Chi sarà Sindaco a Torino?

Interviste a confronto – Tredici aspiranti alla successione di Chiara Appendino. Abbiamo interrogato i candidati sui temi caldi del lavoro e dell’emarginazione sociale, della famiglia, della parità scolastica e delle politiche sui migranti

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Stefano Lo Russo, candidato del centrosinistra

Stefano Lo Russo, 45 anni, torinese, è docente di Geologia al Politecnico. Consigliere comunale di Torino dal 2006, è stato assessore all’Urbanistica dal 2011 al 2016.

Stefano Lo Russo

Qual è la prima cosa che farà, se sarà eletto Sindaco?

Convocherò un tavolo con le energie vitali della città: imprese, sindacati, terzo settore. Bisognerà fare squadra per decidere insieme come investire i fondi del Pnrr, una preziosissima occasione di rilancio per la nostra Torino.

Quali sono, secondo lei, le prime tre emergenze di Torino?

Direi lavoro, diseguaglianze, calo demografico. Far ripartire il mercato del lavoro, sempre più indebolito e frammentato, dev’essere la nostra priorità. E le diseguaglianze, siano esse sociali, economiche o di genere, si affrontano anzitutto creando opportunità di lavoro, accompagnando le persone verso processi di riqualificazione delle proprie competenze, perché lavoro vuol dire anche dignità. Infine, il calo demografico: Torino perde abitanti. Per il calo delle nascite, l’invecchiamento progressivo della popolazione, l’incapacità di attrarre nuovi residenti. Dobbiamo invertire la rotta, in fretta.

Sul tema del lavoro: cosa farà per cercare di correggere la pesante disoccupazione del capoluogo?

Due le priorità: rilanciare l’economia e semplificare la burocrazia. Dobbiamo ricostruire una città che torni a creare lavoro, soprattutto per giovani e donne e punteremo su politiche che favoriscano nuove assunzioni di lavoratrici e lavoratori. Allo stesso modo, coloro che dal mercato del lavoro sono rimasti temporaneamente esclusi andranno aiutati a ricollocarsi attraverso programmi di riqualificazione delle proprie competenze e di inclusione nella vita della città. Penso ad esempio a sedi decentrate dei Centri per l’Impiego nelle Circoscrizioni e allo sviluppo di servizi per la ricerca di lavoro e per l’orientamento, a politiche di sostegno dell’occupazione femminile.

Quale opinione si è fatto sulla vicenda Fiat-Stellantis, sul futuro della produzione a Mirafiori e sui tagli, che ancora non si interrompono, ai posti di lavoro?

Sono molto rammaricato per l’occasione persa della giga factory; l’automotive è sicuramente uno degli assi strategici perché la nostra città torni ad essere produttiva e attrattiva. Il futuro di Mirafiori riveste importanza di carattere nazionale e deve inquadrarsi in un più ampio quadro di ripresa di una politica industriale nazionale in cui il Governo si faccia parte attiva per difendere gli interessi degli impianti italiani. Il Sindaco deve essere molto attivo su questo fronte costruendo con le parti sociali del territorio un nuovo patto per lo sviluppo. Al centro ci sono la tutela delle competenze e dei posti di lavoro diretti e di tutto l’indotto, che per me sono l’assoluta priorità.

Secondo l’Arcivescovo Nosiglia esistono due Torino: quella benestante dei quartieri centrali e quella abbandonata a se stessa nelle periferie, con crescenti sacche di povertà e di emarginazione. Solo il volontariato e le parrocchie presidiano questi territori. Lei condivide questa lettura? E cosa farà per correggere i problemi?

