Nell’anno della canonizzazione di fratel Charles de Foucauld, ancora in corso, voglio richiamare l’attenzione dei lettori su un aspetto particolare della sua testimonianza, e precisamente sulla sua attenzione ai laici sposati. Nell’occasione citata, quella della canonizzazione, si è anche fatto memoria delle tante fondazioni – sono almeno dieci – a lui ispirate e di alcune personalità forse imponenti che si sono fatte suoi interpreti e seguaci, tra cui, ad esempio, René Voillaume, Carlo Carretto e Arturo Paoli, per non parlare della piccola sorella Magdeleine di Gesù (Hutin), fondatrice delle piccole sorelle di Gesù. Si tratta di una realizzazione assolutamente significativa che chiede a noi ammirazione e rispetto. Si tratta quasi sempre di persone che hanno scelto la spiritualità del santo Charles, però vivendo come lui una vita celibataria.
Mi permetto allora di attirare l’attenzione sulla cura che fratel Charles ebbe dei laici sposati. Un aspetto interessante è dato dalla sua affettuosa corrispondenza con parenti e amici sposati, ad esempio con sua sorella Maria de Blic e con sua cugina Maria de Bondy. In questa sede, però, vorrei parlare della stesura del «Direttorio per i laici», opera del 1909. Lo sottopose a monsignor Bonnet, vescovo di Viviers e suo vescovo, che gli rispose il 6 marzo dello stesso anno, augurandogli pieno successo, ma anche manifestando il suo timore per le tante difficoltà che esso avrebbe incontrato nella Chiesa.
Nella presentazione del regolamento e nel commento agli statuti, all’articolo XXXVIII, fratel Charles parla di «famiglie veramente cristiane, le quali abbiano la volontà di svolgere, pur dedicandosi ai lavori quotidiani, l’ufficio di missionari laici, così come Priscilla e Aquila, mentre fabbricavano tende, lavoravano insieme a san Paolo per la conversione dei pagani». Essi sono chiamati «a mettere sotto gli occhi degli infedeli, con la loro vita, il ritratto del cristianesimo che i sacerdoti insegnano ad essi con la bocca, a prendere stretto contatto con gli infedeli (…) infine, a formare in terra infedele nuclei cristiani abbastanza compatti affinché i primi infedeli convertiti vi si trovino, sin dal giorno della loro conversione, in numerosa compagnia, amati, circondati, sostenuti, protetti…» («Opere spirituali Antologia», Edizioni Paoline, 1960). Questa coraggiosa proposta di fratel Charles, a mia informazione, non trovò in quel tempo e neppure negli anni seguenti una risposta e quindi degli sposi disponibili a vivere quell’impegno missionario. Che io sappia, tuttavia, non mancarono del tutto sposi così generosi e disponibili. Ci fu anche un tentativo nella nostra diocesi di missione fatta di preti, diaconi e sposi in America Latina, con la compagnia di don Benigno Braida, nel 2005, avendo come destinazione Belem in Brasile. Poi, che io sappia, solo il movimento del Cammino neocatecumenale conosce l’invio in terra di missione di coppie di sposi con i loro figli. Sono quindi curioso e desidero sapere se vi sono altre esperienze di questo tipo.
Per tentare di fare un discorso buono anche per noi oggi mi permetto di aggiungere che l’intuizione del fratello Charles de Foucauld, e il suo relativo appello, sono stati ripresi e riproposti da san Giovanni Paolo II in almeno tre occasioni importanti; in due, anche lui ha preso come esempio Aquila e Priscilla, gli sposi che collaborarono con san Paolo. Lo ha fatto la prima volta in Familiaris consortio nel 1981 al n.54, in un contesto dedicato alla predicazione del vangelo ad ogni creatura: «Anche la fede e la missione evangelizzatrice della famiglia cristiana posseggono questo respiro missionario. (…) Come già agli albori del cristianesimo Aquila e Priscilla si presentavano come coppia missionaria (vedi nota 134, Cfr. At 18, Rm 16,3-4), così oggi la Chiesa testimonia la sua incessante novità e fioritura con la presenza di coniugi e di famiglie cristiane che almeno per un certo periodo di tempo, vanno nelle terre di missione ad annunciare il Vangelo, servendo l’uomo con l’amore di Gesù Cristo».
