Aperto il Sinodo, don Bozzolo: “Giovani, mondo da abitare”

Intervista – Il salesiano torinese è tra i partecipanti all’assise dei Vescovi aperta da Papa Francesco il 3 ottobre su “I giovani, la fede, il discernimento vocazionale”: come le comunità si pongono rispetto ai ragazzi e alla loro maturazione

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Si è aperta mercoledì 3 ottobre la XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei Vescovi che si concluderà il 28 ottobre. Tema: «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale». Tra i partecipanti il salesiano torinese don Andrea Bozzolo, professore di Teologia Sistematica presso la Facoltà di Teologia – Sezione di Torino della Pontificia Università Salesiana.

don Andrea Bozzolo

Don Bozzolo, dopo il Sinodo sulla Famiglia l’attenzione della Chiesa si sposta ora sui giovani…

Giovani e famiglia sono due grandi luoghi nei quali misurare i cambiamenti antropologici del nostro tempo. La scelta di questi temi esprime in maniera molto chiara la volontà di Papa Francesco di dare effettiva attuazione all’impegno di una Chiesa «in uscita». Questa richiesta, però, non può essere intesa solo in senso operativo e fattuale, ma riguarda più profondamente un’attitudine dello spirito. Si tratta di tornare ad abitare mondi che sono divenuti distanti, per comprenderli dal di dentro e arricchirli con la luce della fede. Pensiamo, ad esempio, a un tema che è all’incrocio tra giovani e famiglia, ossia il tema del cambiamento della cultura affettiva entro cui i giovani crescono. La Chiesa non può ignorare che i giovani hanno nuovi modi di costruire relazioni affettive, usano nuovi linguaggi per esprimerli, crescono entro rappresentazioni simboliche del corporeo che pongono sfide nuove. Spesso nelle nostre comunità circolano giudizi catastrofici su questa realtà, ma le proposte costruttive sono poche. La preoccupazione è giusta, ma deve tradursi in impegno, non in lamentela. I giudizi lapidari come anche una vicinanza accondiscendente non aiutano i giovani. Occorre uscire per abitare il loro mondo, come ha fatto Gesù, e rendervi accessibile la testimonianza del Vangelo.

Abitare il mondo dei giovani significa affrontare un mondo che li mette di fronte a grandi scelte. Sempre più oggi si descrivono i ragazzi come incapaci di decidersi, propensi a deferire, a volte disorientati da appartenenze molteplici di cui non riescono a fare sintesi. Concorda?

L’età della giovinezza non è semplicemente una tra le tante stagioni della vita, ma è quella in cui la decisione a proposito di sé, ossia l’orientamento fondamentale per il proprio futuro, si presenta come il compito decisivo. Dopo aver ricevuto nei primi anni della vita le cure che consentono il suo sviluppo fisico, intellettuale e morale e la testimonianza della famiglia e dell’ambiente educativo circa il senso dell’esistenza, il giovane è chiamato ad assumere la propria posizione personale. Egli prenderà alcune decisioni che riguardano aspetti importanti, ma parziali dell’esistenza, come la scelta del luogo di residenza, della professione, di un impegno sociale, di un orientamento politico. Prenderà anche decisioni che daranno alla sua identità personale e al suo progetto di vita una configurazione determinante. È a proposito di tali decisioni radicali che parliamo più precisamente di scelte di vita: è infatti la vita stessa, nella sua singolarità irripetibile, che vi riceve orientamento definitivo. È il caso emblematico della scelta matrimoniale o della scelta per una chiamata ministeriale o religiosa. In tali scelte l’uomo radicalmente decide, nel senso che in mezzo alle mutevoli condizioni storiche in cui si trova, egli si lega irrevocabilmente, investendo tutto se stesso in una direzione. Questo è il grande traguardo dell’età giovanile; tutta la giovinezza è destinata a ricapitolarsi in questa decisione, che introduce nell’orizzonte esistenziale dell’età adulta, ossia del tempo in cui tale decisione dovrà mostrare la propria tenuta e consolidarsi pazientemente nella fedeltà, così da portare frutto e divenire testimonianza per altri. Nelle scelte di vita, dunque, l’uomo si trova convocato nel punto più rovente dell’esperienza, cui non può giungere se non sperimentando in qualche modo la vertigine della libertà. Quando in una scelta si gioca la vita, emergono alla coscienza le domande radicali circa il senso dell’esistenza, circa la sua origine e il suo destino, circa il carattere affidabile o illusorio delle sue promesse. Ogni decisione di vita pone ultimamente a confronto con la morte, che nei confronti dei progetti umani solleva l’obiezione più radicale, quella che sembra attestare la vanità di ogni impegno, la vacuità di ogni opera, e la destinazione di ogni legame a essere tragicamente reciso e inghiottito dal nulla. Le scelte di vita pongono dunque l’uomo, e particolarmente il giovane, di fronte all’abisso, facendogli sperimentare allo stesso tempo l’euforia delle possibilità che si aprono nel futuro e lo sgomento di fronte all’incertezza dell’esito.

Papa Francesco, dialogando con i giovani sui temi che sono oggetto di questo Sinodo, ha affrontato molte volte il tema delle scelte di vita invitandoli a domandarsi anzitutto ‘per chi sono?’, spostando l’attenzione sulla relazione. Perché?