Sì, la condivido. Quello delle diseguaglianze è un tema che mi sta molto a cuore, la città va ricucita. In questi mesi sono stato tanto nei quartieri, ad ascoltare le persone: è proprio dall’attenzione ai cittadini, specie quelli più fragili, che dobbiamo ripartire. Con la cura del territorio, il contrasto al degrado e il presidio degli spazi abbandonati, con il potenziamento dei trasporti e dei servizi decentrati. In questi ultimi anni sono cambiati i bisogni sociali e per questo devono cambiare anche le risposte da dare, con un welfare più vicino alle persone. Vanno stimolate le politiche di cittadinanza attiva e comunità per aiutare i minori, i senza fissa dimora, i migranti, anche con l’aiuto delle realtà dell’associazionismo. Se la città è a misura dei suoi abitanti più fragili, dalla sicurezza delle strade alla facilità di accesso ai servizi, è una città a misura di tutte e tutti.

Migranti: condivide gli slogan di alcuni partiti politici, secondo cui gli stranieri minacciano la sicurezza e gli interessi degli italiani?

Naturalmente no. Torino è una città costruita anche sull’immigrazione, già dai tempi di don Bosco, quando i migranti erano i ragazzi che arrivavano dalle campagne del chierese. Poi è arrivata l’immigrazione dal Sud Italia, dal Veneto, decenni dopo dall’Est Europa, dal Maghreb, oggi da Africa e Medio Oriente. Tutte queste persone hanno trovato una città che ha saputo offrire loro lavoro ed integrazione e dobbiamo proseguire con questa vocazione. In questi mesi ho incontrato molti genitori stranieri che mi hanno raccontato che i loro figli, immigrati di seconda generazione, terminati gli studi cercheranno lavoro fuori perché qui non vedono prospettive. Questo mi ha colpito molto: dobbiamo essere in grado di offrire opportunità ai giovani, italiani e stranieri, per farli restare a Torino.

Torino attende da vent’anni un rilancio capace di contrastare il declino industriale. Lei come valuta le azioni condotte dall’Amministrazione Appendino per cercare di risollevare la città?

Preferisco parlare di quello che vorremo fare noi.

Quale azioni ha in mente lei?

Il rilancio dell’economia, investendo sulla manifattura 4.0 e sullo sviluppo digitale, sostenendo il commercio, promuovendo il turismo e sfruttando al meglio i fondi del Pnrr. Grande attenzione alle infrastrutture, con la riorganizzazione del sistema di trasporto pubblico locale e il completamento del Sistema Ferroviario Metropolitano e della Linea 2 della Metropolitana. Un programma di politiche culturali per rendere la nostra città ancora più attrattiva e la rigenerazione di luoghi come la Cavallerizza Reale e Torino Esposizioni da dedicare alla cultura. Infine, l’ho detto in più occasioni, anche da docente del Politecnico sogno una Torino città universitaria, con giovani da tutto il mondo che arrivino per l’offerta dei nostri due prestigiosi atenei e poi decidano di farne la città dove vivere, lavorare, mettere su famiglia.

Cos’è rimasto della città che ospitò le Olimpiadi nel 2006?

Un’eredità importante: la consapevolezza che Torino quando fa squadra può farcela, può raggiungere risultati importanti. E io credo si possa tornare a farlo di nuovo.

Le Amministrazione Fassino e Appendino hanno spesso lamentato un eccessivo peso dei debiti sul Bilancio del Comune di Torino, debiti che costringerebbero a tagliare le spese, rinunciare a progetti di sviluppo… Lei conferma che il Comune ha le mani legate?

La situazione è ancora critica, ma i fondi del Pnrr saranno una boccata d’ossigeno e permetteranno sicuramente di fare nuovi investimenti contribuendo, nel contempo, a proseguire nelle politiche di risanamento finanziario.

Da un decennio il Comune sta tagliando i contributi alle scuole materne paritarie. Cosa risponde alle famiglie che chiedono di potenziare nuovamente questi contributi?

Il sistema educativo dell’infanzia è essenziale, anche per evitare che molte mamme siano costrette a rinunciare al lavoro per occuparsi dei figli. Ad oggi questi servizi riescono a rispondere alla domanda soltanto di una famiglia su tre e vanno fortemente potenziati, sia attraverso nuove assunzioni nel settore pubblico che sostenendo il sistema integrato dell’offerta.

