Biino, “la mia ricetta per il Salone del Libro”

Torino – Scrive Giulio Biino, presidente della Fondazione Circolo dei Lettori che gestisce il Salone 2019: “sono orgoglioso che sia emerso un Salone multicolore, aperto al dialogo e al dissenso, contrario agli estremismi, da chiunque e da dovunque provengano, indipendente e fedele ai principi di democrazia della Costituzione”

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Quando sei mesi fa mi chiesero se sarei stato disponibile ad occuparmi del Salone del Libro, in molti mi dissero che sarei stato pazzo ad accettare.

Io pensai quasi subito che invece sarei stato pazzo a non accettare perché, come ebbe a dire Martin Luther King, «può darsi che non siate responsabili della situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non fate nulla per cambiarla». E io, che credo fermamente nella capacità di assumersi le responsabilità, nello spirito di servizio e nel lavoro ben fatto, ho deciso di impegnarmi proprio per cambiare quella situazione, anche per, o soprattutto per, fare nuovamente del Salone la casa di tutti. Mi sono sentito il Mister Wolf di Pulp Fiction del grande Quentin Tarantino, chiamato a risolvere problemi…. E allora lasciatemi dire che il Salone in corso questa settimana testimonia che l’entusiasmo, l’impegno, la determinazione e l’ottimismo pagano.

Mi sono messo alla guida di un manipolo di visionari (ma anche di instancabili ed entusiasti lavoratori) con l’umiltà dell’ «absolute beginner», ma anche con la feroce determinazione di chi vuole portare a casa il risultato, consapevole di avere un preciso compito di supervisione e di garanzia, ma anche di gestione dei rapporti con tutti i player della partita. E se fare politica significa uscire dal proprio particolare per occuparsi della cosa comune allora, in questi 6 mesi, ho fatto politica.

Se fare politica significa investire una parte del proprio tempo, una parte anche importante del proprio tempo, per occuparsi della cosa comune allora, in questi 6 mesi, ho fatto politica.

Se fare politica significa radunare intorno a un tavolo idee e persone, anche molto diverse tra loro, per provare a ricondurle ad unità nel nome della cosa comune, e per il superiore interesse comune, allora, in questi 6 mesi, ho fatto politica.

Se fare politica significa investire denaro che non ti appartiene come se ti appartenesse, con il solo fine di rispettare chi te lo ha affidato, e per il solo interesse comune, allora, in questi 6 mesi, ho fatto politica.

E se la cosa comune ha le sembianze del Salone del Libro, allora sono particolarmente felice di aver fatto politica.

È noto che ho lanciato una serie di appelli, con l’unico scopo di richiamare l’attenzione di tutti sugli aspetti che richiedono la maggiore attenzione affinché il Salone esca davvero, e definitivamente, dall’emergenza. Ho chiesto alle istituzioni di programmare il futuro non limitandosi a progettare l’oggi, chiedendo a quelle che già lo fanno di continuare a mettere a disposizione le risorse occorrenti, pagando con tempestività, e a quelle che si sono mostrate tiepide di manifestarsi per gli anni a venire.

Ho chiesto agli imprenditori e ai commercianti del territorio, se davvero credono nell’importanza di questa manifestazione, e alla sua ricaduta sull’economia del territorio stesso, di sostenerla, e di sostenerla con generosità, ricordando loro che si fa politica investendo tempo e investendo denaro (non aspettando o confidando che altri lo facciano): la cultura della solidarietà, di cui tanto si parla, si declina anche nella solidarietà per la cultura, strumento essenziale per comprendere i mutamenti profondi del presente, insostituibile patrimonio comune, garanzia di crescita e di sviluppo di un Paese.

Ho chiesto ai mezzi di informazione (ed in particolare alla stampa locale) di non strumentalizzare il Salone evidenziandone prevalentemente le difficoltà e le criticità (purtroppo non sono mancate) perché credo non sia così che si lavora «per» il Salone, ma di sottolinearne invece la vitalità, portandone alla luce ed enfatizzandone gli straordinari contenuti, contribuendo così a motivare la squadra che lavora, senza alimentare un velenoso clima di sfiducia e di allarme. Ho chiesto ai cittadini, ai torinesi, consapevole che innumerevoli sono le circostanze in cui l’hanno dimostrato, di continuare ad amare il «loro» Salone, il «nostro» Salone, di quell’affetto genuino ed incondizionato con il quale l’hanno sempre sostenuto, contribuendo a legarlo indissolubilmente a questa città.

Non sono mancate le polemiche, ma sono orgoglioso che ne sia emerso un Salone multicolore, aperto al dialogo e al dissenso, che ha rifiutato di trasformarsi in un palcoscenico elettorale chiedendo ai politici di intervenire unicamente in veste istituzionale, ovvero quali visitatori, contrario agli estremismi, da chiunque e da dovunque provengano, indipendente e fedele ai principi di democrazia enunciati dalla Costituzione, istituzionalmente aperto al dibattito e al confronto.

Torino in questi giorni, come la Parigi di Hemingway, è una «festa mobile», dall’alba a notte inoltrata un grande contenitore di eventi e di incontri aperti e accessibili a tutti nel nome del libro e della cultura. Una Torino con lo sguardo rivolto al futuro, un futuro che credo passi attraverso la sua effettiva trasformazione in un centro di cultura, confidando che la girandola di nomine attese per i prossimi mesi, girandola che muterà gli assetti di potere della città, porti ad una governance che abbia la voglia, la forza e il coraggio di dare un effettivo impulso in questa direzione.

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