Cent’anni fa si chiudeva la Conferenza di Pace

21 gennaio 1920 – A Parigi, nella Reggia di Versailles, si chiude la Conferenza di Pace, aperta il 18 gennaio 1919 all’indomani della conclusione del primo conflitto mondiale. I Paesi vincitori della Grande Guerra stilano i trattati di pace e delineano la nuova Europa ridefinita secondo la loro volontà. L’Italia raccoglie le briciole

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Un secolo fa alla Conferenza di pace di Parigi – aperta il 18 gennaio 1919 e conclusa il 21 gennaio 1920 a Versailles – gli Alleati vincitori della Grande Guerra giocano l’ultima beffa all’Italia: Thomas Woodrow Wilson, presidente degli Stati Uniti, e i primi ministri David Lloyd George (Gran Bretagna) e Georges Clemenceau (Francia ridicolizzano l’Italia giudicando la battaglia di Vittorio Veneto non come una vittoria ma come un crollo degli austro-ungarici. Furibonda la reazione dell’Italia: la delegazione se ne va (sbagliando). Ma poi  ritorna e firma il trattato che pone le premesse del nazi-fascismo e della Seconda guerra mondiale. Il 3 marzo 1918 la Russia sovietica – liquidato l’impero zarista – firma la pace con la Germania ed esce dalla guerra. Lenin impone una pace senza annessioni né indennità e il 3 marzo 1918 sigla a Brest-Litovsk la pace e cede alla Germania la Polonia e l’Ucraina.

I LAVORI DELLA CONFERENZA DI PACE – Si svolgono in gran parte nella reggia di Versailles con migliaia di delegati, inviati da 27 Paesi, alcuni dei quali – colonie dell’Inghilterra – non c’entrano nulla ma, spinti da Londra, avevano dichiarato guerra alla Triplice pochi mesi prima della fine del conflitto volendo sedersi al tavolo per avere la loro fetta di torta: una furbata inglese. Alla vigilia dell’apertura è istituito un «Consiglio supremo interalleato», poi ridotto a un «Consiglio dei quattro», cioè i capi di governo di Stati Uniti (Wilson), Francia (Clemenceau), Inghilterra (Lloyd George) e Italia (Orlando). Esso gestisce la Conferenza e prende le decisioni più importanti. Nessuno dei «quattro Grandi» aveva previsto il crollo dell’Impero zarista a opera della Rivoluzione bolscevica, la disgregazione dell’Impero austro-ungarico, la disintegrazione dell’Impero ottomano.

DOMINA LA QUESTIONE DELLA GERMANIA – I francesi pretendono la restituzione dell’Alsazia e della Lorena, la smilitarizzazione della riva sinistra del Reno, l’assegnazione alla Francia della produzione mineraria della Saar, la ricostituzione della Polonia con territori sottratti alla Prussia. Sono condizioni estremamente punitive per la Germania. Papa Benedetto XV intuisce la pericolosità della situazione: chiede la liberazione dei prigionieri tedeschi e tenta di evitare che la Germania sia eccessivamente umiliata nella convinzione che una pace vendicativa crea le premesse per una nuova guerra, come puntualmente accadrà. La proposta francese di ridurre la Germania all’impotenza va contro la tradizionale politica dell’Inghilterra che non desidera l’affermazione di una sola grande potenza.

L’ITALIA POTENZA MEDITERRANEA E ADRIATICA – L’Italia vittoriosa pretende l’applicazione alla lettera del «Patto di Londra», firmato il 26 aprile 1915 l’Italia e gli Alleati. Specifica che, in caso di vittoria, l’Italia avrebbe avuto Trentino, Tirolo meridionale (o Alto Adige), Venezia Giulia con gli altopiani carsico-isontini, penisola istriana a eccezione di Fiume, un terzo della Dalmazia con Zara, Valona in Albania, isole del Dodecaneso e altro. In caso di spartizione dell’impero coloniale tedesco, all’Italia spetta una parte di esso, in particolare Libia, Eritrea e Somalia. I contrasti con il presidente Wilson sono netti: rifiuta il «Patto di Londra»; non accetta le richieste di Roma a spese degli slavi «perché si spianerebbe la strada all’influenza russa e allo sviluppo di un blocco navale dell’Europa occidentale». La Francia non vede di buon occhio una Dalmazia italiana poiché consentirebbe il controllo dei traffici dal Danubio. Il neonato Regno dei serbi, croati e sloveni entra in contrasto con Roma reclamando i territori assegnati all’Italia e la Slavia veneta, appartenente all’Italia dal 1866. Trieste, secondo Belgrado, deve diventare jugoslava; Fiume deve restare slava. In Italia si diffonde la convinzione, alimentata da giornali e intellettuali, del tradimento.

IL GOVERNO ITALIANO È DIVISO – Vittorio Emanuele Orlando, presidente del Consiglio, sostiene il riconoscimento delle nazionalità in opposizione alla politica imperialistica di Sidney Sonnino, ministro degli Esteri. L’Italia allora chiede entrambi i territori ma non ottiene nessuno dei due. Il 19 aprile 1919 il presidente Orlando, invitato a presentare al «Consiglio dei quattro» le richieste italiane, ripete il «programma di massima», appoggiato dai nazionalisti più accesi, e si dimostra indisponibile a ogni compromesso sui punti più controversi: «L’Italia chiede l’annessione dei territori che sono al di qua di tutta la frontiera che la natura ha dato all’Italia, cioè il displuvio delle Alpi e l’Istria non può essere divisa. Per Fiume ci appelliamo al principio di autodecisione dei popoli. Sulla Dalmazia vi è un argomento strategico, una ragione nazionale e storica che non può non avere un’influenza decisiva. Sarebbe possibile, dopo tutti i sacrifici, vedere l’italianità andare distrutta? L’Italia chiede una piccola parte della Dalmazia, lasciando Càttaro, Spalato e Ragusa alla Serbia. Crediamo di essere molto moderati».

LO SGARBO DEGLI STATI UNITI – Wilson commette una grave scorrettezza: il 23 aprile 1919 rivolge un appello agli italiani, scavalcando il governo: uno sgarbo plateale e demagogico. E i delegati italiani compiono un errore imperdonabile: abbandonano la conferenza per protesta, ma le trattative continuano. Il 10 settembre 1919 Francesco Saverio Nitti, nuovo presidente del Consiglio, sottoscrive il trattato di Saint-Germain, che definisce i confini italo-austriaci, ma non quelli orientali. Il 12 settembre una forza irregolare di nazionalisti ed ex-combattenti, guidata dal poeta Gabriele D’Annunzio, occupa Fiume chiedendone l’annessione. La caduta del governo Nitti per il quinto e ultimo governo di Giovanni Giolitti sblocca la situazione; con il Trattato di Rapallo del 12 novembre 1920, l’Italia raggiunge un accordo con gli jugoslavi: Roma acquisisce Gorizia e Trieste, la quasi totalità dell’Istria e le isole di Cherso e Lussino. Della Dalmazia promessa, all’Italia vanno Zara, le isole di Làgosta e Cazza e l’arcipelago di Pelagosa. Il resto è assegnato al Regno dei serbi, croati e sloveni.

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