Temi etici: fece molto discutere, qualche anno fa, la presa di posizione del sindaco Appendino a favore dell’adozione di bambini nelle coppie gay. Qual è il suo punto di vista sui figli affidati a due mamme o a due papà?

Condivido le posizioni della Sindaca Appendino.

Paolo Damilano, candidato del centrodestra

Paolo Damilano, 56 anni, torinese, è imprenditore nel campo vinicolo e delle acque minerali (marchi Valmora e Sparea), titolare di esercizi commerciali torinesi come il pastificio Defilippis o il Bar Zucca. Già presidente del Museo del Cinema, presiede la Film Commission di Torino.

Paolo Damilano

Qual è la prima cosa che farà, se sarà eletto Sindaco?

Stiamo uscendo da una tragedia sanitaria e poi sociale ed economica che ci ha segnato tutti. I 130.000 morti della pandemia ci impongono di non sprecare l’opportunità del Pnrr. Sarà un piano Marshall per cui vogliamo un assessorato ad hoc: questi fondi, se usati bene, non solo potranno farci uscire dalla crisi, ma creare una nuova fase di sviluppo e benessere, per tutte le famiglie.

Quali sono, secondo lei, le prime tre emergenze di Torino?

Il lavoro, innanzitutto. Perché la mancanza di lavoro allontana le persone dalle altre e alla fine anche da se stesse. E poi la casa. Serve un grande piano di rilancio dell’edilizia: costruire o rigenerare case porta semi di novità e di rigenerazione urbana nei quartieri. Dare una casa alle famiglie è un obbligo morale, ma anche un’occasione irrinunciabile di investire per migliorare la città. Terzo, la sicurezza. L’illegalità costa, per i servizi di pubblica sicurezza e perché deprime l’economia, allontana gli investimenti, respinge i turisti, cancella i posti di lavoro.

Sul tema del lavoro: cosa farà per cercare di correggere la pesante disoccupazione del capoluogo?

Il lavoro è la medicina per far ripartire la città e riannodare il tessuto sociale. Ci faremo garanti che ogni euro che arriverà porti posti di lavoro. Per farlo Torino deve tornare a essere attrattiva. Qui abbiamo competenze, talenti, una vocazione manifatturiera e insieme grandi capacità di innovazione nelle tecnologie. Queste eccellenze vanno fatte conoscere portando Torino nel mondo. Il sindaco non può aprire nuove aziende, ma può e deve essere un catalizzatore di opportunità.

Quale opinione si è fatto sulla vicenda Fiat-Stellantis, sul futuro della produzione a Mirafiori e sui tagli, che ancora non si interrompono, ai posti di lavoro?

Torino può e deve stare nella mappa dell’auto di domani e per farlo deve rilanciare. Stellantis può ancora rappresentare una grande opportunità perché qui abbiamo professionalità di straordinaria qualità. Dobbiamo tenere aperto un dialogo senza sguardi nostalgici al passato e percorrere tutte le strade possibili per la tutela del territorio e dei lavoratori. E insieme dobbiamo intercettare l’interesse di altri produttori per valorizzare un tessuto che come pochi altri è in grado di generare innovazione di filiera.

Secondo l’Arcivescovo Nosiglia esistono due Torino: quella benestante dei quartieri centrali e quella abbandonata a se stessa nelle periferie, con crescenti sacche di povertà e di emarginazione. Solo il volontariato e le parrocchie presidiano questi territori. Lei condivide questa lettura? E cosa farà per correggere i problemi?

Non possiamo non riconoscere il ruolo di supplenza che volontari e parrocchie hanno svolto, ancor più negli ultimi due anni di emergenza. Dopo lo spartiacque del Covid ora dobbiamo ricostruire le reti, senza lasciare indietro nessuno. La nostra Torino deve essere bellissima tutta, non possiamo immaginare una città di serie A e una di serie B. Ora tocca all’amministrazione farsi carico nuovamente di strategie disegnate intorno alle persone e ai loro bisogni, ad esempio attraverso il rilancio dei luoghi sociali e culturali dei quartieri, dalle biblioteche alle «case dei quartieri», ai teatri, ai luoghi per l’associazionismo. Più eleveremo il capitale sociale, più si alzerà il tasso di occupazione e il reddito delle comunità.

