Carcere, sovraffollamento e lavoro: ecco le emergenze

Parla il giudice Arturo Soprano – Abbiamo chiesto al magistrato che dirige il «Presidio per la legalità» del Comune di Torino quali sono le urgenze dei penitenziari italiani e torinesi: “è necessario che la nuova e attesa riforma carceraria non abroghi le misure alternative alla pena che danno ai detenuti la possibilità di reinserimento nella società”

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Sovraffollamento, emergenza sanitaria soprattutto per i malati psichiatrici, aumento dei suicidi, carenza di opportunità di lavoro e di alloggio per chi finisce di scontare la pena o usufruisce delle misure alternative: sono i nodi  delle carceri italiane che, secondo il giudice Arturo Soprano, sono da sciogliere per fare in modo che «la detenzione sia un tempo in cui il condannato venga rieducato al fine del reinserimento nella società. Per questo è urgente che la riforma carceraria sia tra le priorità del nuovo esecutivo prima che la situazione superi i limiti di guardia». Arturo Soprano, fino al gennaio scorso presidente della Corte d’Appello di Torino, ha alle spalle 43 anni di magistratura.  Una lunga carriera svolta soprattutto in Lombardia, iniziata a Gavirate in Provincia di Varese dove, tra l’altro, ha diretto il carcere femminile della zona, poi giudice in numerosi processi contro le organizzazioni mafiose, «Tangentopoli» e corruzione. Quando fu alla guida della terza sezione penale della corte d’Appello di Milano, tra gli altri, ha presieduto i collegi che hanno condannato nel 2013 Silvio Berlusconi a due anni di interdizione dai pubblici uffici per il caso Mediaset.

Un’esperienza di primo piano nell’esercizio della giustizia degli ultimi 40 anni del nostro Paese che, all’indomani del pensionamento, mette a disposizione della città dove ha ricoperto il suo ultimo incarico: il giudice Soprano è membro del Consiglio dell’Opera Barolo come Garante della privacy e si occupa dei rapporti istituzionali e dell’esame del nuovo codice del Terzo Settore e Welfare sociale. Inoltre, dallo scorso maggio, Chiara Appendino lo ha chiamato a dirigere il «Presidio per la legalità, la trasparenza e l’efficienza amministrativa», un organo indipendente incardinato nel Gabinetto del sindaco per controllare la macchina comunale, incaricato di approfondire e proporre azioni ed interventi sui temi della legalità, della trasparenza e dell’efficienza della burocrazia.

«Ho molto apprezzato l’iniziativa dell’Arcivescovo di convocare il Consiglio di amministrazione dell’Opera Barolo all’interno del carcere torinese ‘Lorusso e Cutugno’ lo scorso 29 maggio» sottolinea il magistrato (cfr. La Voce e il Tempo n.25 pag.6).  «A quella riunione, oltre al direttore del carcere di Torino Domenico Minervini, alla garante dei detenuti del Comune Monica Cristina Gallo, al direttore dell’Uepe (Ufficio esecuzione penale esterna di Torino) Domenico Arena,  sono stati invitati i cappellani del «Lorusso e Cutugno» con l’obiettivo di rilanciare l’opera di reinserimento sociale dei carcerati a cui si dedicò la marchesa di Barolo con un lavoro di rete che coinvolga tutti gli attori preposti. Durante l’incontro si è previsto il pieno coinvolgimento dei rappresentanti delle altre religioni professate dai reclusi. L’opera della Chiesa torinese, su indirizzo di mons.Nosiglia, attraverso la Caritas sulla scorta della marchesa di Barolo e dei santi sociali, è in linea con l’attenzione che fin dall’inizio del suo pontificato Papa Francesco  dedica alla realtà dei detenuti ricordando spesso che il primo santo fu il ‘buon ladrone’.  ‘Quelli che sono in carcere stanno scontando una pena per un errore commesso. Ma non dimentichiamo che, affinché la pena sia feconda, deve avere un orizzonte di speranza di reinserimento sociale, altrimenti resta rinchiusa in se stessa ed è soltanto uno strumento di tortura, non è feconda’ ci ricorda il Papa». Per questo – e il distretto sociale dell’Opera Barolo collabora con le istituzioni carcerarie proprio perché non crolli nei reclusi la speranza per il recupero – «è fondamentale  che la nuova riforma non abroghi le misure alternative alla pena che danno ai detenuti la possibilità di mettersi alla prova con attività lavorative fuori dal carcere» prosegue Soprano  «i dati ci dicono che la recidiva di chi sconta la pena totalmente in cella è del 70% mentre per coloro che usufruiscono delle misure alternative la recidiva è del 15, 20%. Dati che si commentano da sé ma che ci fanno riflettere su come certe spinte giustizialiste che orientano l’opinione pubblica solo sul tema della sicurezza o sulla reclusione ‘dura’ sono molto pericolose».

Il magistrato rileva inoltre come altri dati relativi ai penitenziari italiani e piemontesi siano preoccupanti e per questo urge una revisione del trattamento della pena in chiave di reinserimento dei detenuti. «In Italia attualmente sono recluse 60 mila persone contro una capienza delle carceri per 50 mila detenuti; nel 2017 i suicidi dietro le sbarre sono stati 52, ciò significa quasi 10 morti ogni 10 mila ristretti». Una percentuale altissima se pensiamo che, secondo i dati Istat diffusi nel 2017 i suicidi del nostro Paese sono stati 3935.

In questo senso iniziative come la gestione del bar del Palazzo di Giustizia torinese «Bruno Caccia» affidata alla cooperativa sociale «Liberamensa» che occupa ex detenuti e avviata quando Arturo Soprano presiedeva la Corte d’Appello di Torino sono da incoraggiare:  «Questo è il significato del rilancio dell’impegno dell’Opera Barolo in ambito carcerario» conclude Soprano «insegnare a fare bene il bene perché per tutti c’è una possibilità di recupero».

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