Cent’anni fa nasceva il Partito popolare italiano

18 gennaio 1919 – A Roma nel primo Dopoguerra il prete siciliano don Luigi Sturzo ed altri nove cattolici presentano il programma e lo statuto del partito di ispirazione cristiana. Fino ad allora i cattolici erano presenti nella vita del Paese in maniera massiccia e vivace, ma mai come partito

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Don Luigi Sturzo

Il Partito Popolare Italiano, di ispirazione cristiana ma non confessionale, si realizza cento anni fa nel primo dopoguerra, carico di attese e fermenti in un’Europa che assiste al crollo degli imperi, della millenaria monarchia asburgica, del militarismo tedesco; che registra la nascita di nuove nazioni; che coglie con speranza o con paura la Rivoluzione bolscevica; che vede l’ingresso delle masse popolari nella vita politica in un clima di confuse aspirazioni.

Il 23-24 novembre 1918 il prete siciliano don Luigi Sturzo chiama in via dell’Umiltà 36 a Roma qualifi­cati personaggi cattolici – nessun piemontese – che decidono di convocare il 16-17 dicembre all’Unione Romana una «piccola costituente» che getta le basi del PPI: 41 rappresentanti di tutte le regioni, personalità della borghesia, diverse per posizioni e orientamenti. Dal Piemonte i torinesi avvocato Carlo Torriani, commendator Giovanni Zaccone, conte Carlo Olivieri di Vernier, marchese Amedeo di Rovasenda e avvocato monregalese Giovanni Battista Bertone. Delineano un partito de­mocratico, lontano dal liberalismo, dal socialismo, dal clerico-moderatismo; che rifugge dalle suggestioni estreme, conservatrici o rivoluzionarie; che spinge sulla col­laborazione fra le classi nella giustizia so­ciale.

Un evento di grande rilievo storico. Il 18 gennaio 1919 da una stanza dell’albergo Santa Chiara in Roma dieci personalità lanciano l’appello «A tutti gli uomini liberi e forti» e presentano programma e statuto: sono Giovanni Bertini, il subalpino di Mondovì Giovanni Battista Bertone, Stefano Cavazzoni, Giovanni Grosoli, Giovanni Longinotti, Angelo Mauri, Umberto Merlin, Giulio Rodinò, Carlo Santucci e don Luigi Sturzo, segretario politico. L’ingresso ufficiale dei cattolici nella vita politica dello Stato unitario, dopo mezzo secolo di astensionismo, proteste e assenza dovuta al «Non expedit», una molto discutibile proibizione della Santa Sede sotto Pio IX, come protesta per la perdita dello Stato pontificio e del potere temporale. Dal 1866 i cattolici non potevano essere «né eletti né elettori».

I cattolici erano presenti nella vita del Paese in maniera massiccia e vivace, ma mai come partito. Con l’introduzione del suffragio universale nel 1913 si pone un grave problema: se, in base al «Non expedit», i cattolici si astengono e i liberali, nel frattempo più tolleranti verso la Chiesa, vengono sconfitti dai socialisti, assai più anticlericali dei liberali, che cosa succede? È ora che i cattolici si presentino con un proprio partito «nazionale» che metta fine alla protesta contro lo Stato liberale nato dal Risorgimento e che si fa carico dei problemi della Nazione. Accadrà sei anni dopo. Il PPI non pone come ragion d’essere gli «imprescrittibili diritti» della Santa Sede ma i problemi dell’Italia e accetta lo Stato nato dal Risorgimento. Vuole contribuire al bene dell’Italia – dice l’«Appello» – «secondo gli ideali di giustizia e libertà. Al migliore avvenire della nostra Italia, sicura nei suoi confini e nei mari che la circondano che, per virtù dei suoi figli, nei sacrifici della guerra ha con la vittoria compiuta la sua unità e rinsaldata la coscienza nazionale, dedichiamo ogni nostra attività con fervore d’entusiasmi e con fermezza d’illuminati propositi».

Il PPI accetta lo Stato post-risorgimentale, ma non nella forma liberale. L’«Appello» prefigura due riforme radicali. 1) No allo Stato «accentratore»: «A uno Stato accentratore tendente a limitare e regolare ogni potere organico e ogni attività civica e individuale, vogliamo sostituire uno Stato veramente popolare, che riconosca i limiti della sua attività, che rispetti i nuclei e gli organismi naturali – le famiglie, le classi, i Comuni -, che rispetti la personalità individuale e incoraggi le iniziative private». 2) Sì alla riforma del Parlamento: «Perché lo Stato sia la più sincera espressione del volere popolare, domandiamo la riforma dell’istituto parlamentare sulla base della rappresentanza proporzionale, non escluso il voto delle donne, e il Senato elettivo, come rappresentanza direttiva degli organismi nazionali, accademici, amministrativi e sindacali». Uno Stato «popolare» e non «borghese»; un Parlamento aperto alle forze popolari e non più con i soli rappresentanti della borghesia politica ed economica.

