Allarme smartphone nelle famiglie dopo i fatti di Rivoli

Orrore alle porte di Torino – Traffico di materiale pedo-pornografico nel cellulare di un gruppo di adolescenti. Dibattito a Pianezza con genitori e nonni, mille punti interrogativi. Parla la pedagogista Barbara Bruschi. La dipendenza da smartphone riguarda anche gli adulti

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Salone gremito di genitori, nonni e insegnanti martedì scorso a Pianezza, Villa Lascaris, per discutere con la pedagogista Barbara Bruschi su un tema che tormenta le famiglie: il potere straripante dei telefonini nella vita dei figli. Si muovono sullo sfondo mille paure sull’educazione dei ragazzi, ma anche notizie terribili di cronaca criminale: ultima in ordine di tempo l’inchiesta di polizia partita da Rivoli nei giorni scorsi attorno a un gruppo di adolescenti che trafficava immagini pedopornografiche e materiale filonazista sfruttando il popolare sistema di messaggeria WhatsApp. Come gestire –  si chiedono ogni giorno tante mamme e papà – il mondo sfuggente dei social network? E più in generale: come regolare l’uso dei telefonini? O ancora: come mantenere il controllo dell’educazione nel mondo digitale?

I dati Istat documentano le dimensioni ormai totalizzanti del fenomeno. L’85% dei ragazzi tra 11 e 17 anni usa il telefonino tutti i giorni per ore; il 60% dichiara di controllare il proprio smartphone come primo gesto al mattino dopo la sveglia e come ultimo gesto prima di coricarsi la sera. Secondo un parroco intervenuto al dibattito, «la forza avvolgente dei cellulari è una drammatica emergenza: quando provi a togliere il telefonino dalle mani dei ragazzi scopri che non sanno più riempire il loro tempo in altro modo, non sanno più stare insieme». Era forse «meglio quando non c’erano i telefonini?», come si domanda il titolo del dibattito dell’altra sera a Pianezza, promosso dalla Casa di spiritualità Villa Lascaris e dalla Fraternità di San Massimo.

La pedagogista Bruschi (Università di Torino) ha spiazzato una parte dell’uditorio assumendo le difese delle nuove tecnologie, o meglio: suggerendo di non sprecare tempo a processare i telefonini. «Lo sviluppo tecnologico – ha detto discorrendo con il pubblico – è ormai un dato di fatto (portatore anche di molti benefici), non ha senso sperare in un ritorno al passato. Ogni epoca storica ha dovuto affrontare le sue sfide educative, la nostra generazione deve misurarsi con il digitale».

Barbara Bruschi, pedagogista

Bruschi ha ovviamente riconosciuto che la rivoluzione digitale pone i genitori di fronte a sfide molto impegnative, ma si è detta convinta che il problema non sia lo «strumento smartphone» in se stesso: la situazione da correggere «è il comportamento degli adulti, una generazione che si è arresa di fronte alla novità e sta rinunciando a esercitare la propria responsabilità educativa». La professoressa Bruschi riflette sui casi di cronaca nera, sulla vicenda di Rivoli e gli scatti pornografici di ragazzi 13 anni on line. «Siamo proprio sicuri che sia giusto scaricare la colpa sul cellulare – si è interrogata – Non occorre piuttosto ragionare sui genitori? Dov’erano quando i figli si appartavano per scattare le foto incriminate? Per quante ore al giorno li avevano lasciati soli, abbandonati a se stessi?». La pedagogista si appunta sui genitori, a noi sembra che occorra interrogare la società nel suo complesso: famiglie sfilacciate, ritmi lavorativi che allontanano dai figli, penuria di luoghi aggregativi… Finisce che gli adolescenti si chiudono in camera con il telefonino. Quasi 1 ragazzo su 3 oggi confessa di partecipare a scambi di materiale digitale all’insaputa dei genitori. Nella 60% dei casi si tratta di materiale pornografico, ma vanno forte anche le immagini di violenza (11%), l’esaltazione di nazismo e fascismo (8%), gli inviti a emulare comportamenti pericolosi (7%).

«Vogliamo limitare l’uso del cellulare? – ha concluso Bruschi – Bene, torniamo a imporre paletti e regole, accettiamo la fatica di farle rispettare e spendiamo tempo con i figli. Questa la grande impresa che attende i genitori moderni: trovare il modo di stare a fianco dei figli nonostante ritmi di vita e lavoro sempre più stressanti, che cercano di assorbirti, ti rubano il tempo, di portano lontano».

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