Alla chetichella, cento anni fa, tramonta il «Non espedit», da molti ritenuto la decisione più sciagurata di Pio IX, perché per mezzo secolo allontana i cattolici dalle elezioni e dalla vita politica, come disse in modo signorile il cardinale Giovanni Battista Montini otto mesi prima di essere eletto Papa.
Sotto Pio IX, il 30 gennaio 1868 i vescovi piemontesi chiedono a Roma se è lecito per i cattolici partecipare alle elezioni politiche. La Congregazione per gli Affari straordinari risponde «Non expedit, non è conveniente», quindi è inaccettabile. La disposizione non riguarda la fede o la morale, ma una materia opinabile. Un grave errore strategico perché priva l’Italia, per cinquant’anni, dell’apporto dei cattolici e ne ritarda maturazione e partecipazione. Dal 1886 il Sant’Offizio usa la formula: «Non expedit prohibitionem importat, la non convenienza implica il divieto formale, un “Non licet”».
Nelle prime elezioni del Regno d’Italia nel 1861, don Giacomo Margotti, direttore del quotidiano «L’Armonia» (7 gennaio 1861) lancia l’astensione dei cattolici «Né eletti né elettori» come rifiuto delo Stato liberale e come difesa dello Stato Pontificio e delle prerogative della Chiesa disconosciute dalle leggi Siccardi del 1850 e da altri provvedimenti ostili alla Chiesa e agli Ordini religiosi. La Penitenzieria apostolica afferma che un cattolico può accettare l’incarico parlamentare a condizione che, nel giuramento di fedeltà allo Stato, dichiari pubblicamente la clausola «salvis legibus Dei et Ecclesiae» cioè di non approvare mai «leggi contrarie e Dio e alla Chiesa». Partecipando alla vita parlamentare, si riconosce allo Stato una legittimità che i Pontefici non riconoscono, avendo perso il potere temporale. Il giuramento di fedeltà dei deputati può essere interpretato come approvazione della politica statale.
La proibizione è più volte reiterata «per ragioni gravissime» – Nel 1870 per le elezioni politiche; quattro volte nel 1874. Pio IX alle donne cattoliche romane dice: «La scelta politica non è libera, perché le passioni politiche oppongono troppi e potenti ostacoli. Fosse anche libera, resterebbe un ostacolo anche maggiore, quello del giuramento che ciascuno deve prestare a Roma, capitale del Cattolicesimo, sotto gli occhi del vicario di Cristo, e così sancire lo spoglio della Chiesa, i sacrilegi commessi, l’insegnamento anticattolico». E ancora nel 1876 e 1877. Anche con Leone XIII e il divieto è osservato in tutta la sua severità. Pio X e Benedetto XV registrano una graduale distensione. Nell’enciclica in italiano «Il fermo proposito (11 giugno 1905), per le elezioni politiche di novembre, Pio X – per impedire l’elezione di candidati «sovversivi» – concede ai vescovi di chiedere una sospensione e chiede ai cattolici di «prepararsi prudentemente e seriamente alla vita politica per essere in grado di esercitare i pubblici uffici con il fermo e costante proposito di promuovere il bene sociale ed economico della Patria e particolarmente del popolo, secondo le massime della civiltà cristiana, e di difendere gli interessi supremi della Chiesa, che sono quelli della religione e della giustizia». Numerosi cattolici entrano in Parlamento. Pio X impone alle opere cattoliche una struttura unitaria allo scopo di «ristorare la civiltà cristiana; tanto è più vera, più durevole, più feconda, quanto è più nettamente cristiana; tanto declina, con immenso danno del bene sociale, quanto dall’idea cristiana si sottrae. La Chiesa divenne custode e vindice della civiltà cristiana. E ciò in altri secoli fu riconosciuto, formò il fondamento inconcusso delle legislazioni civili». |
Il «Non expedit» è di fatto abrogato da Benedetto XV che permette di aderire al Partito popolare. La norma – morta da tempo e valida solo per l’Italia: negli altri Paesi la partecipazione dei cattolici alla vita politica è raccomandata e lodata dalla Santa Sede – è ormai priva di ogni significato. Benedetto XV non guarda con troppa simpatia ai clerico-moderati. Nell’incontro con il segretario di Stato Pietro Gasparri, nel novembre 1918, don Luigi Sturzo chiede se la Santa Sede è disposta, in caso di fondazione di un partito di cattolici, ad abrogare il «Non expedit». Il cardinale promette di parlarne al Papa. Nel successivo incontro, in dicembre, Sturzo rinnova la richiesta e Gasparri risponde: «Il Papa provvederà quando e come crederà meglio». Di fronte alla fondazione del Ppi, il 18 gennaio 1919, la Santa Sede assume una «benevola riserva» e il mondo cattolico manifesta una forte diffidenza. |
È consigliabile iscriversi al Ppi? La Segreteria di Stato investe del problema la Penitenzieria che l’11 novembre 1919 lascia cadere il «Non expedit» ma non emana un formale atto di annullamento. Per le elezioni politiche del 16 novembre 1919 numerosi vescovi chiedono direttive sul voto dei cattolici e sui candidati. La Segreteria di Stato invia un’«istruzione privata»: «La Santa Sede è e vuole rimanere estranea al partito. Il vescovo è libero di prendere l’atteggiamento che le circostanze consiglieranno, se il programma del candidato non è conforme alla dottrina della Chiesa, per esempio circa la proprietà privata. Il vescovo non solo può e deve opporsi con avvertenze paterne e, se queste sono infruttuose, con pubbliche dichiarazioni».
Il testo più illuminante è il discorso del cardinale arcivescovo di Milano Montini il 10 ottobre 1962 in Campidoglio alla vigilia dell’apertura del Concilio Vaticano II otto mesi prima di diventare Papa: «La Provvidenza aveva ingannato tutti, credenti e non credenti, e aveva diversamente disposto le cose. Il Concilio Vaticano I aveva da pochi giorni proclamata somma e infallibile l’autorità spirituale del papa, che perdeva l’autorità temporale. Ma il papato riprese con inusitato vigore le sue funzione di maestro di vita e di testimonio del Vangelo. La caduta del potere temporale parve un crollo. Ad avvalorare questa opinione – per cui la vita politica italiana fu priva delle più cospicue forze cattoliche – fu l’antagonismo tra Stato e Chiesa. Nell’opinione pubblica era diffusa la convinzione e la speranza che l’istituzione pontificia sarebbe caduta. Qualche cosa mancò alla vita italiana, non fosse altro la sua interiore unità, la sua consistenza spirituale, la sua unanimità patriottica. Ora il Vaticano II è la dimostrazione della possibilità del Papa di avere rapporti con la Chiesa e con il mondo, la sua capacità di celebrare i più grandi avvenimenti in casa propria».