
L’Azione Cattolica da «strumento della gerarchia» ad associazione «inserita nel disegno costituzionale e nel programma operativo della Chiesa». La discriminante tra «prima» e «dopo» è il Concilio Vaticano II. Cinquant’anni fa nasceva la «nuova» Azione Cattolica grazie al nuovo «statuto» fortemente voluto da Paolo VI e dal presidente Vittorio Bachelet, documento al quale diede una valida mano don Franco Peradotto, assistente dell’Ac torinese, pienamente sostenuto dal cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino, secondo il quale «la gente della mia generazione ricorda l’Azione Cattolica come collaborazione dei laici all’apostolato gerarchico. Il Concilio preferisce partire dalla Chiesa e in questa visione trova il suo posto l’Ac con le varie forme d’impegno laicale».
Lo statuto del 1946 rende l’Ac opera privilegiata della gerarchia, alla quale tutte le altre associazioni devono subordinarsi. Invece lo statuto del 1969 riconosce maggiore indipendenza e libertà di azione. Nella prima parte del XX secolo l’Ac va sotto il segno di Luigi Gedda: presidente Giac (1934-1946); presidente degli Uomini (1946-1952) e fondatore dei Comitati civici che consentono la vittoria della Dc sul Pci nel 1948; presidente dell’Ac 1952-1959. Nel 1959 Giovanni XXIII nomina presidente il torinese Agostino Maltarello. Nel giugno 1964 Paolo VI nomina presidente il romano Bachelet e assistente generale il genovese mons. Franco Costa e li incarica di redigere il nuovo statuto basato su: scelta religiosa, primato della formazione, corresponsabilità dei laici, distinzione dalla politica, attenzione sociale, sensibilità culturale, impegno catechetico e missionario. Bachelet, una vita «nella» e «per la» Azione cattolica, nasce a Roma il 20 febbraio 1926, a 8 anni prende la tessera di «fanciullo» di Ac. Finiti i tempi delle adunate oceaniche, dell’appiattimento sulla Dc, dell’identificazione con i Comitati civici, l’associazione torna alle origini.
Sostenuto dal riformista Giuseppe Lazzati, il giurista Bachelet opera il trapasso senza eccessive convulsioni dando all’Ac una dimensione più religiosa e spirituale, pastorale e missionaria, culturale e sociale. Il suo motto è: «Rinnovare l’Ac per attuare il Concilio». Ne fa un’assemblea costituente per redigere il nuovo statuto al quale lavorano laici e preti. Tre anni di dibattiti e ampia partecipazione, talora con toni duri: c’è chi vorrebbe farne una federazione con organismi diocesani; c’è chi chiede un corpo unico smantellando i 4 «rami»: giovani, uomini, ragazze, donne. Racconta Giacomo de Antonellis nel pregevole libro «Azione Cattolica ieri e oggi»: mons. Franco Costa «si affanna a tamponare le falle, gira la Penisola, parla nelle diocesi, spiega agli assistenti che si vuole arrivare a un’associazione ecclesiale, una forza capace di inserire i laici nella vita ecclesiale e nel rapporto tra Chiesa e mondo». Partono corsi di cultura religiosa: il messaggio della salvezza, il comandamento nuovo, la vita di grazia, la liturgia, la Chiesa e il mondo, la Parola di Dio, il mistero eucaristico, il senso della carità.
A Milano emerge Comunione e liberazione, gruppo autonomo che si collega a Gioventù Studentesca di don Luigi Giussani. Con due armi ottiene notorietà pubblica e forza politica: fare rumore in ogni occasione e in ogni spazio; penetrare in tutti i centri di potere con propri uomini. Cresce la concorrenza e Cl fruisce delle simpatie di numerosi vescovi. Paolo VI il 19 marzo 1975 benedice e incoraggia don Giussani: «Vada avanti così, questa è la strada». Strategia contraria a quella dell’Ac, che preferisce la sostanza alle ostentazioni. Il furore della contestazione, la mentalità anti-istituzionale, il desiderio di cancellare il passato, la messa in discussione di certezze etiche e religiose alimentano il disorientamento.
Nel centenario di fondazione (1868-1968) l’Ac partecipa, l’8 dicembre, a ranghi serrati in San Pietro all’incontro con Paolo VI: abbraccia Bachelet e mons. Costa; stringe le mani ai delegati giovanili Antonio Amore e Maria Leonardi; benedice la Giunta centrale e i tesserati. Inserisce l’associazione «nel disegno costituzionale, nel programma operativo della Chiesa, nel rapporto con la comunità ecclesiale, rapporto che gradualmente si esprime nella collaborazione con la gerarchia della Chiesa, cioè con l’autorità pastorale a cui è affidata la promozione, la guida, la santificazione della società». Tesi che permette a Bachelet di spiegare che «il rapporto si fa più stretto nella diretta collaborazione e intima comunione nelle cose che riguardano la Chiesa».
Il 1969 è l’anno del nuovo statuto. A febbraio la Giunta definisce una bozza e la diffonde per osservazioni e integrazioni; il materiale è elaborato a fine maggio; il 13 luglio la commissione speciale della Conferenza episcopale italiana approva il testo. Paolo VI lo promulga «ad experimentum» il 10 ottobre ed entra in vigore il 1°novembre: è la riforma più incisiva in cento anni di storia. Bachelet afferma: «L’Azione cattolica vuole amare la Chiesa che partecipa al travaglio dell’umanità, farsi carico dei suoi problemi, offrire la sua esperienza come forza missionaria di comunione nella Chiesa». È più agile con due settori (giovani e adulti) e con l’Acr per i ragazzi, con i responsabili eletti democraticamente. Antonio Amore, poi prete torinese, ultimo presidente della Giac, ricorda Bachelet: «La sua coscienza illuminava la sua appartenenza ecclesiale e la sua appartenenza ecclesiale rispettava la sua coscienza. Tutto senza riserve e senza integrismi». Il card. Pellegrino il 17 marzo 1968 parla al congresso Giac, per la prima volta in comune tra maschi e femmine. Bachelet smobilita il grandioso apparato (uffici e strutture) ma si assicura che i dipendenti in sovrannumero trovino un nuovo lavoro.
Don Peradotto, stretto collaboratore di Pellegrino, partecipa alla redazione dello statuto, in rappresentanza degli assistenti diocesani: «In sei mesi feci 12 viaggi a Roma. Lavoravo con Antonio Amore, Vittorio Bachelet, Franco Costa. Molti spingevano per uno statuto conciliare ma alcuni resistevano, spalleggiati da ambienti della Curia romana. Purtroppo il settore giovanile fu travolto e smantellato in pochi anni. L’Ac non deve perdere di vista la sua vocazione spirituale e religiosa di associazione di laici che si impegnano liberamente, in diretta collaborazione con la gerarchia, per realizzare il fine apostolico della Chiesa».