Auschwitz e Dio, il mistero del male

Giorno della Memoria – Perché Dio lasciò compiere l’Olocausto? La tragedia dei campi di sterminio ha posto con forza senza precedenti la questione del male nel mondo. Pubblichiamo un intervento di mons. Valter Danna

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Il 27 gennaio 1945 l’Armata Rossa liberò il campo di concentramento di Auschwitz. Il Giorno internazionale della memoria, istituito dall’Assemblea generale dell’Onu nel 2005, vuole non dimenticare ciò che successe nei campi di concentramento nazisti: la cosiddetta «soluzione finale», la Shoah (in ebraico significa «catastrofe», olocausto), cioè lo sterminio del popolo ebraico, degli avversari politici, della diversità in senso lato (quella di omosessuali, zingari, testimoni di Geova, disabili). Si tratta di non dimenticare, valorizzando le testimonianze dei sopravvissuti, i racconti, i documenti e la storia affinché le generazioni future non ripetano una tale spaventosa manifestazione di malvagità umana. Dopo l’Olocausto qualcuno si è chiesto «se fossero ancora possibili la poesia e il pensiero, la fede e la speranza, se ad Auschwitz non fosse definitivamente morta l’antica virtù cristiana della carità» (C. Angelino). Dopo Auschwitz siamo tutti chiamati a riflettere sull’idea di Dio che è stata trasmessa dalla tradizione filosofica e religiosa dell’Occidente. La Shoah è diventata un luogo paradigmatico per riconsiderare la questione del male e del bene, e per la comprensione dell’uomo e di Dio.

Se vogliamo affrontare con serietà l’enigma del male, dobbiamo però ascoltare il consiglio di Pascal di correlare il male al bene: conosciamo noi la potenza del male, se non contempliamo anche quella del bene? Possiamo parlare del male solo se conosciamo il bene. Ma che cos’è il bene?

Il bene nel suo aspetto generale va pensato anzitutto a partire dall’essere che in sé stesso è sempre buono. I medioevali dicevano che l’essere e il bene sono tra loro convertibili: il bene esiste e ciò che esiste è bene. Il bene non è un semplice ideale, ma è concreto, si trova nella realtà. Tuttavia, guardando al mondo, ci accorgiamo che il bene non è separato dal male. Agostino ritiene che Dio avrebbe potuto creare un mondo perfetto, privo di qualsiasi male, ma ha pensato che fosse meglio permettere il male e trarre dal male il bene. Ma allora Dio vuole anche il male? Secondo Tommaso d’Aquino, Dio vuole indirettamente il male come imperfezione naturale e il male della pena (la conseguenza del peccato) a causa di un bene con cui quel male era connesso, ma in nessun modo Dio può volere il male del peccato (che è il vero male), egli permette al male di accadere perché rispetta la libertà dell’uomo, ma può trarre dal male un bene.

In riferimento all’uomo, il bene ha una storia sia individuale sia collettiva, e si caratterizza per essere strutturato su tre livelli: ci sono tutti i beni particolari desiderati da ognuno di noi, ma sono anche beni (d’ordine) tutte quelle strutture socio-culturali che nella storia delle civiltà assicurano i flussi di beni particolari; infine ci sono i valori che sottostanno alle nostre scelte di bene e alle strutture sociali del bene di ordine, attuandosi perciò in modo diversificato nella storia dei singoli e delle comunità e civiltà.

Se tutto questo è vero, anche il male è qualcosa di complesso e strutturato su tre livelli distinti. Accanto ai beni particolari ci sono dei mali particolari: privazioni, sofferenze, torti, distruzioni. Attraverso l’avversione, l’invidia, la gelosia, l’avidità, il risentimento, l’afflizione si possono distruggere le relazioni personali o anche le posizioni delle persone. Popoli e nazioni afflitte possono con facilità essere vittime di distorsioni in tutta la loro visione della realtà, dando così origine a mali organizzati (secondo livello). Infatti, i mali possono diventare cronici, dando origine a strutture di male entro le società umane: il male si organizza e penetra nel bene d’ordine di una società corrompendolo, come un’ondata di criminalità, una depressione economica, una guerra. Tali strutture organizzate permettono ai mali di continuare a ricorrere. Infine, terzo livello, ci può essere il male come negazione del valore.

