Lo scorso 7 agosto è giunto a Torino per l’ordinazione episcopale del Prefetto apostolico di Ulaanbataar, il Missionario della Consolata padre Giorgio Marengo, il cardinale Luis Antonio Gokim Tagle, nominato lo scorso dicembre da Papa Francesco Prefetto della Congregazione per l’Evangelizzazione dei Popoli e dal 2010 Presidente di Caritas Internationalis. È Arcivescovo emerito di Manila dove è nato il 21 giugno del 1957, è stato creato cardinale da Benedetto XVI nel concistoro del 24 novembre 2012. A Torino il card. Tagle ha incontrato l’Arcivescovo e ha visitato la città.

Eminenza, è qui a Torino per la consacrazione di un Vescovo piemontese che sarà la guida di una Chiesa a migliaia di chilometri, una Chiesa di un popolo di cultura e tradizioni molto diverse da quelle occidentali: oggi in un mondo globalizzato e ‘migrante’ quali sono i cardini dell’evangelizzazione?
Anzitutto bisogna considerare che la parola stessa ‘missione’ ha una storia e un contesto. 500 anni fa parlando di missione ci si immaginava nazioni che inviavano e nazioni che ricevevano. Cosa che era valida allora, ed in un certo senso è valida ancora oggi, ma in questo tempo, in un mondo in continuo movimento, bisognerebbe focalizzarsi e riscoprire la parola evangelizzazione. Una parola che prevede un concetto: ognuno riceve e ognuno dona. Un altro aspetto che non si può trascurare parlando di evangelizzazione è quello dell’offrire una buona notizia. È una cosa che già normalmente è parte della vita di tutti i giorni: quando sono in giro e vedo dei buoni saldi in una vetrina chiamo i miei amici e li avviso. Una mamma quando scopre di aspettare un figlio è impaziente di dirlo agli amici. In questo dare una buona notizia non c’entra il paese da cui tu vieni o in cui tu offri questa notizia, ma è l’impulso del cuore del comunicare questa notizia che conta! L’impulso del cuore è ciò che spinge a voler comunicare… La scelta di ordinare un Vescovo italiano che andrà in Mongolia rappresenta proprio questo: la scarsità delle vocazioni religiose non è la fine dell’evangelizzazione. È invece un invito a responsabilizzarsi: a riconoscere che quella di annunciare il Vangelo è la chiamata di ogni battezzato, in ogni luogo. Tutti noi che abbiamo ricevuto il Battesimo siamo chiamati a rispondere al suo significato condividendolo nella nostra vita con chi incontriamo.
I Missionari della Consolata hanno avviato nel 2003 la missione nel Paese asiatico dove i cristiani sono in assoluta minoranza: poco più di un migliaio su tre milioni di abitanti. Religioni diverse, ateismo, culture molto differenti… non c’è il rischio in questi casi di una maggiore diffidenza verso chi arriva dall’esterno?
In Asia, essendo un contesto in cui i cristiani sono pochi, già noi stessi cristiani locali dobbiamo sperimentare un dialogo costante con i nostri fratelli sui temi religiosi. Per quanto riguarda i missionari provenienti dall’Occidente in cui il contesto di partenza è di prevalenza cristiano, può essere che impegnarsi nel dialogo richieda maggiore impegno o sfida. Credo però, che sia che si tratti di asiatici o di altre popolazioni, nel dialogo tutto si fonda sulle relazioni umane. Non c’è dialogo se non si entra in relazione. Il dialogo avviene quando diventiamo consapevoli che incontriamo un nostro fratello in umanità. Avviene quando ci rendiamo conto che in questa umanità che ci accomuna abbiamo cose che possiamo condividere. Abbiamo bisogno di ascoltare e di fidarci e dobbiamo essere pronti a imparare e a celebrare l’unicità delle persone che abbiamo di fronte. Solo in questo tipo dialogo, solo se diventiamo capaci di vedere noi stessi negli altri, si possono fare passi avanti Se ascoltiamo le storie di chi incontriamo se ripensiamo alle esperienze dei nostri antenati, dei nostri nonni, se partiamo da questo campo comune allora possiamo scoprire anche che la diversità – che è reale tanto quanto la comunione nell’umanità – non è nemica. Credo che dobbiamo partire da ciò che ci accomuna per capire che l’altro non è, nella sua diversità, una minaccia.
Eminenza a lei è stata affidata la guida della Caritas Internationalis e quella dell’Evangelizzazione dei Popoli: carità e annuncio che ricorrono nel magistero di Papa Francesco, nel suo invito ad essere Chiesa in uscita verso le periferie dell’umanità…
Partendo dalla mia esperienza proprio come presidente di Caritas Internationalis posso dire che il primo atto di annuncio in un contesto interreligioso è un atto di carità e di vicinanza. Il linguaggio di una carità concreta è compreso e comprensibile da tutti. Sempre nella mia esperienza, specialmente con migranti o profughi non cristiani, mi accorgo che mi chiedono spesso ‘Perchè tu fai questo? Perchè voi cristiani ci volete bene? Perché ci servite?’. Queste persone nella loro spontaneità aprono così le porte del cuore che ci consentono di annunciare, di dare loro una spiegazione a tutto questo. Servire i poveri è già un annunciare il Vangelo. Prima è la carità che spalanca le porte del cuore, poi vengono le parole.
Ha parlato di annuncio che è chiamata d tutti, ma oggi si vive, soprattutto in Occidente, in un contesto di crescente secolarizzazione che è un grosso ostacolo all’evangelizzazione o che rende necessario ormai in alcune realtà una vera e propria rievangelizzazione. La Chiesa nei paesi orientali intravvede, vive questo problema?
C’è una secolarità buona e sana che è anche insegnata dalla Chiesa, perchè il seculum è tutto ciò che è concreta creazione, è dunque tutta opera di Dio e quindi già in sé un elemento positivo. Se il Vaticano II ci insegna che questo seculum ha la sua razionalità, il suo procedere, la sua intelleggibilità e una certa sua autonomia, il problema si verifica quando si passa dalla secolarità – dal seculum – al secolarismo, cioè quando si mettono in contrapposizione le due cose arrivando a dire che questo seculum sarebbe meglio senza Dio. La sfida oggi è dunque di mantenere e nutrire il senso di Dio e del divino continuando la nostra esperienza di umani, fruendo di questo seculum in cui viviamo. Anche in Asia stiamo sentendo questo rischio del secolarismo, questo influsso, ma il senso del divino e del religioso tipico del mondo e della cultura orientale continuano a essere forti e speriamo continuino a esserlo… e anche su questo il dialogo e il confronto può essere una risorsa per tutti.