Non passa giorno in cui i media non diano notizia di episodi sconcertanti legati ai danni materiali e soprattutto psicologici sui nostri ragazzi provocati dall’abuso di smarthphone e social. Un fenomeno – come sottolinea Roberto Alborghetti, giornalista, già inviato dell’Eco di Bergamo, formatore, scrittore di saggi e testi sul tema dell’educazione – che è cresciuto a dismisura a causa della pandemia. «La didattica a distanza che ha obbligato i nostri figli a casa incollati a pc e cellulari» sottolinea Alborghetti «ha fatto abbassare pericolosamente l’età in cui i ragazzi sono stati ‘costretti’ ad entrare nelle maglie della rete. Molti genitori mi scrivono preoccupati perché i loro figli anche in età della scuola primaria, che prima del Covid non praticavano smarthphone e computer, a causa della Dad sono diventati ‘dipendenti’ del cellulare». Ecco perché l’ultimo lavoro di Alborghetti è intitolato provocatoriamente «(De)generazione digitale: «Ragazzi sempre più dipendenti dalla Rete, attirati in una bulimia di immagini ed esperienze che rischiano di ‘killare’ il cervello».
I destinatari del volumetto, un vademecum con schede per dialogare in famiglia, sono genitori, insegnanti e formatori per metterli in guardia dagli effetti «devastanti» dell’uso inconsapevole di questi strumenti. «Il testo nasce per rispondere alle domande che mi sono state poste durante centinaia di incontri nelle scuole, con genitori e insegnanti, nelle parrocchie e associazioni giovanili», prosegue l’autore, «su come mettere in guardia i nostri ragazzi dai pericoli della rete e come gestire consapevolmente le nuove tecnologie per non ‘killare’, cioè uccidere, il cervello. La posta in gioco è altissima: si va dai reati on line commessi ogni giorno da persone senza scrupoli ai danni nei nostri adolescenti ma anche dalla leggerezza con cui i genitori – che nativi digitali non sono – usano i social media». Un esempio sono le chat dei genitori che Alborghetti indica come una delle cause della «devastazione dei ruoli».
Pensiamo a quanti guai provocano queste chat – che vengono lette dai ragazzi quasi in tempo reale – quando i genitori criticano (talvolta insultano) il preside, questo o quel professore sui voti delle verifiche, sul carico di studio, sulle presunte ingiustizie commesse in classe. Avvisa Alborghetti: «ma ci rendiamo conto che con una frase su Whatsapp mettiamo in discussione l’autorità scolastica che per un ragazzo in formazione è lo Stato? Attento, tu genitore che togli valore ad un docente: presto verrai esautorato da tuo figlio perché gli avrai dato il consenso a mettere in discussione qualsiasi autorità. Che cittadini stiamo crescendo? Che modelli di persona stiamo presentando ai nostri figli?».
E si potrebbero fare tanti altri esempi: dagli influencer che diventano venditori di pubblicità («Una mamma mi ha telefonato disperata quando il figlio le ha alzato le mani perché gli ha negato l’acquisto dell’ultimo modello di smarthphone che ha visto su Tik Tok» racconta Alborghetti), al tempo che i social rubano alle nostre vite. «Gli smarthphone hanno in mano le giornate dei nostri figli e anche di tanti adulti: molti ragazzi mi dicono ‘ma mia mamma e mio papà sono sempre al telefonino e non mi ascoltano’. Questo maledetto oggetto – il cellulare – sta mettendo in crisi anche la genitorialità… e non ce ne rendiamo neppure conto».
Che fare allora? «Innanzitutto essere coscienti del problema e far capire ai nostri figli che passare 4-5 ore al giorno a smanettare sul telefonino è tempo sottratto allo studio, alle amicizie, allo sport, alla socialità. Il tempo è prezioso e questo vale anche per noi adulti. Se vanno in crisi i rapporti umani salta tutto. Siamo in pericolo ma ancora in tempo per recuperare».
Come? «Ad esempio lasciare ogni tanto il cellulare e tornare a scrivere con la propria calligrafia, è un salutare esercizio per tutti. Non è la nostalgia del passato. Semmai, è riappropriarci di noi stessi. Sentire, anche attraverso una mano, tutto ciò che è vita, che è generazione dell’alfabeto nel nostro presente. Vero. Concreto. Nostro».
- R. Alborghetti, (De)generazione digitale, Funtasy editrice, 2022, 60 pagine, 10 euro