Sta per concludersi l’«anno di San Giuseppe» (2020-8 dicembre-2021) indetto da Papa Francesco. Pochi sanno che San Giuseppe è il «compatrono di Torino». Il patrono principale, da sempre, è Giovanni Battista. Si presume che la devozione sia stata rilanciata nel 602: Aginulfo, duca di Torino, fa erigere una chiesa in suo onore. La grande «apostola» della devozione a San Giuseppe è la beata Maria degli Angeli (Maria Anna Fontanella), splendida figura di carmelitana scalza, una delle glorie della città, la prima torinese elevata agli onori degli altari: Pio VI la dichiara venerabile il 5 maggio 1778 e Pio IX la beatificata il 25 aprile 1865.
Nasce a Torino il 7 gennaio 1661 da ricca famiglia della nobiltà: il padre è il conte Donato Fontanella di Santena, la madre Maria dei Tana di Chieri, è imparentata con San Luigi Gonzaga. La chiamata religiosa è forte ed esplicita fin dall’infanzia. Superate le resistenze della madre, quindicenne entra nel convento delle Carmelitane scalze annesso alla chiesa Santa Cristina in piazza San Carlo. Le sue virtù sono così evidenti alle consorelle e ai superiori che chiedono una particolare dispensa al Papa affinché, nonostante la giovane età, possa essere priora: è rieletta tre volte di seguito. La sua «creatura» è il nuovo Carmelo di Moncalieri, dedicato a San Giuseppe, dove si ritirerà in età avanzata. Generosa e volitiva, si distingue per il fervore ascetico, per l’eroismo delle virtù, per il dono di grazie mistiche che attirano l’attenzione delle consorelle e delle persone di ogni ceto e categoria: ricorrono a lei per consiglio o per chiedere le sue preghiere. Propaga la devozione a San Giuseppe. Quando le chiedono di pregare, invita a chiedere l’intercessione del «santo custode di Gesù e di Maria».
Il Piemonte, dal giugno 1690, è afflitto da una guerra sanguinosissima che provoca sofferenze indicibili e devastazioni su tutto il territorio. Vittorio Amedeo II, esasperato dalle prepotenze di Luigi XIV, «le roi Soleil, il re Sole» che aveva invaso il ducato di Savoia, conclude l’accordo ed entra nella «Lega di Augusta» contro il sovrano francese. È guerra aperta, terribile per un piccolo Stato con i nemici attorno alla capitale, con la scarsezza dell’esercito, mentre le truppe austriache e spagnole, mandate in soccorso, sono ancora lontane. Energico e fiero, giovane e inesperto, Vittorio Amedeo II, la «volpe savoiarda» e primo re di Sardegna, fronteggia un esercito ben addestrato e guidato dall’astuto generale Nicolas Catinat che attacca con crudeltà inaudita popolazioni indifese. La guerra si trascina per anni e alterna vittorie e sconfitte, perdite e devastazioni, distruzione dei raccolti, paesi a ferro e fuoco.
Un giorno Maria degli angeli alle monache dice che per quell’anno sarebbero rimaste senza grano perché i francesi avevano incendiato le messi della cascina di Collegno, presso Torino. La notizia sarà confermata dal fattore. L’episodio dà un’idea della gravità della situazione di Torino con i nemici alle porte. La madre intensifica preghiere e penitenze e si sente rispondere dal Signore che la grazia sarebbe stata concessa se Torino si fosse posta sotto il patrocinio di San Giuseppe. Ne informa immediatamente la madre del duca, Cristina Borbone-Francia, con la quale ha rapporti di amicizia. Madama Reale, che la stima molto e che tante volte ha sperimentato la saggezza e la prudenza di madre Maria degli angeli, accoglie il suggerimento e scrive al Consiglio dei sindaci proponendo San Giuseppe «compatrono» di Torino.
La proposta della duchessa è accolta a pieni voti e mons. Michele Antonio Vibò, arcivescovo di Torino fissa le celebrazioni. Il Carmelo di Moncalieri conserva copia dell’avviso dell’arcivescovo: accenna alle calamità che affliggono la città; vede come un segno della Provvidenza il fatto che i sindaci vogliano ricorrere alla potente intercessione di San Giuseppe; comunica che la festa del compatrono è fissata alla terza Domenica dopo Pasqua, a Santa Cristina; ricorda l’invito del vecchio Testamento all’afflitti popolo d’Israele in Egitto: «Ite ad Joseph»; esorta «a porgere al grande e nuovo comprotettore umili e fervorose preghiere a proprio e commune bene»; avverte che «l’unico ostacolo valevole a impedire che s’ottenga quella larghezza di spirituali e temporali vantaggi sono le mortali offese di Dio».
San Giuseppe non delude: il 7 ottobre 1696 il duca Vittorio Amedeo II firma la pace di Vigevano. Da allora sino al 1847 il corpo decurionale assiste alla festività nella terza domenica di Pasqua. Maria degli angeli spira il 16 dicembre 1717 e dal 1865 è beata. Pur ritirata nel Carmelo, partecipa intensamente alle vicende di Torino capitale, lasciando una sua biografia: Giovanni Bosco ne fa un volumetto delle «Letture cattoliche». Ella desidera partecipare alle sofferenze della passione di Cristo, che la giovane Marianna vede nella Sindone durante l’ostensione del 4 maggio 1674 voluta dal duca Carlo Emanuele II. Scrive con bellissimi piemontesismi: «Mostrarono il SS. Sudario. Mia madre mi mandò a vederlo. Trovandomi sul istesso poggiolo un de’ nostri padri (un carmelitano, n.d.r.) mi chiamò se volevo andare appresso di lui che mi avrebbe parata dalla pioggia che veniva in abbondanza. Mi cominciò a interrogare se volevo esser religiosa. Mentre mi andava raccontando della sua osservanza (Regola) mi sentivo andar crescendo il desiderio. In quel ponto venne una ramata di pioggia: questo buon religioso mi pose la sua cappa su la testa: Oh, Dio! Che effetto mi fece nel mio interno questa cappa. Mi pareva d’esser sotto i1 manto che SS. Vergine: la supplicai che mi volesse accettare per sua figlia. L’istessa petizione feci ai SS. Sudario e con tanta tenerezza di cuore che quello non mi guastò la pioggia del cielo, mi guastarono le lacrime delli occhij. Restai con tale sicurezza interna che non ne dubitai più».