«Era il 18 dicembre 1965, giorno di chiusura del Concilio Vaticano II: alla radio sentii i messaggi dei padri conciliari all’umanità e fui colpito da quello rivolto ai giovani. Lo sentii indirizzato anche a me, che avevo 22 anni e vivevo quei giorni con speranza ed entusiasmo per il futuro della Chiesa. Quel messaggio pieno di fiducia metteva in risalto come la giovinezza abbia “la capacità di rallegrarsi per ciò che comincia, di donarsi gratuitamente, di rinnovarsi e di ripartire per nuove conquiste”. Non solo erano riconosciute la forza e la bellezza dei giovani, ma la Chiesa assumeva un nuovo atteggiamento nel suo stare nella storia e tra gli uomini e le donne del nostro tempo».
Per Enzo Bianchi l’8 dicembre 1965 iniziano tre anni di solitudine e di crogiolo nei quali tempra il desiderio di vita monastica nella Sacra Scrittura e nello studio del monachesimo dei primi secoli. Abbandona la carriera universitaria e l’attività politica. Vive in estrema povertà, senza riscaldamento, né acqua potabile, né elettricità. Nonostante l’ostilità del vescovo di Biella attira la benevolenza del cardinale arcivescovo di Torino Michele Pellegrino. Va a Istanbul a incontrare il patriarca ecumenico di Costantinopoli Athenagoras I. Sosta nei monasteri cistercense di Tamié ed ecumenico di Taizé in Francia; nei cenobi ed eremi ortodossi del Monte Athos in Grecia. La vicinanza saltuaria di pochi amici segnano le giornate solitarie scandite dalla preghiera e dal lavoro.
Finché, cinquant’anni fa, nell’estate-autunno 1968, un’altra svolta: un pastore riformato svizzero e una giovane donna di Ivrea chiedono a Bianchi di condividere la sua scelta di vita monastica.
Enzo Bianchi nasce Castelboglione (provincia di Asti, diocesi di Acqui Terme) il 3 marzo 1943. La guerra fa sentire la sua morsa nel piccolo paese abitato da poveri vignaioli. Il papà Giuseppe (Pinèn) sostiene la lotta partigiana. La mamma Angela accetta la gravidanza, nonostante le precarie condizioni di salute. All’anagrafe è registrato Enzo – perché il papà vuole evitare il nome di un santo – ma al Battesimo la mamma fa aggiungere il nome Giovanni. Il padre si professa ateo e ha un profondo senso della giustizia ed è attento ai più poveri; la madre ha una profonda fede cristiana e in punto di morte dice a Enzo, che ha 8 anni: «Di là potrò fare per te molto di più di quello che ho fatto di qua». Fa promettere al marito di permettere un’educazione cristiana del bambino, della quale si occupano la postina Norma Anselmo e la maestra Elvira Ameglio, che Enzo chiama «Cocco» ed «Etta».
Il parroco di Castelboglione lo chiama a fare il chierichetto, gli insegna il latino e chiede al vescovo l’autorizzazione per mettere tra le mani del tredicenne la Bibbia in italiano. Entra nel Seminario minore di Acqui ma – dicono i biografi – «scappa due volte in un mese perché è troppo austero e le pratiche di pietà troppo rigide». Frequenta le medie e la ragioneria a Nizza Monferrato, «camminando ogni giorno in mezzo alle vigne per alcuni chilometri per andare a prendere la corriera».
A 18 anni Enzo aderisce al movimento giovanile democristiano «e partecipa, come i giovani che volevano avviarsi alla carriera politica, alla scuola-quadri». Studia Economia all’Università di Torino e condivide la stagione conciliare con un gruppo di cristiani di diverse confessioni. In un modesto alloggio di via Piave leggono la Bibbia. La frequentazione di Taizé e del priore frère Roger Schutz; la collaborazione con l’abbé Pierre e i suoi straccivendoli a Rouen; la scoperta della teologia e della spiritualità francese; l’anelito per l’unità della Chiesa; la vocazione monastica ispirata a San Basilio – a 14 anni ne aveva letto le «Regole» – e la voglia di radicalità evangelica lo conducono Enzo a Bose, un gruppo di case diroccate sulla Serra di Ivrea, a pochi passi da una chiesa romanica in rovina, in diocesi di Biella.
Tre giovani nemmeno venticinquenni, seguiti da un quarto di Novara. Fratel Enzo redige la regola, approvata da pellegrino, sulla quale i primi sette fratelli emettono la professione monastica nella Pasqua 1973. Bianchi è predicatore della Parola di Dio in Italia e all’estero, è relatore in dialogo con la cultura e l’arte, è pubblicista e ricerca l’unità della Chiesa. Membro della redazione della rivista teologica internazionale «Concilium», dirige per una decina d’anni il semestrale biblico «Parola, Spirito e vita» per volontà del fondatore don Giuseppe Dossetti; è presidente (1978-2000) dell’Associazione per lo sviluppo delle scienze religiose in Italia, diretta a Bologna da Giuseppe Alberigo e poi membro a vita del consiglio della «Fondazione per le scienze religiose Giovanni XXIII».
Nel 1983 crea le Edizioni Qiqajon che pubblica opere in campo biblico, patristico e spirituale. Nel 2000 l’Università di Torino, che lo ebbe studente, gli conferisce la laurea honoris causa in Scienze politiche e nella «lectio magistralis» parla di «Chiesa e Israele: la svolta nelle relazioni».
Membro dell’Académie internationale des Sciences religieuses, fa parte della delegazione che nell’agosto 2003, a nome di Giovanni Paolo Il, porta a Mosca al patriarca Aleksej II l’icona della Madonna di Kazan. Benedetto XVI lo nomina «esperto» del Sinodo del 2008 sulla «Parola di Dio» e nel 2012 sulla «Nuova evangelizzazione»; Francesco del Sinodo 2018 sui «Giovani». Trentennale la collaborazione con il Pontificio Consiglio per l’unità dei cristiani ed è membro del Consiglio del Comitato cattolico per la collaborazione culturale con le Chiese ortodosse e orientali.
Tre i principali «numi tutelari» di Bose: Michele Pellegrino garante del cammino cristiano e monastico della comunità (1968-1977); metropolita ortodosso Emilianos Timiadis: si conoscono nel 1969, segue da amico le vicende comunitarie, si unisce ai fratelli e alle sorelle per gli ultimi dieci anni della sua vita; il cardinale arcivescovo di Milano Carlo Maria Martini, con il quale Enzo si confronta sulla comune sollecitudine per la Chiesa e il dialogo con la società.