San Giovanni Paolo II ha citato Aquila e Priscilla una seconda volta nella esortazione apostolica post-sinodale Christi fideles laici nel 1988, al n. 35: «In realtà, il comando del Signore ‘Andate in tutto il mondo’ continua a trovare molti laici generosi, pronti a lasciare il loro ambiente di vita, il loro lavoro, la loro regione o patria per recarsi, almeno per un determinato tempo, in zone di missione. Anche coppie di sposi cristiani, ad imitazione di Aquila e Priscilla (cf. At 18; Rom 16,3 s) vanno offrendo una confortante testimonianza di amore appassionato a Cristo a alla Chiesa mediante la loro presenza operosa nelle terre di missione». Può essere interessante osservare che il Papa parla di una esperienza non solo auspicata, ma già in essere.
La terza citazione è data dall’Angelus del 21 ottobre 2001, dopo la santa Messa celebrata per la Beatificazione dei Servi di Dio sposi, Luigi Beltrame Quattrocchi e Maria Corsini: «Carissimi Fratelli e sorelle, è permanente l’attualità della missione affidata da Cristo alla sua Chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le nazioni (cfr. Mt 28,19). Questo mandato acquista una particolare urgenza, all’inizio del terzo millennio, se guardiamo a quella immensa porzione dell’umanità che ancora non conosce o non riconosce Cristo. Pertanto la missione ad gentes, a tutti i popoli, è oggi più valida che mai, in questa missione di speranza, un ruolo di primo piano è affidato alle famiglie. La famiglia, infatti, annuncia il Vangelo della speranza con la sua stessa costituzione, perché si fonda sulla fiducia reciproca e sulla fede nella Provvidenza. La famiglia annuncia la speranza, perché è il luogo in cui sboccia e cresce la vita, nell’esercizio generoso e responsabile della paternità e della maternità. Un’autentica famiglia, fondata sul matrimonio, è in se stessa una ‘buona notizia’ per il mondo».
Devo confessare che, nel costruire questo articolo, ho ricordato il tempo in cui ero responsabile della pastorale famigliare della Conferenza episcopale italiana e, prima, della diocesi di Torino; in quel tempo mi sarebbe stato più facile di oggi scrivere quello che ho scritto e dare peso e importanza al messaggio di fratel Charles e di san Giovanni Paolo II. Oggi trovo che viviamo un momento di minor impegno a servizio della nostra fede. Sarei molto felice se qualcuno mi scrivesse dicendomi che sbaglio. Mi rivolgo in modo particolare agli sposi cristiani e ai movimenti che essi hanno espresso. Ad essi voglio dire che la Chiesa, negli ultimi quarant’anni, ha chiesto agli sposi cristiani di essere presenti in modo attivo nella pastorale: mi pare però che la attuale situazione non mostri che sia stata data una risposta adeguata. Non si può non riflettere su questo esito un po’ deludente e rilanciare un caldo invito agli sposi perché siano più presenti e più impegnati nella pastorale; lo dico mentre viene lanciato un messaggio in parte nuovo sui ministeri. Questo lancio, in verità – lo dico dopo aver letto i documenti relativi – non riconosce il posto che gli stessi recenti documenti della Chiesa hanno affidato agli sposi e quindi anche alle donne come spose, negli ultimi quaranta anni. Aggiungo in finale che il riconoscimento di presenza di sposi nella pastorale attiva è, secondo me, assolutamente necessario là dove si voglia ridefinire la responsabilità delle future parrocchie, problema di assoluta urgenza. Sarei desideroso di accendere una discussione sul tema che coinvolgesse la pastorale familiare.
+ Giuseppe ANFOSSI, Vescovo emerito di Aosta