Cento anni fa l’ordinazione sacerdotale di Montini

29 maggio 2020 – Nella cattolicissima Brescia diventa prete Giovanni Battista Montini, eletto al soglio pontificio il 21 giugno 1963 con il nome Paolo VI, nato a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897

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Mons. Giovanni Battista Montini nel 1937 - foto Vatican news

Nella cattolicissima Brescia nel 1920 diventa prete un grande della Chiesa del XX secolo. Giovanni Battista Montini nasce a Concesio (Brescia) il 26 settembre 1897 da Giorgio, giornalista e parlamentare del Partito Popolare, e Giuditta Alghisi. A causa della non buona salute, è studente esterno (ginnasio-liceo) del collegio «Cesare Arici» dei Gesuiti e partecipa ai gruppi giovanili degli Oratoriani di Santa Maria della Pace, diretti da padre Giulio Bevilacqua. Dopo la licenza nel liceo statale «Arnaldo da Brescia», dall’ottobre 1916 frequenta da esterno il Seminario. Su «La Fionda», periodico studentesco, pubblica articoli di spessore.

Come Pier Giorgio Frassati a Torino, Montini a Brescia partecipa alla vita degli universitari cattolici. Mamma Giuditta affida il suo abito da sposa alle suore che ne ricavano la pianeta per la Messa. Cento anni fa, il 29 maggio 1920 il vescovo Giacinto Gaggia ordina in Cattedrale 14 nuovi sacerdoti. Un vescovo coraggioso che denuncia le violenze fasciste e la richiesta di benedizioni dei gagliardetti. «Il Cittadino di Brescia», diretto dal papà, è entusiasta: «Salutiamo con gioia e col cuore aperto alle più liete speranze la comparsa sul campo dell’azione dei nuovi sacerdoti, specialmente a uno che è della famiglia nostra, perché crebbe fra noi, perché porta un nome a noi caro e venerato. A don Battista Montini corre il nostro saluto augurale, al padre suo onorevole Giorgio, alla sua mamma diletta».

Don Luigi Sturzo, fondatore del Partito Popolare, telegrafa al padre: «Assisto spirito consacrazione tuo figlio augurando fervidamente sua alta missione». Celebra la prima Messa nel santuario Santa Maria delle Grazie di Brescia. A Milano raggiunge il dottorato in Diritto Canonico. A Roma frequenta Diritto Civile e Diritto Canonico alla Gregoriana; Lettere e Filosofia alla Sapienza; entra nell’Accademia dei nobili ecclesiastici. Quasi un secolo dopo Papa Bergoglio lo beatifica nel 2014 e lo canonizza il 14 ottobre 2018. Una sua battuta esprime l’ammirazione di Francesco e la consapevolezza delle resistenze e incomprensioni affrontate da Montini: «Per proclamarlo beato dovrei indossare una veste rossa come il sangue invece che bianca perché il suo pontificato fu un vero e proprio martirio».

Su Montini minore, la nipote Chiara Montini ha pubblicato «Mio zio, Paolo VI»: «Ho ben impressa nella memoria la sua figura: aveva un che di aristocratico, era agile, alto, svelto, i suoi occhi grigi, azzurri, chiari, le sopracciglia accentuate, lo sguardo vivo e indagatore, non si limitava a guardarti, ma penetrava nei recessi del cuore, sembrava riuscisse a leggerti dentro, le labbra fini e delicate sceglievano con cura le parole, erano sempre così naturalmente sorridenti con noi bambine, la fronte distesa e senza rughe: il suo viso emanava calma e pace profonda».

Chiara apre il cassetto dei ricordi e racconta l’infanzia, le vacanze, i giochi, la gioia. Il libro edito da Morcelliana offre il ritratto dolce e affettuoso di una persona che ha contribuito a cambiare la storia della Chiesa. Chiara ha sentito «il dovere di condividere questa eredità con chi non ha avuto la gioia e la fortuna di conoscerlo, incontrarlo, frequentarlo».

La Svizzera è la meta del riposo estivo quando è arcivescovo di Milano. «Il ricordo di quei lontani momenti mi riempie di grande serenità. Lo zio si mostrava in tutta la sua semplicità: la sua cordialità era espressione di gentilezza e disponibilità, il suo affetto era premuroso e tenerissimo, aveva per noi bambine attenzioni delicate e pazienza infinita, le sue parole erano sempre chiare e comprensibili; spesso veniva a galla un tratto tipico della famiglia Montini, l’umorismo e una vena di sottile ironia che trovava nell’amico carissimo, padre Giulio Bevilacqua, un sostenitore e un complice eccezionale».

Elezione Papa Paolo VI – foto www.vatican.va

Dopo l’elezione Papale nel 1963, la nipote comprende «di aver perso uno zio perché la condizione di un Papa è unica al mondo». Gli incontri diventano annuale, legati a una festività mariana: l’8 dicembre, l’Immacolata; 8 settembre, natività della Madonna. Con la morte nel 1971 del fratello Francesco, Paolo VI, «pur essendo preso da mille rilevanti pensieri e da responsabilità considerevoli, fu sempre partecipe attento e affettuoso, uno zio che cercava di colmare il vuoto lasciato dalla morte del fratello». Aggiunge: «La mia insicurezza, i miei dubbi, la mia fragilità trovarono nell’abbraccio dello zio le risposte. Voleva che studiassi la storia della famiglia, facessi ricerca delle testimonianze, degli scritti, del pensiero. Mi invitò ad approfondire il passato familiare perché da quelle radici era cresciuto un albero rigoglioso che andava protetto e difeso, custodito e indagato, fatto esempio e modello».

Non è stato facile essere la nipote del Papa. Negli anni della contestazione vive «situazioni imbarazzanti, dolorose e drammatiche, in cui non ero in grado di difendermi da commenti ironici e battute pungenti. Mi sentivo ferita dalle frecciate dei coetanei, dalle frasi aspre e poco gentili rivolte soprattutto all’operato dello zio». Oggi ne rilegge la straordinaria testimonianza: «Tutta su la vita passa attraverso l’amore di Dio e l’amore a Dio, l’amore a Cristo e al mondo e a ogni singolo individuo. Un amore esemplare e inarrestabile, fedele, rispettoso, gratuito, pronto ad accogliere, a sostenere, a comprendere, a perdonare. La sua santità si è manifestata nella coerenza alla vocazione cristiana: fare bene ciò che si deve fare, cercare le vie del Signore nelle cose comuni».

Il 9 luglio 1977, in un’udienza memorabile, Paolo VI incontra la «famiglia» dei settimanali diocesani, per il decennio della Federazione italiana settimanali cattolici (Fisc) e ricorda il papà Giorgio, direttore del quotidiano cattolico «Il Cittadino di Brescia»: «Se altro non ricorderete di questa udienza, ricordate queste due parole. Colui che parla in nome della Chiesa, ci ha detto “grazie”, ha lodato, ha riconosciuto, ha incoraggiato il nostro lavoro e ha aggiunto: “Andate avanti con coraggio”. Sapete quale è stata la nostra educazione, a quale scuola si sia formata. Noi lo nominiamo con riverenza e senza farne l’elogio: vogliamo alludere alla memoria veneratissima e degnissima di nostro padre”.

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