Siamo tornati all’uso degli ‘ostaggi umani’ per fare politica, con una drammatizzazione della questione migranti, in una fase in cui gli sbarchi in Italia sono scesi del 78% rispetto allo scorso anno (cura Minniti), 14mila in sei mesi, la scelta di Salvini è coerente con il programma della Lega, ma non era previsto nel contratto giallo-verde il blocco dei porti.
I profughi dell’Aquarius (629, con un centinaio di minorenni e alcune donne incinte) sono stati trattenuti per giorni nelle acque internazionali, ed ora viaggiano verso Valencia, avendo il nuovo governo di Madrid compiuto una «scelta umanitaria» per salvare vite umane (contestualmente il ministro spagnolo della Giustizia ha ipotizzato una responsabilità penale dell’Italia per omissione di soccorso, secondo il diritto internazionale).
Salvini ha fatto esplodere il caso per ‘svegliare’ Malta e l’Europa. Ma il fine giustifica i mezzi? In realtà l’Ue ne esce a pezzi, con Francia e Spagna contro l’Italia, i paesi dell’Est (con Orban) solidali con il nostro ministro degli Interni, la Germania divisa tra la prudenza della Merkel e l’intransigenza del suo ministro degli Interni; sostengono l’Italia quei paesi europei contrari alla redistribuzione dei profughi e favorevoli al blocco delle frontiere, come se l’Europa potesse divenire una fortezza assediata, chiusa in se stessa, nell’epoca della mondializzazione.
Cosa accadrà alle altre navi delle Ong, si è chiesto allarmato «Il Fatto quotidiano», vicino alle preoccupazioni emergenti tra i pentastellati per la linea dura del Viminale? La risposta di Salvini è sempre la stessa: la chiusura dei porti, con l’obiettivo di annullare la presenza delle navi Ong nel Mediterraneo; ma in queste condizioni quanti barconi di naufraghi, di fuggiaschi dalle guerre, dalla carestia, dalla violenza… potranno affondare, trasformando il Mare nostrum in un nuovo «Mare morto»?
Con molto coraggio, sfidando anche l’impopolarità, il cardinale Francesco Montenegro, arcivescovo di Agrigento, ha definito «una sconfitta della politica» la decisione di chiudere i porti: «L’Europa», ha precisato il porporato, «deve prendere atto che nessuno può fermare i flussi, che sono epocali, e non è chiudendo porti e rimbalzandosi la responsabilità che si troverà una soluzione. Dobbiamo prepararci a un mondo multietnico e a non chiudere porte e finestre».
Il tema dell’accoglienza (tanto caro a Papa Francesco) sembra totalmente scomparso dal dibattito politico, insieme alla questione concreta della solidarietà verso i più deboli, sofferenti, emarginati, come se potessimo ignorare le conseguenze delle guerre che continuano ad insanguinare il vicino Medio Oriente, dalla Libia alla Siria, per non parlare delle stragi in Sud-Sudan, Nigeria, Repubblica centrafricana. Basta blindare i confini italiani per dimenticare questa realtà? Si può rinunciare, come Italia e come Europa, ad una politica di investimenti in Africa, passando dalle parole ai fatti?
Nel recente passato Roma aveva stipulato importanti accordi con la Libia e con la Tunisia, anche per limitare l’immigrazione; perché non rilanciare queste intese con trattative serie, senza bloccare navi di disperati in alto mare? Ancora: era la domenica elettorale la più adatta per il ministro degli Interni per scatenare una nuova tensione politica e sociale?
Durante la crisi per l’Aquarius il Presidente della Repubblica Mattarella non è intervenuto direttamente; ma, ricordando il suo predecessore Giuseppe Saragat nel trentennale della scomparsa, ha lanciato due messaggi emblematici: «Fate che il volto di questa Repubblica sia un volto umano»; «Quando l’Europa si farà e i popoli si riconosceranno nella pace e nella concordia, le frontiere saranno segni convenzionali e non diaframmi, e i singoli gruppi etnici potranno esprimere in piena libertà il proprio genio».
Tra il Quirinale e i Palazzi del Governo due stili del tutto diversi, nella forma e nella sostanza, come ai tempi del minacciato impeachement sulle nomine ministeriali; resta aperta la questione del presidente del Consiglio Giuseppe Conte, ancora una volta scavalcato dal ministro degli Interni e costretto ad allinearsi. Sino a quando? Dovremo con Gentiloni parlare di «governo Salvini»?