La scelta umana ha sempre il carattere di una risposta. L’interrogativo «per chi sono io» proposto dal Papa è capace di aprire il varco per l’avventura della vita, perché indirizza a decifrare l’identità nella forma dell’ascolto e della risonanza, e quindi della gratitudine per il dono e dell’assunzione della responsabilità. È in questo decentramento da sé che l’io, paradossalmente, si ritrova. La lezione evangelica cui il Papa s’ispira, d’altro canto, trova precisa corrispondenza su questo punto in alcuni filoni dell’antropologia filosofica contemporanea, soprattutto di matrice fenomenologica, che avvertono l’esigenza di ripensare lo statuto del soggetto nell’orizzonte della donazione.  Di fatto, il mondo ci raggiunge interpellandoci con le meraviglie e con i drammi di cui è intessuta la storia. Il credente sa che attraverso gli eventi del mondo, ultimamente è interpellato da Dio. La Sua voce non ci raggiunge semplicemente dall’esterno, entrando in noi come una presenza estranea e invasiva, ma parla nel profondo dell’essere, nel luogo in cui emerge la singolarità di ciascuno di noi con la ricchezza inconfondibile dei suoi talenti e dei suoi doni. Per questo nella visione cristiana, il tema della scelta è inseparabile da quello della vocazione; la comprensione del progetto personale è inseparabile dalla prospettiva del discernimento della volontà di Dio.  Certo, il tema della vocazione ha bisogno di essere profondamente ripensato e i documenti sinodali offrono elementi pertinenti in questa direzione. Non si può, però, non ammirare l’audacia con cui Francesco ha assunto uno dei temi recepiti dal senso comune come più esclusivi di forme specifiche di vita ecclesiastica per farne il perno della pastorale giovanile.  Nel corso dei secoli, la comprensione teologica del mistero della vocazione ha conosciuto accentuazioni diverse, a seconda del contesto sociale ed ecclesiale entro cui il tema è stato elaborato. Questo ha condotto, di volta in volta, a mettere in evidenza singoli aspetti, con prospettive che non hanno sempre saputo salvaguardare con pari equilibrio la complessità dell’insieme. Nella stagione moderna, ad esempio, il tema della vocazione è stato interpretato secondo una logica che intendeva reagire agli incipienti fenomeni di secolarizzazione della sfera pubblica. In tale contesto la terminologia vocazionale è stata utilizzata in modo quasi esclusivo per indicare la chiamata al sacerdozio o alla vita consacrata. Nella stessa epoca, poi, si è dato forte risalto alla trascendenza eterna della scelta divina che indirizza il singolo a uno stato di vita, ma non si è sempre prestata adeguata attenzione al fatto che la chiamata ha una struttura dialogica. Per questo la vocazione ha potuto essere presentata in termini un po’ oggettivistici, come una realtà che “si trova”, “si ha” o anche “si perde”, lasciando un po’ in ombra il fatto che “vocazione” sia il nome più autentico della libertà e dell’identità personale.

Nella formulazione del tema del Sinodo la parola «vocazione» è inserita anzitutto nella prospettiva del  discernimento vocazionale. Cosa significa porre l’attenzione su questo aspetto?

Il discernimento è il processo spirituale che conduce a decidere in conformità al volere di Dio, imparando a riconoscere la sua voce, a “distinguerla” dalla voce dell’uomo vecchio che è in noi e dalla tentazione del maligno, con la sua logica ingannatrice. Se ogni decisione deve aprire a una novità, il discernimento è l’arte di accogliere la novità di Dio, di collaborare al suo avvento, di porsi al suo servizio. Dio infatti parla “oggi” alla sua Chiesa, parla alle singole persone e alle comunità per guidarle e orientarne l’azione. Riconoscere la sua voce che apre il futuro è sorgente di gioia e di fecondità e permette di affrontare con coraggio e audacia le sfide della storia. Il discernimento riguarda tutti gli ambiti della vita: morale, spirituale, vocazionale. In ambito pastorale assumere lo stile del discernimento significa impostare la programmazione delle attività e maturare le decisioni con un più chiaro riferimento all’azione ispiratrice dello Spirito.

Accompagnare i giovani nel discernimento significa prima di tutto dunque porli in dimensione di ascolto?

Normalmente nella comunità cristiane gli spazi per la partecipazione giovanile non mancano: dall’impegno in oratorio al servizio caritativo verso i poveri, dall’animazione della liturgia al coinvolgimento in movimenti e associazioni, dalla valorizzazione delle competenze tecnologiche fino all’incoraggiamento dell’impegno sociale sul territorio. Il problema, di solito, non sono gli spazi, ma gli atteggiamenti. Dove infatti la comunità cristiana ha uno stile “aziendale”, prevale facilmente la tendenza a usare i giovani e il loro protagonismo. Quando invece la comunità si pone davvero a servizio dei giovani, prevale sulle singole iniziative la preoccupazione di introdurli gradualmente all’esperienza del discernimento. Non si tratta di un processo tecnico, di una mera metodologia da applicare. Si tratta di un’esperienza profonda di fede in cui il protagonista è lo Spirito Santo. Entrare in questo cammino richiede la vicinanza di accompagnatori esperti, di veri padri e madri nello Spirito, che abbiano fatto per primi una profonda consegna della loro vita e siano capaci di introdurre in una logica evangelica di docilità.   Non si può che auspicare che il Sinodo dedicato ai giovani, alla fede e al discernimento vocazionale provochi dunque una riscoperta della sapienza necessaria all’accompagnamento pedagogico e spirituale e susciti nelle singole comunità un nuovo impegno ad accompagnare i giovani a fare le piccole e grandi scelte della vita in un’ottica vocazionale.

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