Migranti: condivide gli slogan di alcuni partiti politici, secondo cui gli stranieri minacciano la sicurezza e gli interessi degli italiani?

Torino sarà una città davvero bellissima se saprà essere inclusiva. La vera leva dell’inclusione è generare migliori condizioni di vita per tutti i cittadini, solo così si può creare una vera integrazione. Vogliamo una città che tenda la mano a tutti, che darà nuova forza alla sua vocazione di città dei santi sociali.

Torino attende da vent’anni un rilancio capace di contrastare il declino industriale. Lei come valuta le azioni condotte dall’Amministrazione Appendino per cercare di risollevare la città?

Preferisco guardare al futuro, parlare dei progetti che immaginiamo per la città, ma c’è una Torino pre-covid e una Torino post-covid. L’amministrazione precedente si è trovata a gestire una situazione particolarmente difficile, gravata da un forte indebitamento e poi dalla pandemia. Ora è il momento di lavorare per la crescita.

Quale azioni ha in mente lei?

Ribadisco, il lavoro. Dobbiamo portare lavoro, buste paga. Per farlo vanno coinvolte tutte le forze della città, dagli imprenditori, ai sindacati, alle associazioni di categoria, alle altre istituzioni. Abbiamo le idee chiare, il lavoro si crea con le attività economiche. Servono misure specifiche, come i cantieri di lavoro pubblico per fronteggiare l’emergenza e più progetti di servizio civile universale. Sosterremo la formazione per aiutare chi vuole riqualificarsi e renderemo più facile entrare nel circuito delle ricerche di lavoro con nuovi strumenti di valutazione delle competenze.

Cos’è rimasto della città che ospitò le Olimpiadi nel 2006?

È rimasta una bella eredità, ma anche un debito considerevole. Per questo sarebbe stato importante avere di nuovo la possibilità di ospitare i Giochi, per beneficiare fino in fondo degli investimenti fatti su impianti e infrastrutture. È rimasto anche un grande senso di orgoglio, forse addirittura nuovo per molti torinesi, che hanno scoperto di vivere una città con potenzialità straordinarie. Quello stesso orgoglio che vogliamo risvegliare in tutti i cittadini.

Le Amministrazione Fassino e Appendino hanno spesso lamentato un eccessivo peso dei debiti sul Bilancio del Comune di Torino, debiti che costringerebbero a tagliare le spese, rinunciare a progetti di sviluppo… Lei conferma che il Comune ha le mani legate?

L’economia oggi dà segni di ripresa e ci sono i fondi del Pnrr in arrivo. In più, nel nostro programma proponiamo strumenti come i project bond già usati in altre città ad esempio per finanziare la costruzione di infrastrutture. Questi sono gli strumenti non per risolvere il debito, che andrà gestito, ma per alzare il Pil della città. Come ha detto il premier Draghi, non dobbiamo aver paura di fare debito sano. Il prestito del Pnrr è l’ultima opportunità: dobbiamo impegnarci non solo per restituirlo, ma capitalizzarlo e metterlo a terra con progetti di qualità.

Da un decennio il Comune sta tagliando i contributi alle scuole materne paritarie. Cosa risponde alle famiglie che chiedono di potenziare nuovamente questi contributi?

Che questa tendenza sarà invertita. Le materne paritarie hanno un ruolo importante per le famiglie del futuro, sono istruzione di qualità e vano tutelate. Tutta la scuola va tutelata, rinforzata e non tagliata. Un’offerta scolastica di alto livello è un biglietto da visita eccezionale per la qualità della vita che è fondamentale per attrarre i capitali stranieri

Temi etici: fece molto discutere, qualche anno fa, la presa di posizione del sindaco Appendino a favore dell’adozione di bambini nelle coppie gay. Qual è il suo punto di vista sui figli affidati a due mamme o a due papà?

