Sabato 6 aprile presso la parrocchia Maria Regina della Pace in Barriera di Milano a Torino (corso Giulio Cesare 80) verrà ricordato il beato Pier Giorgio Frassati in occasione dell’anniversario di nascita. Alle 17.15 si tiene la preghiera del Rosario per l’Europa e alle 18 la Messa presieduta da mons. Edoardo Aldo Cerrato, Vescovo di Ivrea.
Pier Giorgio Michelangelo Frassati apre gli occhi alla vita in via Legnano 33 a Torino, la sera del 6 aprile 1901 (Sabato Santo), 118 anni fa. Il 18 agosto 1902 nasce la sorella Luciana Teoldolinda Maria. Primogenito di una famiglia della illuminata borghesia liberale biellese-torinese, è un autodidatta della fede. Il padre Alfredo, direttore e proprietario de «La Stampa», poi ambasciatore a Berlino e senatore, religiosamente indifferente ma tollerante, comunica al figlio il senso della libertà e l’apertura agli orizzonti nazionali e internazionali. La madre Adelaide Ametis, sensibile ai valori cristiani, affida lui e la sorella a don Antonio Cojazzi, esperto educatore salesiano e ottimo docente. Cresciuto nell’onestà e nel lavoro, la passione per il Vangelo lo porta a vivere la fede in modo profondo. Frequenta il «D’Azeglio», poi il «Sociale» e Ingegneria meccanica, con specializzazione mineraria al Politecnico.
Pier Giorgio è un giovane pieno di vita, appassionato di sport e montagna. La preghiera, la Messa con Comunione quotidiana, l’adorazione eucaristica notturna e il rosario gli danno la carica, lo rendono attento agli altri, amico dei poveri. Da una spiritualità consapevole nasce la partecipazione all’Azione Cattolica, alla Congregazione mariana dei Gesuiti, al Terz’Ordine domenicano (con il nome di fra Girolamo Savonarola), all’Apostolato della preghiera e alla Conferenza di San Vincenzo; sgorga la militanza nel circolo «Cesare Balbo» della Fuci e nel Partito popolare. Matura un’acuta sensibilità verso la Chiesa e verso la Città e un forte impegno ecclesiale e civile. Vive e testimonia la fede in tutte le situazioni: famiglia, studio, lavoro, politica, divertimento, attività caritativa, vita affettiva, amicizia, sofferenza.
L’esempio gli viene dal padre. Alfredo rimprovera al re Vittorio Emanuele III le debolezze e le reticenze verso il regime mussoliniano. Tra i quotidiani presi di mira dai fascisti c’è «La Stampa» perché il fiero biellese sostiene: «Gli uomini del Fascio sono guerrafondai e il fascismo è la nuova guerra che nasce». Mantiene un vigile impegno nella denuncia delle illegalità e violenze fasciste. Un decreto del regime il 15 novembre 1925 proibisce a Frassati e a Luigi Salvatorelli di scrivere sul quotidiano. Padre e figlio combattono il fascismo, flagello d’Italia. Pier Giorgio matura una chiara coscienza democratica e una concezione della vita e della politica che lo portano a schierarsi con il Partito popolare e contro il fascismo.
Nel novembre 1918 si iscrive al Politecnico di Torino (matricola 509) corso di Ingegneria meccanica con specializzazione in Ingegneria mineraria. Il 6 aprile 2001, nel centenario della nascita, il Politecnico gli ha conferito la laurea alla memoria. Perché Ingegneria mineraria? Il padre per lui vuole un futuro al giornale. Ma Pier Giorgio decide: «Come ingegnere minerario voglio lavorare con i minatori, i più poveri e più sfruttati». Cesare Codegone, laureato nel 1925, pochi mesi dopo la morte di Pier Giorgio, ricorda: «All’esame di Meccanica razionale ci recammo insieme Pier Giorgio e io parlando degli esami e della Federazione universitaria cattolica italiana alla quale entrambi appartenevamo». Affronta lo studio con grande serietà: «Lascio stare le lezioni di tedesco perché mi devo concentrare nella Meccanica razionale e poi incomincerò la pesante Scienza delle costruzioni… Finalmente quel benedetto esame di Meccanica è dato, sono proprio contento di avermi levato un così grande peso».
Alla carriera di studente affianca la presenza attiva in circoli politici, civili, sociali e religiosi. Scrive il professor Gustavo Colonnetti, cattolico di grande levatura, direttore del Politecnico: «Fin dai primi anni di Università era stato preso dalla passione per la politica. Nell’immediato dopoguerra i problemi sociali interessavano tutti gli ambienti giovanili, specie universitari». Membro della Fuci nel circolo «Cesare Balbo» e del Partito popolare, fondato da don Luigi Sturzo il 19 gennaio 1919,Pier Giorgio non sopporta compromessi con il regime. Si impegna nella promozione delle masse diseredate, a partire dai reduci della Grande Guerra che bisogna reinserire, e dai giovani operai che occorre fondere con gli studenti. Contrasta gli anticlericali chi strappano le locandine del «Balbo», anche quella che l’appuntamento dell’adorazione notturna; partecipa alle agitazioni per la tutela giuridica del titolo di ingegnere; è tra i promotori delle proteste contro la riforma universitaria fascista; aderisce all’alleanza universitaria antifascista e partecipa a «Pax romana», che raggruppa i principali circoli universitari cattolici. La protesta da Torino si diffonde in Italia. Un corteo di studenti è caricato dalle Guardie regie a cavallo. Nel parapiglia è arrestato e, mentre attende la scarcerazione, difende un compagno duramente picchiato da una guardia. Il giorno dopo va dal prefetto a protestare per il trattamento riservato dalla polizia ai dimostranti.
