La morte lunedì 14 febbraio di Giuseppe Lenoci, 16 anni di Fermo, a causa di un incidente stradale mentre era a bordo del furgone della ditta di termoidraulica dove stava facendo uno stage è avvenuta a pochi giorni dalla scomparsa, in provincia di Udine, di Lorenzo Parrelli, 18 anni, apprendista di primo livello schiacciato da una trave nell’azienda svolgeva il periodo di alternanza scuola-lavoro. In tutta Italia, Torino compresa, gli studenti si sono mobilitati per protestare contro questa modalità di apprendimento ritenuta come una forma di lavoro gratuito a favore delle aziende, oltretutto, in questo caso, con esito mortale.
Pur nello sconcerto e nel dolore per questi gravissimi incidenti, le cui cause sono ancora in fase di accertamento, è opportuna un’attenta analisi delle motivazioni che sottendono alla pratica dello stage per gli studenti e per gli allievi della formazione professionale. L’articolo 1 della legge 107 del 13 luglio 2015, detta anche riforma per «La buona scuola» ha come obiettivi «innalzare i livelli di istruzione e le competenze degli studenti, rispettandone i tempi e gli stili di apprendimento; contrastare le diseguaglianze socio-culturali e territoriali; prevenire e recuperare l’abbandono e la dispersione scolastica; realizzare una scuola aperta, quale laboratorio permanente di ricerca, sperimentazione e innovazione didattica, di partecipazione e di educazione alla cittadinanza attiva; garantire il diritto allo studio, le pari opportunità di successo formativo e di istruzione permanente dei cittadini; incrementare le opportunità di lavoro e le capacità di orientamento degli studenti».
Insieme agli strumenti individuati per raggiungere queste sacrosante e condivisibili finalità troviamo le esperienze di alternanza (denominate anche, nella scuola, Ptco – Percorsi per le competenze trasversali e l’orientamento), un’occasione di confronto con il mondo del lavoro vissuto in prima persona per apprendere nuove competenze e rafforzare quelle acquisite durante il percorso scolastico, per orientarsi ad una professione futura che potrebbe essere quella sperimentata, oppure un’altra, proprio perché la pratica potrebbe dire il contrario.
L’alternanza avvicina i giovani al sistema economico in maniera graduale e strutturata, in dialogo con il territorio e con il tessuto produttivo, individuandone i fabbisogni. Ogni stagista ha nel suo kit di inizio attività un progetto formativo coerente con il proprio percorso scolastico-professionale, con obiettivi adatti al suo livello, stilato fra tutor aziendale e tutor interno, continuamente monitorato, auto valutato e valutato insieme a tutti gli attori che intervengono nel processo di acquisizione pratica delle competenze, siano esse trasversali e orientative, oppure tecniche. Un impianto pensato per il ragazzo, affinché sia accompagnato passo passo nel suo inserimento lavorativo. Una recente ricerca dell’Ires Piemonte (pre-pandemia) evidenzia come a 12 mesi dal termine dei corsi, la percentuale di persone occupate è stata del 51,7 per cento tra coloro che hanno frequentato corsi di formazione professionale e come perciò il conseguimento della qualifica sia associato a un effetto occupazionale pari a 4,1 punti percentuali a 12 mesi dalla conclusione delle attività, osservando che il vantaggio cresce a 7,7 punti percentuali a 18 mesi dalla fine dei corsi.
L’impatto della formazione professionale risulta, quindi, essere complessivamente positivo per tutti i destinatari delle azioni formative. Uno studio dell’Inapp (Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche) sui percorso triennali e quadriennali (quelli riservati ai giovani fra i 14 e i 24 anni) a rafforzare queste riflessioni, indica come il 69% tra i diplomati del IV e il 62,2% di occupati a 3 anni dalla qualifica anno trovi occupazione entro tre anni. Ci si chiede perché, allora, condannare, seppure a causa di due tragici e ingiustificabili incidenti, la prassi dell’alternanza-scuola lavoro che, soprattutto nella formazione professionale, è utilizzata da tempo come valida metodologia? Non conviene prendere decisioni sull’onda dell’emotività che può portare a valutazioni affrettate, ignorando aspetti postivi a vantaggio di quelli negativi. È importante analizzare le cause dei fenomeni, il loro impatto ed in seguito apportare modifiche, migliorando i risultati. Prioritaria l’applicazione delle norme di sicurezza sul lavoro che dev’essere ferrea e controllata, affinché diminuiscano e si annullino gli incidenti soprattutto quelli che portano ad invalidità permanenti o addirittura alla morte.
Mentre esprimiamo la nostra vicinanza alle famiglie di giovani che hanno perso la vita durante l’alternanza scuola-lavoro, auspicando che si faccia chiarezza sulle cause degli incidenti, ringraziamo le aziende che accettano i giovani in tirocinio, perché non è così semplice ed immediato seguirli, addestrarli ad un mestiere ed occuparsi dell’acquisizione di competenze trasversali che li accompagnino nella vita. Chiediamo, al contempo, serietà, coerenza delle esperienze con i profili professionali e soprattutto adeguamento alle normative sulla sicurezza. Sosteniamo chi, ogni giorno, ha il compito di istruire ed educare le nuove generazioni. Ai giovani diciamo di valutare con attenzione e con oggettività i problemi della scuola e del mondo del lavoro, diventando cittadini che contribuiscono alla crescita della società, certi che la loro sensibilità e il loro entusiasmo siano speranza per il mondo attuale.
suor Monica RONCARI fma
progettista Ciofs-fp Piemonte