Boves, don Bernardi e don Ghibaudo sono beati

La strage nel settembre 1943 – «I preti martiri delle SS hanno insegnato la riconciliazione». Ottant’anni fa a Boves (Cuneo), teatro della prima strage nazista di civili, don Bernardi e don Ghibaudo danno la vita per salvare la popolazione. Domenica 16 ottobre sono stati proclamati beati

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«I preti martiri delle SS hanno insegnato la riconciliazione». Ottant’anni fa a Boves (Cuneo), teatro della prima strage nazista di civili, don Bernardi e don Ghibaudo danno la vita per salvare la popolazione. L’8 settembre 1943 si firma l’armistizio. Vittorio Emanuele III, il generale Pietro Badoglio e i vertici militari scappano a Brindisi. L’ex alleato germanico, con il voltafaccia dell’Italia, ora è il nemico. I partigiani combattono contro i nazifascisti per la libertà e la democrazia. Giovedì 16  settembre 1943 il maggiore delle SS Joachim Peiper arriva a Boves, raduna gli uomini e abbaia la minaccia: «I ribelli nascosti sulle montagne si consegnino o Boves sarà distrutta». Punta il cannone e spara contro i monti verso il santuario Sant’Antonio e colpisce la statua del santo.

La sera di domenica 19 settembre 1943 tutta Boves brucia: un orrendo rogo e 24 assassinati, tra cui il parroco don Giuseppe Bernardi, 46 anni, e il viceparroco don Mario Ghibaudo, 23 anni, che vengono beatificati a Boves domenica 16 ottobre 2022, quasi 80 anni dopo la strage, dal cardinale Marcello Semeraro, prefetto delle Cause dei santi. I sopravvissuti, allora ragazzini, ricordano i due preti che portano in salvo più persone possibile, fanno fuggire bambini e anziani, benedicono e assolvono la gente che corre impazzita per le strade. Il parroco aveva affidato il Santissimo alle Clarisse e aveva chiesto alle suore di far pregare le orfanelle del monastero.

Domenica mattina due tedeschi giungono a Boves su un’auto: i partigiani li catturano e li portano in montagna. Un reparto di SS – senza sapere della cattura – assale i partigiani a Castellar: l’attacco nazifascista non è una rappresaglia ma un crimine predeterminato. Peiper minaccia: «O entro un’ora restituite i due soldati o oggi Boves sarà distrutta». Il parroco Bernardi e l’industriale Antonio Vassallo si prestano come mediatori e corrono in montagna dai partigiani. Prima di partire il prete chiede a Peiper una garanzia scritta, ma il maggiore risponde che «la parola di un ufficiale tedesco vale più di cento firme di italiani». Racconta ad «Avvenire» Maria Lucia Giordanengo, 90 anni: «Avevo 11 anni e abitavo subito fuori Boves in direzione Castellar. Ho visto il taxi di Luigi Dalmasso salire con a bordo il parroco e il signor Vassallo con una bandiera bianca fuori dal finestrino».

Un’ora dopo i due ambasciatori scendono a Boves con i due tedeschi illesi perché i partigiani, intuendo il pericolo, li hanno mollati subito. In teoria Boves è salva, non fosse per la perfidia dei nazifascisti. La signora Giordanengo: «Un ufficiale tedesco, che da giorni aveva occupato una stanza in casa nostra con il cane lupo e tante armi, ha chiesto a mio padre la bicicletta e dei fiammiferi ed è partito per Boves: oltre a usare i lanciafiamme bruciavano i tetti con sfere impregnate di liquido incendiario. È tornato all’imbrunire, ha restituito la bici e, prima di sparire, ci ha detto “Voi restare qui, noi non bruciare vostra casa”: per lui era una forma di “gratitudine”. Fatto sta che la nostra è l’unica della zona rimasta in piedi e tutti i vicini si sono rifugiati da noi».

Aggiunge la signora: «Boves era un inferno di calore e odore, sembrava la fine del mondo, le mucche che bruciavano vive nelle stalle e i muli fuggivano terrorizzati».

Peiper fa carta straccia della sua promessa. Don Bernardi e Vassallo sono catturati ed esposti per ore su un carrarmato, portati in giro e costretti ad assistere allo scempio delle che vengono incendiate con la gente dentro. «Mio padre era il direttore della Cassa rurale – ricorda Franco Giraudo, 87 anni –. Li vidi sull’autoblindo tedesco, poi le SS appiccarono il fuoco alle case. Mentre con la mamma e le mie quattro sorelle scappavamo verso Cuneo, sentimmo una sparatoria tremenda: era quella in cui moriva don Mario Ghibaudo, il viceparroco». I tedeschi sono ubriachi – rammentano i superstiti – «hanno bevuto come spugne e ora infieriscono sulla gente, anche i due rilasciati dai partigiani». Don Ghibaudo è giovane: lo ricordano pallido raggiungere «don Bernardi ostaggio sul panzer, gli porta del caffè e gli chiede l’assoluzione. Tutto intorno grida, pianti, confusione. Don Mario conduce nelle campagne le orfanelle; torna in paese, benedice, assolve; porta in salvo l’anziana paralizzata Maddalena, 90 anni; incontra due nonni che scappano con i nipotini, uno disabile in carrozzina. Un SS spara al bambino, che si salva rovesciandosi nel fossato; allora spara al nonno e don Mario corre a dargli l’assoluzione ma sul braccio benedicente l’SS scarica il mitra, poi lo pugnala al petto».

I due preti sono martiri «in odium fidei». Testimonia Francesca Ramero, 94 anni: «Il giorno dopo nel cortile di mio fratello furono trovati tre cadaveri. Uno aveva gli scarponi e lo piangemmo come mio fratello, l’altro pareva avere la gonna e pensammo fosse mia cognata, sul petto un blocco carbonizzato doveva essere il loro bimbo di 18 mesi. Solo a sera abbiamo saputo che erano i corpi di don Bernardi con la talare e di Vassallo, e quello che sembrava il bambino era una trave annerita». Accanto ai due corpi, l’orologio di don Bernardi fermo alle 18.54, il rosario a pezzi e due pallottole. Sulle montagne di Boves ai soldati allo sbando si aggiungevano centinaia di militari che rientravano dalla Francia e ingrossavano le formazioni dei «ribelli», comandati da Ignazio Vian che avverte tutti: «State nascosti, oggi a Boves scoppierà la guerra». Secondo la Ramero, Vian «guai se sapeva che i suoi prelevavano la roba. Ricordo alcuni ragazzi tedeschi che chiedevano rifugio e piangevano». Dal giorno dell’eccidio al 27 aprile 1945 Boves pagò con più di 700 case bruciate e centinaia di morti. Ma il sangue dei martiri ha generato una straordinaria capacità di perdono: la città ha creato una «Scuola di pace» e ha stretto un patto con Schondorf, la cittadina dov’è sepolto Peiper.

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