro nazionale elaborato anche sulla base dei centri d’ascolto delle diocesi piemontesi e in cui la situazione di Torino si ritrova coerente per alcuni aspetti e con delle divergenze per altri.
«Se si considera l’evoluzione della povertà negli ultimi 10 anni», spiega Pierluigi Dovis, «anche Torino ha registrato un aumento, ma negli ultimi 24 mesi, più che l’incremento quantitativo è stato rilevante il cambiamento qualitativo dei casi affrontati. Alle Due Tuniche, il centro d’ascolto diocesano, vengono aiutate in media ogni anno ormai circa 12 mila persone, il numero ha subito poche variazioni, ma si è verificato un peggioramento sostanziale e progressivo della situazione in cui vivono queste persone».
Sul fronte dell’educazione la situazione è critica anche a Torino per la dispersione scolastica e la difficoltà che le famiglie incontrano a sostenere le spese scolastiche: «Molti non riescono più a garantire ai figli la possibilità di andare avanti nel percorso di studi, non hanno i soldi per i libri, per le attività connesse agli iter scolastici».
E guardando alla qualità della vita, si registra anche a Torino l’aumento di chi non ha casa, di chi dorme in macchina, di chi cerca un’ospitalità da amici e parenti che non può mai durare a lungo. «Non sono i ‘tradizionali’ senza dimora, sono persone che hanno perso tutto e che per strada sono ancora più fragili, non hanno mai vissuto così e non sanno come arrangiarsi…». «Il problema abitativo», prosegue Dovis, «dovrebbe aprire una riflessione sulle politiche in atto: non ci sono ammortizzatori sufficienti per quei nuclei che non hanno più soldi per mantenere l’abitazione che hanno acquistato anni prima in condizioni migliori ma al tempo stesso non hanno i requisiti per accedere all’edilizia popolare, e tra questi ci sono molti anziani. Registriamo tanti casi di persone che se nel palazzo in cui risiendono si decidono spese come il rifacimento di un tetto o degli ascensori cadono nella disperazione perché non sono in grado di sostenerle».
Sempre sul piano qualitativo dei poveri ‘torinesi’ si segnalano situazioni di disagio psichico e psicologico che gravano sugli adulti ma anche sui bambini: «registriamo situazioni di disagio nei piccoli che nascono da situazioni famigliari molto complesse legate alla disoccupazione dei genitori, a rapporti affettivi deteriorati. Piccoli disturbi che se non seguiti possono degenerare. Anche la scarsa qualità del cibo che molti nuclei consumano rischia di causare problemi alla crescita dei ragazzi e quindi alla salute futura di tanti ed è per questo che una via di sotegno che cerchiamo di attivare e sostenre come Caritas è quella di fornire cibi freschi».
Al volto giovane della povertà su scala nazionale, Torino aggiunge il peggioramento delle condizioni degli anziani. «Da noi aumentano gli ultrasttantacinquenni che hanno bisogno di sostegno anche per l’ordinario: il cibo, le spese mediche, le spese per l’abitazione».
«Se il rapporto parla di poveri ‘in attesa’», conclude Dovis, «non bisogna infine dimenticare proprio quell’atteggiamento disfattista che caratterizza i poveri oggi: sono davvero rassegnati e anche quando riusciamo a offrire qualche opportunità di lavoro ci rendiamo conto di come la loro visione della vita resti spesso negativa, non hanno più entusiasmo e sono profondamente soli. Si pensa che la solitudine sia una scelta, il frutto della vergogna, del senso di colpa, invece è spesso dovuta alla perdita di capacità di mettersi in relazione a quello scivolare nell’invisibilità che fa solo maturare tensioni interiori profonde». Tensioni che possono scoppiare ma che proprio grazie al continuo ascolto e impegno delle Caritas possono anche risolversi e consentire una ripresa: nel 2017 secondo il rapporto sono stati realizzati 2 milioni e 600 mila interventi d’aiuto.