«La diocesi di Torino nella seconda metà del Novecento era un grandioso cantiere di cui mons. Michele Enriore era sovrintendente e regista. Dato che si trattava di un prete che voleva fare il prete si capisce perché abbia voluto mantenere l’incarico di parroco in una grande parrocchia anche per immettere più facilmente un’anima pastorale nella sua intensissima attività edilizia. In lui, prete zelante e contento, il manager e il pastore raggiunsero un’ottima sintesi». Così lo storico don Giuseppe Angelo Tuninetti scrive su don Enriore del quale ricorre il centenario della nascita.
Nato a Villastellone il 24 agosto 1920 da Michele Pio e Giovanna Pautasso, è allievo dei Seminari di Giaveno, Chieri e Metropolitano di Torino. Prete dal 27 giugno 1943 è viceparroco e, dal 3 aprile 1953, parroco della Madonna della Divina Provvidenza in Torino. Dal 1954 subentra a mons. Giuseppe Garneri, nominato vescovo di Susa, come direttore dell’Opera per la preservazione della fede (Torino-Chiese). Racconta: «Assunto l’incarico, ho studiato la situazione. Avevamo due aree per costruire due chiese e soldi non ce n’erano. Abbiamo analizzato i piani regolatori, individuato le aree, incontrato parroci e comunità. I piani regolatori prevedevano un forte sviluppo edilizio ma non servizi pubblici né chiese. Dal 1954 al 1960 abbiamo dovuto acquistare le aree a prezzo di mercato. Abbiamo chiesto prestiti alle banche. In 25 anni (1954-79) la diocesi si dotò di 125 nuovi centri». Il maggior esperto italiano, mons. Giancarlo Santi, considera che in tutto il Novecento la diocesi di Torino abbia costruito 169 chiese. Nel 1800 Torino ha 130 mila abitanti e 22 parrocchie; 300 mila e 32 nel 1900; 500 mila e 36 nel 1920; 650 mila e 45 nel 1945; 1.200.000 e 85 nel 1965; 1.100.000 e 101 nel 1975.
Enriore è direttore e legale rappresentante a capo della delegazione al Comune per il reperimento delle aree e l’ubicazione dei nuovi centri; presidente è il vescovo ausiliare Francesco Bottino. Il Concilio Vaticano II (1962-65) e la contestazione favoriscono la svolta dell’edilizia per il culto: «Non potevamo fare un “chiesone” dove mancavano i servizi essenziali. Riducemmo drasticamente le aree per le chiese a 3-4 mila metri quadrati, quando le leggi ne prevedevano 8.800-12.000 e archiviammo 23 progetti di chiese monumentali e li sostituimmo con progetti più piccoli e funzionali. Le aree liberate andarono alla Civica Amministrazione». Tra i frutti della «Camminare insieme», lettera pastorale del cardinale Michele Pellegrino, c’è la «cooperazione diocesana», celebrata per la prima volta l’8 maggio 1966 e varata il 25 febbraio 1968 come «Giornata per le nuove chiese» con raccolta di fondi. Pellegrino nel 1969 decide la «Giornata per le nuove chiese», finalizzata dal 1970 anche ai sacerdoti indigenti, malati e anziani, alla stampa diocesana e ad altre iniziative.
«Vorrei Enriore in Giunta come assessore alle Opere pubbliche» mi disse più volte Diego Novelli, sindaco comunista di Torino. Con Fossati sorgono le chiese: Gesù Buon Pastore, Gesù Operaio, Gesù Redentore, Gesù Cristo Signore, Gesù Crocifisso e Madonna delle Lacrime, Santa Famiglia di Nazareth, Visitazione. Con Pellegrino sono edificate: Ascensione, Pentecoste, Maria Madre della Chiesa, Maria Madre di misericordia, Maria Regina delle missioni, Natale del Signore, Trasfigurazione, Risurrezione, Sant’Antonio Abate, San Benedetto, Sant’Ermenegildo, San Francesco di Sales, San Giuseppe Lavoratore, San Leonardo Murialdo, San Luca, San Marco, San Michele arcangelo, San Vincenzo de’ Paoli, Gesù Salvatore, Immacolata Concezione e San Giovanni Battista, Santi Apostoli, Sant’Ambrogio. Sulla parrocchia Madonna delle rose scrive: «Nell’archivio non esistono documenti. Tutta la grande opera, imponente e maestosa, fu costruita dai Domenicani». Tra i suoi «cantieri» ci sono: il palazzo delle Opere cattoliche di corso Matteotti 11, l’Eremo di Pecetto, il santuario di Martassina, il Seminario di via Lanfranchi, il pensionato nell’ex Seminario di Giaveno, le Case del clero di Mathi e San Pio X di Torino. Su corso Matteotti, Enriore racconta: «Mons. Giovanni Battista Pinardi e il can. Lorenzo Fiorio raccolsero offerte per dotare la diocesi di locali per le attività caritative e apostoliche. Acquistarono un fabbricato in corso Matteotti. Nel 1955 ci donarono l’immobile. Non c’era una lira. Abbiamo ottenuto credito dalla Cassa di risparmio. I lavori durarono venti mesi e il 10 aprile 1961 il cardinale Fossati benedisse il palazzo».
Enriore segue la ricostruzione del Friuli. La Caritas ha il «battesimo di fuoco» ed escogita i gemellaggi in Friuli (1976) e in Campania e Basilicata (1980). Anche la Protezione civile, istituita il 24 febbraio 1994, si ispira in qualche misura alla Caritas. I gemellaggi, tra le parrocchie terremotate e 81 diocesi italiane, assicurano solidarietà nell’emergenza, nella ricostruzione, nella prevenzione: per cinque anni oltre 16 mila volontari si alternano nelle zone colpite. Torino prende in carico la comunità dl Gemona e istituisce il Servizio diocesano per il Friuli, affidato a suor Angela Pozzoli, impavida figlia della carità di San Vincenzo de’ Paoli. Centinaia di giovani piemontesi trascorrono l’estate nei «campi di lavoro». Enriore coordina la collaborazione con le imprese edili. Nel 1985 diventa economo diocesano. Il cardinale Anastasio Alberto Ballestrero nel 1988 libera i parroci costruttori dai debiti e trasferisce le passività alle casse diocesane: «Con don Enriore ho esaminato la situazione in vista di una concreta soluzione a favore dei parroci costruttori».
Alla vigilia della morte, 30 maggio 1995, racconta la sua avventura pastoral-imprenditoriale in «Siamo andati per chiese sessant’anni 1935-1995». E nel volume «Michele Enriore parroco. Le opere e i giorni» (2010), curato dal parroco della Provvidenza don Sergio Baravalle, don Domenico Cattaneo osserva: «Non si preoccupava dell’immagine che dava di sé, né pronunziava parole di adulazione per piacere agli uomini. Tutto ciò che faceva, aveva sempre come motivazione la fede nel Signore crocifisso e risorto ed era sostenuto dalla serenità del cuore. Partecipava sempre alle riunioni zonali, nonostante i tanti impegni. Spesso taceva e ascoltava e scriveva i suoi pensieri su ciò che gli capitava sottomano. Più di una volta lo abbiamo visto scrivere sulla scatola dei cerini che non gli mancava mai».