Brasile, la catastrofe degli Yanomami

Intervista – Parla Padre Dalmonego, missionario della Consolata da anni nello Stato di Roraima. I numeri della tragegia: 570 bambini morti negli ultimi 4 anni per fame, dissenteria o malaria

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Il 20 gennaio il Governo federale brasiliano ha dichiarato l’emergenza sanitaria nel territorio Yanomami, più di 9 milioni di ettari negli stati di Roraima e Amazonas al nord ovest del Paese, e ha istituito una task force per valutare la tragedia nel territorio indigeno: 570 bambini morti negli ultimi 4 anni, migliaia di persone senza assistenza sanitaria, senza cibo, assediate dalla malaria e con le fonti idriche inquinate. Una «catastrofe umanitaria» che appare esplosa improvvisamente: sui media circolano foto di territori devastati, di uomini e donne malati, denutriti. Abbiamo contattato padre Corrado Dalmonego, Missionario della Consolata, uditore al Sinodo dei Vescovi per l’Amazzonia che da oltre 15 anni vive con e per i diritti del popolo indigeno, prima nella Missione Catrimani che i religiosi fondati dal Beato Allamano hanno avviato nel 1965 nelle terre Yanomami, e che oggi è a Boavista, capitale dello Stato di Roraima, sempre impegnato con i confratelli e con la Chiesa locale nella promozione e difesa dei popoli indigeni. Opera che è da anni sostenuta nella nostra diocesi dal Co.Ro (Comitato Roraima di solidarietà con i Popoli Indigeni del Brasile) fondato nel 2000 da Carlo Miglietta (www.giemmegi.org).

Padre Corrado Dalmonego, Missionario della Consolata a Roraima

Padre Corrado, come è in questo momento la situazione?

La drammatica situazione che ora è agli occhi del mondo, non è di adesso, ma ormai da diversi anni. La prima riflessione da fare è sul perché se ne parla ora, nonostante sia stata documentata e denunciata moltissime volte dai leader indigeni, dalla Chiesa locale… Credo che i media nel governo precedente di Bolsonaro avessero timore a raccontare quanto stava accadendo e quindi non c’era mai visibilità. Ora, con il cambiamento politico determinato dalle elezioni, se ne parla ed è emersa in tutta la sua drammaticità una realtà che però è così da molto tempo e che non si risolverà né in breve, né sull’onda dell’emozione del momento.

Ci aiuti a capire…

Il problema nasce dai garimpeiros, i cercatori d’oro illegali, che sin dalla fine degli anni ’80 hanno invaso il territorio Yanomami. Un’invasione aumentata con la crescita del prezzo dell’oro, ma anche con la mancanza di contrasto al fenomeno. Anche se nel ‘92 un decreto aveva stabilito l’uso esclusivo del territorio al popolo indigeno, negli anni 2015 e 2016 sono state chiuse le basi di protezione etnoambientale, poi si è verificato il progressivo ridursi dei controlli da parte degli organi competenti per proteggere le terre indigene e perseguire azioni criminali e dal 2018 sono state anzi incentivate dal governo, con appositi decreti, le attività di estrazione e si è trovato il modo, consentendo semplici autocertificazioni, di rendere legale l’oro estratto illegalmente. Così quell’oro che ha generato morte e distruzione arriva anche in Italia, dove per il 70% è utilizzato per la realizzazione di gioielli e beni di lusso, un mercato sempre più fiorente e a sostenerlo oggi si contano nel territorio Yanomami 20 mila cercatori illegali, che hanno distrutto oltre 4 mila ettari di foresta. Le immagini satellitari sono impressionanti: immensi crateri che superano per estensione quella di 400 campi da calcio; non si vede più il corso dei fiumi, è tutto fango. Gli animali, spaventati dai mezzi di estrazione, sono fuggiti, le acque sono inquinate da vari elementi tra cui mercurio (usato per separare l’oro dalla roccia, ndr), i pesci muoiono…

Ambiente distrutto, ma la popolazione?

La distruzione ambientale forse è quella che inizialmente allarma maggiormente l’opinione pubblica ed è certamente grave, ma non è l’unico effetto della attività dei garimpo. La loro presenza è presenza violenta, che istiga al conflitto e che non teme di rispondere ai controlli dell’esercito a colpi di mitraglia; è violenza sessuale; è diffusione di alcol e droga che destabilizza, distrugge le comunità indigene, ne altera l’economia e poi ci sono i problemi sanitari connessi.

Si parla infatti di emergenza sanitaria, perché?

Emergenza perché le condizioni a cui si è arrivati da un punto di vista della salute purtroppo precipitano rapidamente. Anche in questo caso i motivi sono tanti: intanto è stato smantellato dal governo precedente il sistema che garantiva assistenza su tre livelli: nella comunità, nei presidi nella foresta e per i casi più gravi con il trasporto in città. La violenza dei garimpo ha reso insicuro per i medici arrivare nelle comunità, la riduzione del loro numero ha lasciato presidi scoperti che i garimpo hanno utilizzato o come deposito per i loro materiali o hanno distrutto. Così niente prevenzione, nessuna possibilità per gli ammalati più gravi di cure in ospedale, circa 11 mila persone non hanno più alcuna assistenza. Tagliati i fondi sono venuti a mancare anche i farmaci, la china per contrastare la malaria il cui aumento è un’altra conseguenza della devastazione ambientale. La malaria qui è endemica, ma fino a pochi anni fa era circoscritta e controllata, ora si stima che il 70% degli indigeni siano affetti da malaria, la sua incidenza dal 2014 al 2022 è aumentata di 10 volte. Poi sono cresciuti i casi di tubercolosi e di denutrizione. I popoli indigeni, dato il loro isolamento, non hanno sviluppato anticorpi per le malattie arrivate con la presenza dei garimpo. Una situazione che in 15 anni di vita con loro non avevo mai visto così tragica, dalle comunità arrivano denunce che parlano di bambini che presentano sintomi che potrebbero essere dovuti alla contaminazione da mercurio: bambini che nascono con problemi neurologici, calvi…  Per non parlare di quelli che non ricevono da almeno 2 anni le medicine per i parassiti intestinali e sono invasi dai vermi. Una situazione fuori controllo e bisogna anche dire che i dati della mortalità, dell’inquinamento sono sottostimati, perché i controlli negli ultimi anni non sono stati fatti, o solo parzialmente… Si parla di 570 bambini morti negli ultimi anni, ma chi registra? Qui si nasce e si muore nell’indifferenza.

Quali prospettive per il futuro?

La speranza è che ora gli interventi siano progettati in dialogo con le associazioni e con chi, come noi Missionari della Consolata, opera da anni insieme al popolo Yanomami, per far sì che gli aiuti siano efficaci e che non si risponda solo con una logica emergenziale. La dichiarazione dello stato di emergenza è un fatto importante che permetterà vari interventi e oggi che la situazione è arrivata sui media tutti sono pronti a fare, ma il rischio è che fra qualche mese nessuno parli più e i popoli indigeni continuino a morire, a vedersi privati dei loro diritti.

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