«Vedete bene voi stessi quanto sia necessario, in tempi tanto tristi, che i vescovi collaborino in ogni modo e uniscano i loro sforzi per contrastare le trame dei malvagi, specie quelle dei socialisti: presentando ai diseredati il miraggio fallace di una futura società, lavorano per confondere ogni cosa e per distruggere la civiltà, la religione e i costumi. Sarà estremamente utile che le persone più capaci, clero e laici, sotto la vostra guida, si dedichino a diffondere gli eterni principi della sapienza cristiana che hanno generato mirabili virtù e recato benessere agli Stati». Lo scrive cento anni fa Papa Benedetto XV ai vescovi svizzeri deprecando il «biennio rosso» (1919-1920) che si abbatte sull’Europa distrutta dalla Grande guerra mentre i soldati tornano dal fronte e non trovano più famiglie, case, lavoro e, nella loro disperazione, si rivolgono alle «sirene» socialiste.
«DIFFIDATE DELLA PROPAGANDA SOCIALISTA» – L’11 marzo 1920 Benedetto XV scrive al vescovo di Bergamo Luigi Maria Marelli – che ha istituito un «Ufficio del lavoro» per le categorie operaie – sulla «necessità di diffidare della propaganda dei socialisti. Non c’è felicità perfetta perché quella ci sarà solo in Cielo, ma si può migliorare la nostra condizione e procurarci un maggiore benessere. Per il bene comune nessuna cosa è più giovevole dell’armonia e della concordia fra le classi sociali». È un male aizzare i poveri contro i ricchi perché la distinzione delle classi sociali viene dalla volontà di Dio e l’elevazione degli umili deve arrivare anche attraverso l’aiuto di chi «dalla Provvidenza è stato fornito da maggiori mezzi», quindi gli imprenditori cattolici facciano «più larghe e liberali concessioni». Chiede di non «adoperare l’intemperanza di linguaggio propria dei socialisti», di non lasciarsi ingannare dalle promesse dai socialisti e invita i sacerdoti a «opporsi energicamente a codesti pericolosissimi nemici della fede cattolica e della società».
IL POPOLO LOTTI PACIFICAMENTE – Il 14 giugno 1920 il Papa scrive ai Cardinali Pietro La Fontaine, arcivescovo di Venezia, e Bartolomeo Bacilieri, vescovo di Verona, e ai vescovi del Veneto: approva la scelta di «istituire gli Uffici del Lavoro, che possono dirimere le controversie tra capitale e mano d’opera perché solo la Chiesa ha sicurezza e stabilità di rimedii»; esorta i ricchi a «essere larghi nel dare e a ispirarsi più all’equità che alla legge» e ai proletari di «vigilare sulla propria fede che corre pericolo se si eccede nelle richieste. L’odio di classe, sobillato dai socialisti, porta a disconoscere le varie disuguaglianze sociali volute da natura e quando si fa consistere tutto lo scopo della vita nella conquista dei beni terreni». Papa della Chiesa teme che i proletari «si lascino andare al punto di dimenticare i propri doveri e invadere i diritti altrui» e si lascino prendere dalla propaganda socialista; chiede di rimanere «fedeli alla Chiesa, quantunque sembri che essa dia meno degli avversari perché la Chiesa non promette cose smodate e ingannevoli, ma soltanto giuste e durevoli. Il popolo lotti per i propri obiettivi pacificamente».
LE LOTTE SI SVOLGANO NELLA GIUSTIZIA E NELLA PACE – Il 22 giugno 1920 Benedetto XV chiede al cardinale arcivescovo di Bologna Giorgio Gusmini e agli altri vescovi della regione Flaminia che le lotte sociali si svolgano nel rispetto della giustizia e della pace: «Il primo dovere è quello di sentire e agire correttamente perché è lecito a coloro che vivono nella miseria adoperarsi per migliorare il proprio stato, però non è lecito voler raggiungere tale obiettivo attraverso il disordine e la violenza, senza fare differenza tra mezzi giusti e ingiusti». Chiede ai «capi delle organizzazioni operaie cattoliche di prestare cura e attenzione che gli operai conducano una buona lotta nel rispetto della giustizia e nel mantenimento dell’ordine». Nello stesso 1920, scrivendo a Herbert Hoover, commissario ai viveri negli Stati Uniti, raccomanda «generosità a tutti i cittadini dell’America, senza distinzione di religione o di partito, nella certezza che risponderanno con entusiasmo».
LE CINQUE PIAGHE CHE ROVINANO I POPOLI – Nell’enciclica «Annus iam plenus» del 1° dicembre 1920» chiede ai bambini e ai genitori delle Nazioni più ricche di alleviare le sofferenze dei bambini bisognosi, specie del Belgio, e dona la considerevole cifra di 100 mila lire. Secondo una lettura corrente cento anni fa – dal Papa ai vescovi, dai parroci ai giornali cattolici – la ragione della Grande guerra è l’allontanamento da Cristo, dai suoi precetti, dal suo Vangelo; è girare le spalle a Dio. Lo spiega Benedetto XV nel discorso degli auguri natalizi al Collegio Cardinalizio il 24 dicembre 1920, nel quale delinea le cinque piaghe che rovinano i popoli: «La negazione dell’autorità; l’odio dei fratelli; la smania dei godimenti; la nausea del lavoro; l’oblio di quell’uno che è in questa terra necessario, e che ogni altra cosa, come secondaria, sorpassa». E l’antidoto è uno solo: tornare al Vangelo di Cristo.
SEMPRE PIÙ NAZIONI HANNO RAPPORTI CON IL VATICANO – Benedetto XV, fine diplomatico, fa della ricerca di concordia l’obiettivo della Santa Sede dopo la Grande guerra. Ne parla al Concistoro del 13 giugno 1920: «Appena finito l’immane conflitto, quasi tutte le Nazioni civili, che non mantenevano rapporti diplomatici con noi, si affrettarono, di loro spontanea volontà, a esporci il desiderio di averne, ben persuase che ne ricaverebbero molteplici vantaggi. Fedeli alla tradizione di questa Sede Apostolica e conformandoci alla dottrina cattolica, che propugna l’armonia dei due poteri per il bene comune dello Stato e della Chiesa, accogliemmo ben volentieri tale desiderio». Quando è eletto nel 1914 la Santa Sede ha rapporti diplomatici con 14 Nazioni. Alla morte nel 1922 sono 27 e 16 sono in trattative, tra cui Lettonia, Estonia e Romania. Importante è la ripresa con la Gran Bretagna che li aveva interrotti da tre secoli e mezzo. La soddisfazione più grande è la ripresa con la Francia. Diplomatici sono i due immediati successori di Benedetto XV. Achille Ratti, futuro Pio XI, è visitatore apostolico in Polonia e Lituania e tenta, senza successo, di andare in Unione Sovietica. Eugenio Pacelli, poi Pio XII, è nunzio prima in Baviera e poi in Germania.