Hanno incarnato i dettami del Concilio Vaticano II e della giustizia sociale cristiana. Per questo sono stati uccisi. Il cardinale Angelo Giovanni Becciu, prefetto della Congregazione dei Santi, inquadra così i quattro martiri che ha beatificato il 27 aprile 2019 a La Rioja, in Argentina.
«Dobbiamo avere un orecchio al Vangelo e l’altro al popolo» diceva mons. Enrique Angelelli, vescovo di La Roja, ucciso il 4 agosto 1976 in un finto incidente stradale dagli sgherri della dittatura militare in Argentina. Una voce scomoda. Con lui beatificati tre suo collaboratori: i sacerdoti Carlos De Dios Murias e Gabriel Longueville e il laico Wenceslao Pedernera massacrati «in odium fidei».
Figlio di emigrati italiani, Enrique nasce a Córdoba il 17 giugno 1923. Entra in Seminario a 15 anni. Studia a Roma dove è ordinato nel 1949. Tornato nel 1951 a Córdoba, matura una spiccata predilezione per i poveri. Visita le «villas miserias», le baraccopoli; fonda un movimento giovanile; è assistente della Gioventù operaia cattolica (Joc) e di quella universitaria (Juc). A 37 anni, il 12 dicembre 1960, Giovanni XXIII lo nomina vescovo ausiliare di Córdoba: per l’ordinazione la Cattedrale si riempie di operai e povera gente. Partecipa al Concilio Vaticano II e ne respira l’aria di rinnovamento. In diocesi gira i «barrios, quartieri» delle città e i «pueblos, villaggi» più poveri. Ha una memoria formidabile: non dimentica un nome o un volto. Sogna una «Chiesa dei e per i poveri»; appoggia le istanze di alcuni preti, ma questo fa inviperire i benpensanti. L’ambiente ostile lo minaccia di morte. Difende i «campesinos» e lo chiamano «vescovo rosso», titolo attribuito a molti altri: da Sant’Oscar Arnulfo Romero, arcivescovo martire di San Salvador a Helder Câmara Pessõa, arcivescovo brasiliano di Olinda e Recife, estensore del conciliare «patto delle catacombe» e grande amico del cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino, altro «vescovo rosso»; dal bergamasco don Alessandro Dordi, beato martire in Perù, al siciliano don Giuseppe Puglisi, beato martire della mafia palermitana che lo accusa di comunismo.
Paolo VI nel 1968 lo nomina vescovo di La Rioja dove il «pelao, pelato» Angelelli svolge un servizio pastorale a tutti, in particolare a lavoratori e contadini; denuncia l’usura, la droga, le case da gioco e lo sfruttamento della prostituzione. Per questo è contestato dai conservatori che il 13 giugno 1973 interrompono la sua Messa con il lancio di pietre. Spiega: «Non posso predicare la rassegnazione. Dio non vuole uomini e donne rassegnati; vuole uomini e donne che lottano pacificamente per la vita, la libertà e non per finire in una nuova schiavitù».
Il 24 marzo 1976 i militari, capeggiati dal generale di origini italiane Jorge Rafael Videla, destituiscono la presidente Isabel Martínez de Perón e si insediano al potere. Fino al 30 ottobre 1983 è la «guerra sucia, sporca». Per 7 anni si macchiano di orrendi crimini contro l’umanità con migliaia di morti e «desaparecidos». Si proclamano difensori della fede; propugnano «Patria, Famiglia, Proprietà»; non lo amano per niente perché appoggia la «Codetral», cooperativa di lavoro rurale; il sindacato delle collaboratrici domestiche; la «Fatre», federazione dei lavoratori rurali e stivatori; l’«Aoma», associazione operaia mineraria, la «Coordinadora campesina» che consente ai contadini di scambiarsi esperienze e di leggere il Vangelo. Lo denunciano a mons. Vicente Zaspe, arcivescovo metropolita di Santa Fé. Paolo VI ordina un’ispezione ma il «visitatore» stende una relazione piena di elogi ad Angelelli: «Condanniamo le violenze e le diffamazioni contro la sua persona e contro il suo impegno volto a elevare i settori più poveri del popolo e ad avviare il rinnovamento conciliare».
I militari stringono il cerchio. Arrestano il vicario generale e due giovani contadini: le domande dell’interrogatorio riguardano il vescovo. Un ufficiale farfuglia: «Giovanni XXIII e Paolo VI hanno portato la Chiesa alla rovina, hanno distrutto la Chiesa di Pio XII. I documenti della Conferenza episcopale di Medellin del 1968 sono comunisti. La diocesi di La Roja è separata dalla Chiesa argentina». Angelelli pensa alle dimissioni «se possono essere utili al bene della Chiesa»; chiede a sei sacerdoti di mettersi in salvo; nel giugno 1976 sono arrestate sei suore. Il 18 luglio 1976 poliziotti in borghese sequestrano due dei suoi preti più impegnati, il francescano conventuale Carlos de Dios Murias e il parroco di Chamical, don Gabriel Longueville, «fidei donum» francese: guardati con sospetto e spiati per l’impegno a difesa dei contadini. I loro corpi sono ritrovati orrendamente mutilati. Il 25 luglio il contadino Wenceslao Pedernera, organizzatore del «Movimiento rural catòlico», è assassinato in casa da uomini incappucciati davanti alla moglie e alle figlie. Il vescovo celebra il loro funerale e confida: «Ora tocca a me. Magari simuleranno un incidente».
Il 4 agosto 1976 Angelelli guida la «jeep» con accanto il sacerdote Arutro Pinto. Al chilometro 1058 della nazionale 38, vicino a Punta de los Llanos, un’auto li sorpassa e li spinge a destra. La «jeep» si rovescia; Pinto perde conoscenza; Angelelli è trovato sei ore dopo con il cranio fracassato. I militari parlano di «incidente stradale»; impediscono ai giornalisti di avvicinarsi; invadono il vescovado.
Passano 38 anni: nel luglio 2014, Luciano Benjamín Menéndez e Luis Fernando Estrella, due alti ufficiali, sono condannati all’ergastolo. Qualcuno li ha visti sparare il colpo di grazia alla testa del vescovo dopo l’incidente. Altri tre accusati, tra cui il capo della Giunta militare generale Videla, sono morti prima del processo. Tra le prove dell’omicidio una lettera di Angelelli e un documento. La lettera del luglio 1976 al nunzio apostolico Pio Laghi dice: «Veniamo ostacolati nel realizzare la missione della Chiesa. Io, i sacerdoti e le religiose veniamo umiliati, fermati, controllati dalla polizia per ordine dell’Esercito».Il rapporto si intitola «Crónica de los hechos relacionados con el asesinato de los padres Longueville Gabriel e Murias Carlos», i due preti uccisi a Chamical.
Quarantadue anni dopo quello che il popolo chiama «il nostro vescovo martire» e tre suoi collaboratori sono beati.