Torino ha una lunga storia sul tema dei diritti, ed è una tradizione da rispettare e custodire. Con noi Torino non arretrerà sul fronte dei diritti, non si disimpegnerà da una sfida che l’ha sempre contraddistinta, quella di non abbandonare e di non lasciare indietro nessuno, anzi di creare le condizioni per cui ciascuno trovi il suo posto nella società.

Valentina Sganga, candidata Cinque Stelle

Valentina Sganga, 35 anni, torinese, laureata in Scienze del Governo e dell’Amministrazione, ha lavorato come segretaria amministrativa ed è consigliere comunale dal 2016, capogruppo del Movimento Cinque Stelle.

Valentina Sganga

Qual è la prima cosa che farà, se sarà eletta Sindaco?

Voglio scorporare l’Assessorato al Commercio e individuare una figura che si occupi specificatamente di mercati e negozi di vicinato. Il Covid e la crisi economica hanno messo a dura prova il nostro tessuto commerciale e artigianale, dobbiamo sostenerlo sia perché sono l’anima viva della città sia perché svolgono una funzione di presidio territoriale. Dove c’è un negozio aperto ci sono persone che lavorano ma c’è anche una luce sulla strada e aumenta la percezione di sicurezza nei nostri quartieri.

Quali sono, secondo lei, le prime tre emergenze di Torino?

Sicuramente l’emergenza abitativa è una questione da risolvere, non costruendo nuovi edifici e quindi consumando nuovo suolo, ma riqualificando tutti gli immobili vuoti diffusi in città. Torino deve poi tornare attrattiva per gli investimenti delle aziende per poter invertire il trend di disoccupazione, soprattutto giovanile. Infine, è di pochi giorni fa la notizia di una Torino che non è più al primo posto tra le città più inquinate d’Italia, non basta. Dobbiamo riprogettare il trasporto pubblico, potenziare le linee e utilizzare i fondi del Pnrr per cominciare a costruire la città dei 15 minuti, sul modello parigino.

Sul tema del lavoro: cosa farà per cercare di correggere la pesante disoccupazione del capoluogo?

Vogliamo utilizzare tutti gli strumenti in mano al Comune per creare condizioni favorevoli alle aziende al fine di invogliarle ad investire da noi, reindustrializzando le aree ed i settori colpiti dalla crisi nell’ambito del riconoscimento della Città di Torino come Area di Crisi Industriale Complessa. Il progetto di rilancio è stato iniziato da Chiara Appendino, solo noi possiamo portarlo seriamente avanti.

Quale opinione si è fatto sulla vicenda Fiat-Stellantis, sul futuro della produzione a Mirafiori e sui tagli, che ancora non si interrompono, ai posti di lavoro?

Più volte abbiamo sottolineato come Stellantis e gli Elkann non possano e non debbano dimenticare i legami con un territorio che gli ha dato tutto: passione, supporto, fatica.  Oltre a una seria riflessione sui rapporti di forza che a lungo hanno caratterizzato la nostra città, è necessario tenere conto di quanto Torino sia il luogo naturale da cui deve ripartire il rilancio della filiera automobilistica italiana, a dimostrazione ne sono i progetti nati e sviluppatisi nel territorio negli ultimi anni: dal Competence Center all’Intelligenza Artificiale, dalla Casa delle Tecnologie Emergenti alla grande attenzione per la mobilità elettrica e per la guida autonoma.

Secondo l’Arcivescovo Nosiglia esistono due Torino: quella benestante dei quartieri centrali e quella abbandonata a se stessa nelle periferie, con crescenti sacche di povertà e di emarginazione. Solo il volontariato e le parrocchie presidiano questi territori. Lei condivide questa lettura? E cosa farà per correggere i problemi?

