«Non c’è futuro senza fraternità». L’Arcivescovo di Bologna, cardinale Matteo Maria Zuppi, prima di inaugurare lunedì 20 gennaio il Centro di Senologia Breast Unit dell’Ospedale Cottolengo di Torino, ci risponde così alla domanda sul suo ultimo libro «Odierai il prossimo tuo».
Eminenza, perché oggi affrontare il tema dell’odio?
Perché non c’è futuro senza la fraternità. Bisogna parlarne perché dove non c’è fraternità si fa spazio all’odio, alla rabbia, alle divisioni. Oggi la fraternità è molto dimenticata e deformata dal narcisismo e dall’individualismo: sempre di più l’altro è visto come colui che mi serve, colui che mi mette paura. La spinta stessa alla fraternità a livello di idee, di formazione dei giovani – oltre che la sua concretizzazione nei nostri ambienti – oggi è molto diminuita.
Un discorso di educazione dunque a un valore che rischia di scomparire…
Sì, e non parlo solo in ambito cristiano, ma anche a livello civile, e tanto più noi cristiani, che siamo tenuti ad amare il nostro prossimo e quindi a sforzarci di vivere una fraternità universale, dobbiamo essere vigili su questo. La paura ci fa chiudere e ci fa essere isole, ma come diceva John Donne «l’uomo non è un’isola». L’uomo sta male se non si mette in relazione e se arriva a pensare che l’altro è pericoloso, che l’altro deve stare fuori.
Le sue parole ci riportano a un tema che è quello dei migranti che fanno paura, che si vogliono tenere lontani.
Su questa realtà dell’immigrazione, che anche in ambito cristiano è discussa, bisogna fare chiarezza. Si sente dire: «Prima noi, poi gli altri»; si sente l’obiezione sulla disponibilità di risorse per tutti. Ma io credo anzitutto che si debba uscire da questi dualismi del noi-loro, del prima-dopo, dell’invasione-respingimento. Sono dualismi che deformano la realtà e sono molto pericolosi. Certo che c’è bisogno di accoglienza intelligente. C’è bisogno di un’intelligenza che programma nell’ordinario e che sa offrire risposte in caso di emergenza. Se però l’emergenza è continua e non porta a governare il fenomeno, allora si generano paure e noi dobbiamo uscire da questo meccanismo. È un cambiamento di prospettiva fondamentale e basterebbe guardare alla storia: in passato le migrazioni ci sono sempre state. Noi stessi siamo stati migranti…