L’Italia sta correndo verso il razzismo, l’odio e la violenza. Terrificante il rapporto di Amnesty International sulla «La situazione dei diritti umani» nel 2017-2018 in Italia, analizzati sotto quattro diversi aspetti: diritti di rifugiati e migranti; diritto all’alloggio e sgomberi forzati; tortura e altri maltrattamenti; decessi in custodia.
A fine gennaio il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia e presidente della Conferenza episcopale italiana, illustrando la situazione politica del Paese verso le elezioni del 4 marzo, parlò di «partiti del rancore» e rilevò che la discussione era «troppo influenzata da equivoci, incomprensioni, contese politiche»; spiegò che la Chiesa insiste tanto poiché «tutti i poveri, anche quelli forestieri di cui non sappiamo nulla, appartengono alla Chiesa “per diritto evangelico” come diceva Paolo VI» e che il cristiano è chiamato ad andare verso di loro con comprensione e compassione». Aggiungeva: «Bisogna reagire alla cultura della paura: seppure comprensibile in taluni casi, non può mai tramutarsi in xenofobia o evocare discorsi sulla razza che pensavamo sepolti. Non è chiudendo che si migliora la situazione». Il card. Bassetti richiamò la «pagina buia della nostra storia», cioè le leggi razziali emanate 80 anni fa: il 14 luglio 1938 il fascismo pubblicò il «Manifesto del razzismo italiano» e il 15 novembre il governo di Benito Mussolini varò il decreto, poi firmato da Vittorio Emanuele III.
Ora una tragica realtà è fotografata da Amnesty. Sui flussi di migranti dalla Libia all’Italia nel 2017 si legge: «Oltre 2.800 rifugiati e migranti sono morti in mare nel tentativo di raggiungere l’Italia dalla Libia. Il numero è diminuito rispetto ai 4.500 decessi del 2016. Oltre 119.000 persone nel 2017 sono riuscite ad attraversare il mare e a raggiungere l’Italia, a fronte dei 181.000 arrivi del 2016. Ma poiché l’Italia ha collaborato con autorità e attori non statali libici per limitare la migrazione irregolare attraverso il Mediterraneo centrale, il rapporto denuncia che «rifugiati e migranti sono stati sbarcati e sono rimasti intrappolati in Libia, dove hanno subìto violazioni dei diritti umani e abusi». Sono i famigerati campi di tortura libici. Altre 130 mila persone a fine 2017 hanno chiesto asilo in Italia, con un amento del 6% sul 2016: «Nel corso dell’anno oltre il 40% ha ottenuto qualche forma di protezione in prima istanza». Dei circa 35 mila richiedenti asilo che dovevano essere trasferiti in altri Paesi Ue solo 11.464 a fine anno hanno lasciato l’Italia – per la nota opposizione dei Paesi dell’Est – mentre 698 dovevano essere trasferiti in tempi brevi. Dramma nel dramma: oltre 16 mila minori non accompagnati sono giunti da noi via mare.
Amnesty denuncia come il tema dell’odio abbia investito l’Italia, specie in questa campagna elettorale dai patiti di destra e di estrema destra. «Ancora nel 2014 eravamo orgogliosi di salvare le vite dei rifugiati in alto mare e consideravamo l’ospitalità e l’accoglienza ai rifugiati come un valore importante in cui la maggior parte della popolazione si riconosceva» osserva Gianni Rufini, direttore di Amnesty Italia. Oggi siamo un Paese intriso di ostilità, razzismo, xenofobia, rifiuto, paura ingiustificata verso i diversi: migranti, rom, donne, poveri. Alcuni Comuni hanno creato i «Daspo» contro i barboni. In sostanza, un grave degrado nella vita politica e culturale; una deriva sempre più veloce verso il razzismo, l’odio e la violenza.
Lo testimoniano il «Barometro dell’odio» e la campagna «Conta fino a 10» attivata da Amnesty. Dalle 500 attivazioni promosse dal settembre 2017 a oggi emerge che l’80 per cento riguarda migranti e rifugiati – con scivolamenti verso l’islamofobia e la xenofobia – e il 15 per cento i rom con accuse di nomadismo, furto, finta povertà. Il «Barometro dell’odio» sta monitorando le dichiarazioni di oltre 1.400 candidati alle elezioni politiche e regionali del 4 marzo. Ebbene in soli dieci giorni sono state raccolti 500 discorsi offensivi, discriminatori e incoraggianti la violenza; ben il 66 per cento propone discorsi discriminatori e razzisti; il 20 per cento ripete stereotipi con nessun fondamento; il 79 per cento delle dichiarazioni politiche ha come bersaglio le migrazioni, il 12% veicola discriminazione religiosa, il 5% se la prende con i rom e il 4% fa discriminazioni di genere.
Poco deve confortare il fatto che il governo francese lanci la stretta sui migranti con una riforma del diritto d’asilo che scontenta tutti. Il governo Macron ha presentato nuove norme sull’immigrazione; il ministro dell’Interno Gérard Collomb ha difeso il testo e giustificato il pugno duro sostenendo che, se la Francia non avesse rafforzato le leggi, avrebbe attirato i rifugiati vittime di regole più severe negli altri Paesi europei, in particolare nell’Est europeo.
La legge restringe i tempi per ottenere l’asilo a un massimo di sei mesi ma raddoppia da 45 a 90 giorni il periodo di detenzione nei centri di custodia temporanea; poi fissa una pena di un anno di reclusione e una multa di 3.750 euro per chi entra in Francia clandestinamente. Queste misure sono state radicalmente criticate da Amnesty International e da altre associazioni dei diritti umani. Anche diversi operatori dell’Ufficio francese di protezione dei rifugiati e della Corte nazionale del diritto d’asilo si sono messi in sciopero per protesta contro la restrizione dei tempi per ottenere il diritto d’asilo che rischiano di intasare ulteriormente l’iter per mancanza di personale.
Il numero di persone che hanno presentato richiesta di asilo in Francia ha raggiunto il massimo nel 2017, superando le 100.000 unità, molto al di sotto dei 186.000 arrivi di richiedenti asilo registrati nel 2017 in Germania e anche dei 130 mila dell’Italia, ma per il nostro Paese bisogna considerare la (relativa) facilità con cui attraversano il Mediterraneo. Al culmine della crisi dei migranti in Europa nel 2015, la Germania ha registrato 890.000 arrivi.