L’avversione per il fascismo è forte, specie quando si accorge delle infiltrazioni filo-regime nel «Balbo». A fine agosto 1921 partecipa al congresso nazionale Fuci a Ravenna. insieme ad altri propone di fondere i circoli universitari con quelli operai, di collegare intellettuali e popolo, studenti e lavoratori sui comuni valori cristiani. Secondo luii i laici cattolici devono avere spazio nelle parrocchie. A Roma nel settembre 1921 al congresso della Gioventù Cattolica 50 mila giovani devono partecipare alla Messa nel Colosseo e poi andare in Vaticano da Papa Benedetto XV. Ma il ministro dell’Interno vieta il corteo e l’assistente mons. Pini celebra la Messa sul sagrato di San Pietro e l’incontro con il Papa avviene nei Giardini vaticani. Nel corteo la Guardia regia attacca e Pier Giorgio difende la bandiera del «Balbo». Fermato e trattenuto con altri giovani, quando si sa che è figlio dell’ambasciatore a Berlino, gli offrono la libertà, ma rifiuta. Il giorno dopo appende un cartello sull’asta del lacerato vessillo: «Tricolore sfregiato per ordine del governo».
Renato Vuillermin, responsabile piemontese della Gioventù Cattolica, racconta al quotidiano cattolico «Il Momento» dell’11 settembre 1921: «Il tricolore del nostro circolo, portato da Pier Giorgio Frassati, è preso di mira da un gruppo di agenti che l’afferrano tentando di spezzare l’asta e sgualcire il drappo. Pier Giorgio grida: “Mi strappano il tricolore!”. Un urlo incomposto si eleva, irrompe come furiosa marea e rapidi i nostri giovani balzano sul vessillo già sgualcito, lo strappano di mano ai violenti inalberandolo come un trofeo di guerra. In questo trambusto non poche furono le vittime: Pier Giorgio Frassati rimase pesto e contuso, io ricevetti una bastonata il cui segno è ancora visibile, il figlio dell’on. Brusasca lacerazioni e contusioni, il figlio dell’on. Bovetti percosso, sacerdoti e compagni feriti, arresti in massa».
Il 30 ottobre 1922 – nei giorni della «marcia su Roma» – Pier Giorgio scrive: «In questo momento grave attraversato dalla nostra Patria, noi cattolici e studenti abbiamo un grave dovere da compiere: la formazione di noi stessi. Non dobbiamo sciupare gli anni più belli della nostra vita, come fa tanta infelice gioventù, che si preoccupa di godere dei beni che portano l’immoralità della società. Dobbiamo temprarci per essere pronti a sostenere le lotte che dovremo combattere per dare alla Patria giorni più lieti e una società moralmente sana. Ma per tutto ciò occorre preghiera continua; organizzazione e disciplina per essere pronti all’azione al momento opportuno; sacrificio delle nostre passioni e di noi stessi».
Il 23 ottobre 1923 Mussolini visita. In suo onore il «Balbo» espone la bandiera. Pier Giorgio si indigna: la leva dal balcone e dà le dimissioni. Commenta: «Ritengo che il presidente abbia agito illegalmente esponendo la bandiera dopo aver sentito il parere contrario dei non pochi soci. In un circolo cattolico le azioni devono essere chiare e nette come l’acqua di sorgente». Poi ritira le dimissioni «perché non vi siano malintesi e non venga interpretato il mio atto come un’opposizione a una persona, pur protestando sempre vivamente per l’esposizione della bandiera».
Frequenta la cattolica Unione del lavoro, distinta dalla Camera del lavoro, e il circolo «Gerolamo Savonarola» del Lingotto composto quasi interamente da metalmeccanici della Fiat. Vede nella difesa dei diritti dei lavoratori la realizzazione dei principi cristiani. Va spesso al «Bianchetta» di via Santa Chiara, dove si incontrano lavoratori e studenti. Nel marzo 1924 a Chieri ha un contraddittorio con due fascisti, ma la Milizia nazionale, «in omaggio alla libertà che i fascisti sostengono di non avere represso», assalta il tavolo e fa sciogliere il comizio.
Nel luglio 1923 fa da padrino alla bandiera del circolo cattolico di Pollone, paese originario dei Frassati: «I tempi sono difficili perché la persecuzione contro la Chiesa infierisce quanto mai crudele, ma voi, giovani baldi e buoni, non vi spaventate per questo poco e tenete presente che la Chiesa è una istituzione divina e non può finire. Custodite questa bella bandiera e difendetela perché è sacra: non solo rappresenta il vostro circolo ma il patrimonio più bello della nostra Italia e del mondo civile».
Il padre per protesta contro la marcia su Roma, dà le dimissioni da ambasciatore. Il figlio collabora a «Pensiero popolare», organo della sinistra Ppi. Portando aiuto a una famiglia, ove povertà e mancanza di igiene procurano infezioni, probabilmente contrae la poliomielite fulminante che lo porta alla morte, il 1° luglio 1925, alla vigilia della laurea.