Blanco e quella bici lanciata sui Murazzi

Scrive il parroco del Cafasso – «Finalmente li hanno presi», scriveva un giornale pochi giorni fa. L’hanno chiamata «la gang dei Murazzi» ma abitano vicino a casa mia, in Borgo Vittoria.

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«Finalmente li hanno presi», scriveva un giornale pochi giorni fa annunciando l’arresto dei ragazzi che hanno gettato una bicicletta ai Murazzi, riducendo in fin di vita uno studente di 23 anni, Mauro, tragedia immensa alla quale va il nostro pensiero nella vicinanza alla famiglia e nella preghiera.

Sui responsabili del terribile gesto – li hanno chiamati la “baby gang dei Murazzi” – ho ascoltato e letto solo parole dure e cattive. Ma proprio la gravità dell’accaduto ci chiede di riflettere anche sulle origini del loro gesto, così assurdamente violento. Per prevenire, dobbiamo cercare di capire.

Oggi troppi ragazzi vivono in un mondo di adulti che se frega di quello che hanno passato in pandemia e di quello che passa nel loro cuore. È una società liquida dove è difficile trovare qualcuno che ti aiuta a diventare quel che sei, ma è facile trovare chi ti dice: «puoi diventare quel vuoi, quel che ti senti», poi ti molla nelle tue solitudini. Il punto è questo: in un mondo che «molla» su tutti i fronti, dove non c’è quasi più niente che «tiene», sono lasciati a loro stessi e si arrabattano come possono. Nelle foto sui social, quando fanno i duri, sembrano pulcini bagnati.  Il mondo degli adulti li ha abbandonati sulla loro piccola scialuppa, in un mare agitato, e ogni tanto vanno a sbattere su uno scoglio più grande di loro. Adesso che «finalmente li hanno presi», abbiamo risolto il problema o l’abbiamo solo spostato più in là?

Combinazione, nel giorno dell’arresto, andava in scena (ringrazio chi me l’ha segnalato perché io non vedo il Festival di Sanremo da parecchi anni) la finta rabbia borghese di un altro ragazzo (tal Blanco) che ha solo due o tre anni in più di loro, in un crescendo di volgarità e trasgressioni che sembrano costruite ad arte per far arrabbiare i boomer della mia generazione e farti passare la voglia di pagare il canone Rai. Vedendo Amadeus che assecondava i capricci e le trasgressioni del «suo bambino» – che fosse tutto ad arte oppure no, non importa, è comunque un’icona molto espressiva di ciò che voglio dire – ho capito meglio che il vero problema dei giovani è la mancanza di adulti: era lui, Amadeus, il vero bamboccione!

Per consolarmi, mi hanno mandato anche il video di Gianni Morandi con la scopa in mano. Bello! È una figura di adulto che mi piace: non si sofferma a «coccolare» e punta il dito per indicare, non per condannare. È un vero adulto perché è l’eterno ragazzo: un vecchio che è giovane dentro. Infatti, «adulto» è il participio passato di «adolescere» (crescere) e «adolescente» è il participio presente: colui che sta crescendo. «Tutto quel che un ragazzo cerca è un adulto impegnato seriamente con la propria vita, capace di testimoniare che la vita ha uno scopo buono… Lo dico da cristiano, ma la sfida è uguale per tutti. Se doveste alzarvi e dirmi: «Ma io non sono credente», direi che non importa, vale la stessa cosa perché, giratela nella forma più laica che conoscete, la sfida è identica, è tuo figlio che ti guarda e ti dice: «Dimmi comunque qual è l’ipotesi di bene su cui basi la tua vita». Tu devi poter rispondere non a parole ma per un’esperienza vissuta…» (Franco Nembrini).

La settimana scorsa, mentre queste notizie mi gravavano sul cuore e la vita della comunità continuava a premere, ero, come tutti, alla ricerca di punti di luce, di segnali di speranza. Mi ripetevo continuamente il proverbio «fa più rumore un albero che cade di una foresta che cresce» ma sentivo che non bastava.

Ha ragione il nostro Arcivescovo: sul grande tronco antico della Chiesa è necessario trovare i germogli, per sostenere la fede e alimentare la speranza. Provo a raccontarne tre che ho individuato questa settimana nella mia comunità.

Assemblee dei genitori della scuola Cafasso – Ho visto le classi dei bambini piene zeppe di genitori (anche molti papà) seduti dietri i banchi dei loro figli di fronte alle giovani maestre. Facevano tenerezza. Pensavo: questi non mollano! Sono qui perché vogliono il bene, il bene vero, per i loro figli, per Borgo Vittoria, per Torino e per il mondo intero. Sono qui perché, anche solo inconsciamente, sanno che le «regole» non bastano: occorrono i patti condivisi, le alleanze.

La Caritativa di Gioventù studentesca – Che spettacolo, sabato mattina! Vedere una decina di ragazzi, della stessa età di quelli arrestati che vivono nel nostro quartiere, portare il pacco viveri ad alcune famiglie delle case popolari seguite dalla Caritas, è una di quelle scene che non puoi dimenticare. Cristo vince su tutte le brutture della storia.

Gli animatori dell’oratorio – Che spettacolo, sabato pomeriggio! Vedere una ventina di ragazzi, della stessa età di quelli arrestati, far giocare i bambini e andare a casa col cuore contento, è un’altra di quelle scene che ti fanno venir voglia di fare il prete. Cristo continua a conquistare il cuore dell’uomo. «Sei di speranza fontana vivace», cantava Dante. Maria è figura della Chiesa e a me piace definire la parrocchia come la «fontana del villaggio». Insomma, la parrocchia Cafasso è il «Turét del Borgo»!

don Angelo ZUCCHI, parroco San Giuseppe Cafasso

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