Ci voleva lo studio di un soggetto autorevole come l’Unicef per richiamare l’attenzione delle Istituzioni e dell’opinione pubblica sulla condizione di disagio e di esclusione sociale che, nonostante i progressi degli ultimi anni, sta ancora vivendo una quota consistente dei nostri giovani: i «Neet» (Not engaged in employement, education or training), giovani che non lavorano, non studiano e non frequentano corsi regolari di istruzione o formazione professionale.
Il titolo dello studio condotto dall’Unicef – «Il silenzio dei Neet. Giovani in bilico tra rinuncia e desiderio» – sintetizza bene l’approccio che questi giovani hanno nei confronti del lavoro Per l’Istat i Neet sono in gran parte giovani fino a 29 anni in cerca di lavoro, motivati a trovarlo e attivi nel cercalo oppure giovani «scoraggiati» che hanno rinunciato a cercare lavoro perché non lo trovano. Con l’aiuto dei dati forniti dall’Istituto di Statistica cerchiamo di definire la dimensione e le caratteristiche di questo fenomeno nel nostra regione e nella Citta Metropolitana di Torino.
Nel 2018 sono stati contati in Piemonte poco più di 100 mila Neet. Nel 2007, alla vigilia della crisi, erano 74.000, un quarto in meno. Con le due crisi sono saliti a 135.000 per poi scendere ai livelli attuali.
Rapportando il numero dei Neet al totale della popolazione di riferimento, si ottiene il tasso di Neet. Per i giovani tra i 15 e i 29 anni è pari al 17,7%: ciò equivale a dire che nella nostra regione circa 1 giovane su 5 si trova nella condizione di Neet. Per le ragazze il tasso sale al 20,8%, 6 punti in più di quello dei coetanei. Tra le regioni sviluppate del Centro Nord la maglia nera spetta alla Liguria con il 20,1%; in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna il tasso si assesta attorno al 15%.
I dati disponibili per la Città Metropolitana di Torino consentono di definire meglio le caratteristiche di questi giovani, Nell’area torinese i Neet tra i 15 e i 29 anni sono 63.300, con una prevalenza non trascurabile di ragazze (58%). Il tasso di Neet è pari al 20,4%: un valore che pone Torino al 52° posto nella classifica delle province italiane che vede sul podio tre provincie venete (Venezia, Treviso e Belluno) con l’11%. Un livello più accettabile, ma più che doppio di quello che si registra in una regione tedesca come la Baviera.
Più della metà (55,5%) dei Neet torinesi tra i 15 e i 29 ha una qualifica o un diploma di scuola secondaria superiore; il 34% ha la licenza media; un 10% ha una formazione superiore. Tra i maschi è molto più alta la percentuale di Neet che dispongono della sola licenza media mentre tra le femmine la presenza di Neet è molto più alta fra le ragazze con diploma e, in misura minore, con la laurea.
Poco più della metà dei Neet torinesi cerca lavoro ed è disponibile a lavorare, un 15% è classificabile fra «le forze di lavoro potenziali» in cui prevalgono gli «scoraggiati»; il restante 30% figura fra gli inattivi per motivi diversi tra i quali la situazione famigliare, lo studio, l’attesa degli esiti di passate domande di impiego, la salute e l’invalidità.
Negli ultimi anni, a partire dal 2013, il numero dei Neet piemontesi si è ridotto di un quinto. Gran parte del merito di questa riduzione va a «Garanzia Giovani», una iniziativa europea, attuata dalle Regioni, rivolta espressamente ai Neet tra 15 e 29 anni con l’intento di inserirli nel mondo del lavoro attraverso l’erogazione di servizi di politica attiva e tirocini extracurricolari della durata di sei mesi. A partire da luglio è partita la seconda Fase di «Garanzia Giovani», la Regione Piemonte ha stanziato per essa 37 milioni di euro. La prima Fase, iniziata a maggio del 2014, ha consentito la presa in carico di 88 mila giovani, l’85% dei quali ha avuto almeno un avviamento in impresa con contratti di varia durata. anche a tempo indeterminato.
Come abbiamo visto, la platea dei Neet piemontesi è un contenitore di situazioni molto diverse. Diverse sono anche le cause che inducono i giovani a diventare Neet. Un ruolo molto importante hanno la situazione personale, la condizione famigliare, i comportamenti, le scelte, le aspettative, la sfiducia e la rassegnazione. Intercettare le situazioni più a rischio attraverso la creazione di spazi di ascolto e di coinvolgimento dei giovani: è questa la sfida più difficile ma è anche la via obbligata per ridurre se non eliminare le diseguaglianze e favorire in concreto l’inclusione sociale dei giovani. Servirà ad evitare, come dice l’Unicef nel suo studio, che vadano «in fuorigioco».