Percorrendo corso Giulio Cesare e corso Palermo, cuore del quartiere multietnico di Barriera di Milano, come anche le strade della periferia nord, si ha la fotografia della «città invisibile», invocata spesso dall’Arcivescovo Nosiglia, contrapposta alla «città dei garantiti» che galleggia mentre l’altra affonda. La pandemia ha messo ancora di più a nudo i nodi irrisolti sul rilancio delle grandi periferie in trasformazione e la mancanza di una strategia di welfare capace di rispondere ai problemi noti dell’integrazione, della mancanza della casa, del lavoro, in particolare per i giovani, della sanità, della solitudine per gli anziani.
A Barriera di Milano va crescendo il disagio sociale. In trincea ci sono le parrocchie e le associazioni che continuano a tamponare una situazione di visibile abbandono iniziata ben prima dell’emergenza Covid, quando del Piano periferie, annunciato all’inizio del 2017, erano rimasti solo gli slogan dell’amministrazione pentastellata.
«Del Comune conosco solo l’indirizzo», afferma don Stefano Votta, parroco di Maria Regina della Pace in corso Giulio Cesare, «il dialogo con la Circoscrizione è ottimo, ma manca una strategia sui Servizi sociali a favore delle fragilità; non sappiamo quanto ancora il quartiere possa reggere e lo vediamo tutti i giorni a cielo aperto: droga, spaccio, delinquenza, prostituzione».
Imponente l’impegno delle comunità parrocchiali per evitare un disastro sociale difficilmente ricucibile: la Pace ha messo a punto un piano «Salva sfratti» per sostenere singoli e famiglie che non sono più in grado di pagare l’affitto a causa della perdita del lavoro e neanche di attendere gli aiuti dalle istituzioni. «Impressionante la risposta della comunità», prosegue don Votta, «che ha raccolto una somma significativa che si è aggiunta a donazioni di aziende del territorio. Qui alla Pace respiriamo il Vangelo incarnato: i poveri aiutano i poveri, è questa la chiave che sta permettendo al territorio di andare avanti e combattere la guerra della pandemia evitando il disastro».

Il progetto continua a sostenere 10 famiglie, ma sono 300 quelle prese in carico dalla Caritas parrocchiale, cresciute sensibilmente rispetto al periodo pre-covid: «abbiamo aumentato le borse della spesa e anche la quantità di alimenti distribuiti in modo che non venisse a mancare il cibo per nessun», prosegue il parroco, «riscontriamo però la difficoltà degli operatori a comunicare in quanto il 90% delle persone che sosteniamo sono di origine straniera e pur essendo in Italia da alcuni anni non parlano l’italiano. Facciamo quello che possiamo, ma su questo punto avremmo bisogno di mediatori culturali e poi di un sistema in grado di prendersi cura delle persone a 360°».
La parrocchia sta quindi potenziando il Centro d’ascolto e anche il numero di volontari formati. Fondamentale poi il lavoro di aggregazione svolto dall’oratorio «che impone l’integrazione», evidenzia il parroco, «perché mette le generazioni a confronto e diventa scuola di cittadinanza: nel cortile della Pace, nel rispetto delle regole anticontagio si ritrovano tutte le etnie e le religioni».
Anche la parrocchia Maria Speranza Nostra (via Chatillon) affidata ai Missionari della Consolata è in campo per sostenere le fragilità. Si è recentemente costituito un gruppo di famiglie che ogni giorno a turno portano viveri ai senza dimora che vivono nel quartiere. «Un’iniziativa semplice, strutturata con un gruppo di Whatsapp», sottolinea il parroco padre Nicholas Muthoka, «che soprattutto permette di accompagnare queste persone verso l’autonomia. Alcune famiglie della comunità hanno anche accolto 27 giovani che negli ultimi mesi del 2020 avevano occupato l’ex fabbrica Gondrand in via Cigna, sgomberata lo scorso dicembre dal Comune. Gli occupanti a inizio gennaio si erano poi stabiliti in un’altra fabbrica dismessa del quartiere. «In accordo con l’Arcivescovo», spiega il parroco, «abbiamo stilato un progetto di accoglienza di tre mesi che ha permesso a 27 persone di trovare un lavoro, di uscire dal tunnel in cui si erano trovati e riprendere in mano la propria vita: lo sgombero non era certamente l’unica soluzione in quanto, come hanno dimostrato i fatti, non ha risolto i problemi. Abbiamo cercato di coinvolgere il Comune e la Prefettura in un progetto condiviso ma l’unica risposta è stata quella degli sgomberi e del trasferimento in dormitori comunali».
Fruttuosa la collaborazione delle parrocchie e delle associazioni intorno ai Bagni pubblici di via Agliè, la Casa del quartiere, dove sotto il coordinamento della Circoscrizione sono nati progetti virtuosi per intercettare fragilità e offrire risposte.
«Attorno ai Bagni pubblici si è creato quel sistema e quella rete che manca nei quartieri di periferia», sottolinea Carlotta Salerno, presidente della Circoscrizione 6, «un punto di riferimento che raccoglie le situazioni più critiche per offrire risposte adeguate con l’importante coinvolgimento delle parrocchie».
«Il Comune», conclude il vicesindaco Sonia Schellino, «fin dall’inizio della pandemia ha attivato il progetto ‘Torino Solidale’ che, con la distribuzione di buoni spesa e panieri alimentari, ha intercettato 20 mila famiglie di cui una su 6 in Barriera di Milano. I colloqui per accedere ai sostegni sono stati occasione per indirizzare le persone verso i servizi in ottica di segretariato sociale. Attraverso i punti di distribuzione è stata incrementate la rete con il coinvolgimento di parrocchie e associazioni. È stato massimo poi lo sforzo in particolare nei quartieri di periferia sull’emergenza abitativa, soprattutto in ottica preventiva attraverso accordi fra proprietario e inquilino, il sistema Lo.ca.re e i fondi Salva sfratti attivati».