Case popolari, polemiche sulla riforma “Prima ai piemontesi”

Regione – A dieci anni dall’approvazione della legge per l’edilizia sociale, licenziata dal Consiglio regionale il 17 febbraio 2010, l’amministrazione guidata da Alberto Cirio ha annunciato l’intenzione di varare una nuova norma sulle case popolari del Piemonte, proposta dall’assessore Caucino

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A dieci anni dall’approvazione della legge per l’edilizia sociale, licenziata dal Consiglio regionale il 17 febbraio 2010, l’amministrazione guidata da Alberto Cirio ha annunciato l’intenzione di varare una nuova norma sulle case popolari del Piemonte.

Secondo l’assessore alle Politiche della casa, Chiara Caucino (Lega) «le attuali regole vanno riviste attraverso modifiche e integrazioni, nell’ottica di mettere al primo posto i cittadini piemontesi»; gli annunciati punti principali della nuova norma saranno «i requisiti d’accesso all’edilizia sociale, il sostegno alla morosità incolpevole e la gestione del patrimonio di edilizia pubblica piemontese».

Pur essendo alle battute iniziali, l’iter di riforma ha suscitato dibattito e polemiche in relazione alle dichiarazioni di «priorità» basate sull’annunciato criterio della residenza. Per l’accesso alle case popolari «peserà» più di altri parametri il periodo di permanenza in Piemonte? Oppure sarà riservata una quota degli alloggi sulla base della cittadinanza? «La norma in preparazione», spiega l’assessore Caucino, «concede punteggi aggiuntivi ai residenti da 15, 20 o 25 anni. Gli stranieri in regola e residenti in Piemonte da diversi anni potranno usufruire dei medesimi vantaggi». Critiche alle ipotesi di revisione del provvedimento sono arrivate dal capogruppo del Partito democratico in Regione Piemonte, Raffaele Gallo: «‘Prima i piemontesi’ è un motto quanto mai in contrasto con le norme della nostra Costituzione e con quelle di un’Unione Europea libera, democratica, aperta: introdurre premialità basate sugli anni di residenza nella nostra Regione non è il criterio valido per risolvere il problema dell’emergenza abitativa». I paletti sulla residenza sono in effetti scivolosi: i critici nei confronti dell’ipotesi del vincolo citano la recente sentenza della Corte Costituzionale che ha cassato la legge sulle case popolari della Regione Lombardia annullando la regola dei cinque anni di residenza in regione per rientrare tra i «beneficiari dei servizi abitativi pubblici», nonostante l’abbia lasciato valido, al limite, come «elemento da valutare in sede di formazione della graduatoria».

I dati dell’ultimo Rapporto sull’Edilizia residenziale pubblica a Torino registrano il dato degli sfratti nel capoluogo riferito all’anno 2018: 2.264, di cui il 93% per morosità, l’8% in più rispetto a quelli dell’anno precedente, mentre le domande di casa popolare insoddisfatte a Torino sforano le 10mila ormai da anni. Il blocco degli sfratti in occasione della pandemia ha congelato la situazione. Ma secondo gli osservatori del settore, il disagio cova sotto la cenere.

In una dettagliata relazione sulle assegnazioni delle case popolari alle famiglie straniere nel decennio 2007-2016, la Città metropolitana e la Regione Piemonte avevano così fotografato il fenomeno: 2.388 famiglie di nazionalità estera erano state assegnatarie di casa popolare (il 30% del totale di 7.918 assegnazioni); a Torino gli assegnatari stranieri furono 1.665 su 4.863 totali.

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