L’aspetto «nazionale» si coniuga con quello «internazionale». Dice l’«Appello»: «Sosteniamo il programma politico, morale, patrimonio delle genti cristiane, propugnato dal presidente americano Thomas Woodrow Wilson come elemento fondamentale del futuro assetto mondiale e rigettiamo gli imperialismi che creano i popoli dominatori e maturano le violente riscosse. Domandiamo che la Società delle Nazioni riconosca le giuste aspirazioni nazionali, affretti il disarmo universale, abolisca il segreto dei trattati, attui la libertà dei mari, propugni nei rapporti internazionali la legislazione sociale, l’uguaglianza nel lavoro, le libertà religiose contro ogni oppressione di setta, tuteli i diritti dei popoli deboli contro le tendenze sopraffattrici dei forti».

Un partito democratico che propone profonde riforme dello Stato liberale; non accetta la rivoluzione socialista; chiede la riforma dello Stato, della burocrazia, della giustizia, degli enti locali; sollecita «la libertà religiosa non solo degli individui ma anche della Chiesa, per l’esplicazione della sua missione religiosa nel mondo, la libertà d’insegnamento senza monopoli statali, la libertà alle organizzazioni senza preferenze e privilegi di parte, la libertà comunale e locale. Il nostro ideale di libertà non tende a disorganizzare lo Stato ma è essenzialmente organico nel rinnovamento delle energie che debbono comporsi in nuclei vitali» per fermare le correnti disgregatrici, le agitazioni, la lotta di classe e la rivoluzione anarchica, dando valore alla  sovranità popolare e alla collaborazione sociale.

La storia del PPI è breve e travagliata, dura solo sette anni (1919-1926). Il fascismo esilia don Sturzo (25 ottobre 1924) e scioglie il partito (9 novembre 1926).

I rapporti del Partito con la Chiesa 

di Pier Giuseppe Accornero 

Il Partito Popolare Italiano, fondato cento anni fa il 18 gennaio 1919, vuole il rinnovamento del Paese sulla base di un «programma sociale, economico e politico di libertà, di giustizia e di progresso nazionale, ispirato ai principi cristiani». Così recita l’articolo 1 dello statuto. Afferma l’appello «A tutti gli uomini liberi e forti», firmato e lanciato da dieci uomini coraggiosi: Giovanni Bertini, Giovanni Battista Bertone (unico piemontese di Mondovì), Stefano Cavazzoni, Giovanni Grosoli, Giovanni Longinotti, Angelo Mauri, Umberto Merlin, Giulio Rodinò, Carlo Santucci e don Luigi Sturzo, segretario politico: «Ci presentiamo nella vita politica con la nostra bandiera morale e sociale, ispirandoci ai saldi principi del Cristianesimo che consacrò la grande missione civilizzatrice dell’Italia». Non un partito «cattolico», come rappresentante della Chiesa o come emanazione dell’Azione Cattolica, ma un partito aconfessionale.

Don Sturzo, già nel discorso del 29 dicembre 1905 nella siciliana Caltagirone, dove era nato il 26 novembre 1871, aveva chiesto che i cattolici «si mettano a paro degli altri partiti nella vita nazionale, non come unici depositari della religione, ma come rappresentanti di una tendenza popolare nazionale nello sviluppo del vivere civile, che vuolsi impegnato, animato da quei principi morali e sociali che derivano dalla civiltà cristiana, come informatrice della coscienza privata e pubblica. Noi ameremmo che il titolo di cattolici non fregiasse il nostro partito e i nostri istituti. Che se urta anche al nostro senso estetico leggere in cima alle insegne delle nostre banche o delle nostre società di assicurazione e dei nostri giornali il titolo di cattolici, urta anche, e più che urta confonde i termini, il vedere che domani un partito politico o amministrativo assuma la ragione di cattolico».

L’apparizione sulla scena politica italiana del PPI segna la fine dell’assenteismo dei cattolici dalla vita politico-parlamentare. Ora i cattolici partecipano alla vita politica nazionale, non più per il tramite di altri, con il rischio di «aggiogare la Chiesa al carro dei liberali», ma in prima persona e si fanno carico dei problemi della Nazione, non per trarne vantaggi religiosi, ma per il bene dell’Italia e, in particolare, delle classi più disagiate, secondo la tradizione del movimento cattolico e l’insegnamento della «Rerum novarum» (15 maggio 1891) di Leone XIII.