Al posto del valore estetico dato dalla trasparenza del bene d’ordine di una comunità in cui le cose funzionano bene, c’è oggi la “bruttezza” dell’ordine troppo complesso della società moderna: nella intricatissima rete di interdipendenza di fattori finanziari, economici e politici, l’uomo è posto di fronte ad uno smisurato ingranaggio senza un ordine trasparente nel quale il controllo e il potere sono in mano a oscuri centri di potere e ricchezza. Al posto del valore etico, che fonda il bene della persona responsabile e libera, la tecnoscienza avanza senza rispetto dell’essere umano, i determinismi economico-finanziari s’impongono sulla libertà e responsabilità delle singole persone. Tale negazione del valore etico conduce all’aumento di persone sbandate, conformiste, etero-dirette e contemporaneamente al sorgere di persone che esercitano una volontà di potenza: ingegneri sociali, persuasori occulti, dominatori delle masse. Infine, al posto del valore religioso che pone il soggetto libero davanti a Dio con gli altri nel mondo della storia, c’è la negazione pratica di Dio, l’estraniamento da Dio, il secolarismo, la negazione del peccato e del male. Ciò ha portato l’epoca moderna a estese illusioni: l’illusione del progresso automatico, di una società senza classi (Marx), del superuomo di Nietzsche. Certamente l’appena concluso «secolo breve» (Hobsbawn) con le due guerre mondiali e l’Olocausto ha lasciato cadere tali illusioni creandone delle nuove (si pensi al transumanesimo).

Questa schematica struttura del male umano, ci permette di non sottovalutare la dimensione drammatica e tragica connessa al male, con tutta la sua potenza distruttiva e irrazionale (fino ad Auschwitz, appunto), contro chi propende per una visione addomesticata e rassicurante del male (quasi come l’ombra che esalta la luce). È utile anche ricordare, come fa Paul Ricoeur, che si parla di male e sofferenza laddove c’è coscienza: la materia e il mondo vegetale non soffrono, contro l’istintiva tendenza a proiettare i nostri sentimenti sulla natura. Un terremoto, di per sé, non è né un bene né un male, è un fenomeno geologico; esso diventa un male in relazione alle vite umane (o animali) perché in questi casi crea sofferenza, come il terribile terremoto di Lisbona nel 1755 che, con i suoi quindicimila morti e le enormi devastazioni e dovute anche agli incendi e alle onde anomale dell’oceano, ha stimolato pensatori e religiosi a una riflessione ampia su questo tema.

Tuttavia, se la sofferenza compare già a livello del mondo animale, propriamente il male compare solo con l’uomo perché solo l’uomo può pensare la sua sofferenza, che diviene morale oltre che fisica. Vi sono pertanto due elementi distinti nel male. C’è la sofferenza o male esistenziale, che è ciò che l’uomo subisce per varie cause. C’è il male morale, detto colpa in linguaggio giuridico, oppure peccato nel linguaggio religioso, che è ciò che può essere imputato all’uomo o biasimato in lui perché derivante dallo scandalo di un uso perverso della libertà. Come scrisse Bernanos, «lo scandalo dell’universo non è la sofferenza. È la libertà. Dio ha creato libera la creazione. Ecco lo scandalo degli scandali: perché tutto nasce di qui».

Questo uso perverso della libertà è chiamato peccato, non solo dai teologi ma anche dai filosofi. Il peccato è qualcosa di evidente nella vita umana tanto da attirare l’attenzione di autori ‘laici’, come Marx che critica i peccati della borghesia, come Nietzsche che esprime odio e critica ai peccati delle masse dovuti al Cristianesimo (il risentimento nei confronti della superiorità umana), come Scheler che giudica la società protestante, borghese, capitalista come il prodotto del risentimento contro il Cattolicesimo e la gerarchia ecclesiastica feudale.

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