I rapporti del PPI con il Vaticano sono affrontati da don Sturzo in due incontri con il cardinale segretario di Stato Pietro Gasparri alla fine del 1918. È il cardinale arcivescovo di Milano Carlo Andrea Ferrari che gli consiglia di ot­tenere  garanzie sull’abolizione del «Non expedit». Gasparri condivide l’impostazione aconfessionale del partito e dice che la Santa Se­de si mantiene estranea all’iniziativa lasciando libertà d’azione. Il «Non expedit» sarà revocato con Benedetto XV il 10 novembre 1919 in vista delle elezioni politiche.

Don Sturzo spiega che «per capire il rapido, incontestato successo del Partito Popolare dobbiamo ricordare che il movimento cattolico sociale si era sviluppato ininterrottamente negli anni di crisi e di guerra. All’inizio del 1919, due mesi dopo l’armistizio, esistevano in Italia, nelle mani dei cattolici sociali, più di 4 mila cooperative, qualche migliaio di enti assistenziali dei lavoratori, 300 banche popolari, molte società professionali. In totale almeno 800 mila membri. Molti studenti delle scuole secondarie e delle università erano stati educati nelle associazioni cattoliche per la gioventù. La cooperazione delle classi medie e intellettuali, dottori, avvocati, professori, ingegneri e tecnici si rivelò di importanza e respiro mai visti in un giovane partito di natura sociale».

Il «rapido successo» si registra anche a Torino, come spiega il bel libro del professor Alessandro Risso, «Liberi e forti (e antibolscevichi). Il Partito Popolare italiano nella Torino “rossa” del 1919», Effatà, 2009. Un comitato regionale dirige i primi passi e indice l’elezione dei comitati provinciali. Del comitato fanno parte: Giovanni Battista Bertone (nominato per acclamazione) firmatario dell’«Appello»; ingegner Alberto Buffa da Alessandria; cavalier Carlo Felice Marchisio da Novara; commendator Giacinto Briccarelli; canonico Guido Garelli per Torino: assistente dell’Azione Cattolica, eminenza grigia de «Il Momento», ne detta la linea moderata, è il fiduciario del cardinale arcivescovo Agostino Richelmy ed è amministratore della Società editrice; dottor Carlo Torriani, cattolico democratico, per le organizzazioni professionali; commendator Giovanni Zaccone per le organizzazioni economiche.

Un comitato locale provvisorio fa propaganda, raccoglie le adesioni, prepara l’assemblea. È composto da: Bernardo Bellardo, impiegato; Edoardo Bellia, chimico; Ferruccio Cuniolo, ferroviere; Francesco Gerbaldi, avvocato; Romano Gianotti, nobile; Saverio Fino, avvocato; Piero Maggia, tipografo; Stefano Milanesio, ragioniere; Carlo Olivieri di Vernier, nobile; Giovanni Maschio, industriale.

Il prete giornalista Alessandro Cantono cura la stampa e la diffusione dell’opuscolo del programma, edito dalla Libreria Editrice Internazionale, una costola della SEI dei Salesiani. Ai primi di marzo 1919 il numero delle sezioni è ragguardevole. In provincia le sezioni del PPI: Giaveno, Carmagnola, Bussoleno, Chieri, Carignano, Grugliasco (la Società Operaia si trasforma in sezione di partito), Gassino (la Società Operaia e i giovani del Circolo «Silvio Pellico» fondano la sezione). In città si costituiscono le sezioni: Borgo Rossini, Vanchiglia, Borgo Nuovo, Centro, Porta Nuova, Pozzo Strada, Borgo Vittoria, Millefonti e Tetti Fre, Monte Rosa, Monte Bianco, Santa Maria di Piazza, Regio Parco, Santa Barbara, San Tommaso, Porta Palazzo, Angeli Custodi, Valdocco, San Carlo, Sant’Agostino, Madonna del Carmine, Santa Giulia, Patrocinio di San Giuseppe, Madonna di Campagna, Borgo Vittoria, Borgo Nuovo, Crocetta, Borgo Po, Borgo Dora, Piazza d’Armi, San Salvario, Campidoglio, San Paolo, Lucento, Nazareno, San Donato. Più di trenta sezioni in pochi giorni e le riunioni quasi sempre avvengono in chiesa o nei locali parrocchiali.

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