Che esistano due Torino è certamente vero e siamo stati i primi a sottolinearlo nel 2016, com’è vero che il tessuto sociale ha risentito fortemente dell’emergenza sanitaria legata al Covid19.

Ringrazio pubblicamente tutte le realtà di volontariato e le parrocchie per il lavoro incessante che svolgono sul territorio. Con loro e con diversi organismi del terzo settore abbiamo dato vita alla rete di Torino Solidale. Si tratta di 12 snodi che, a partire dal lockdown in avanti, hanno dato sostegno alimentare a 24.000 persone, tra cui 8000 minori.  I modelli di welfare per i cittadini, oggi più che mai, devono sancire una collaborazione stretta tra le istituzioni e le realtà del territorio.

Migranti: condivide gli slogan di alcuni partiti politici, secondo cui gli stranieri minacciano la sicurezza e gli interessi degli italiani?

Assolutamente no. I migranti, come gli italiani, diventano un problema per la sicurezza nel momento in cui non si è in grado di promuovere progetti di inclusione sociale. Il problema non sono i migranti, ma la povertà, sia economica che educativa. La sicurezza passa necessariamente dall’integrazione, è questo che alcuni partiti non hanno ancora capito. Vorrei che mettessimo gli stranieri presenti sul nostro territorio, ma soprattutto le seconde e le terze generazioni, nelle condizioni di condurre un’esistenza nei parametri della legalità, per farlo serve accorciare i tempi per il rilascio del permesso di soggiorno e soprattutto per la cittadinanza. Una città è sicura solo se allo stesso tempo è giusta.

Torino attende da vent’anni un rilancio capace di contrastare il declino industriale. Lei come valuta le azioni condotte dall’Amministrazione Appendino per cercare di risollevare la città?

Positivamente. In questi anni per la prima volta si è cercato di affermare che Torino è una città ricca di eccellenze e non può avere un’unica vocazione, come il centrosinistra ha cercato di fare per anni rilanciando sull’idea di città turistica. Purtroppo quell’indotto da solo non basta, lo dicono i numeri che ci identificano come una delle città più povere del Nord Italia. Torino può rimettere al centro la manifattura puntando sull’innovazione e sulla transizione ecologica e digitale, senza rinunciare ad essere una capitale della cultura, del cibo o dello sport. Più vocazioni e non solo una, ma pari impegno su tutte.

Quale azioni ha in mente lei?

Vorrei creare delle zone economiche speciali con sgravi fiscali e agevolazioni per chi fa impresa e assume. Come dicevo, siamo pieni di eccellenze: il Comune può fare da collante per generare filiere e può supportare l’incontro tra domanda e offerta con un accompagnamento all’inserimento sul mercato del lavoro. Vorrei che ci fossero figure che si occupano specificatamente di questo all’interno dell’Ente.

Cos’è rimasto della città che ospitò le Olimpiadi nel 2006?

La voglia di tornare ad essere protagonisti su scala mondiale è certamente rimasta a noi torinesi. A novembre ci saranno le Atp Finals, per 5 anni consecutivi, e ci aspettiamo lo stesso successo e 600 milioni di ricadute sul territorio. Purtroppo però la gestione del 2006 fu tutt’altro che virtuosa sul piano delle spese e degli sprechi. Ci trasciniamo, da allora, 3 miliardi di debiti che pensano tanto sulla gestione finanziaria dell’Ente. Credo che i mega eventi vadano ripensati in termini di sostenibilità sia ambientale che economica, magari ruotando i giochi olimpici tra le stesse città, in modo da non dover ogni volta ricostruire impianti da miliardi di euro per poi lasciarli in disuso.

Le Amministrazione Fassino e Appendino hanno spesso lamentato un eccessivo peso dei debiti sul Bilancio del Comune di Torino, debiti che costringerebbero a tagliare le spese, rinunciare a progetti di sviluppo… Lei conferma che il Comune ha le mani legate?

Purtroppo è proprio così. Ci tengo a ribadire che noi in questi anni siamo intervenuti: dal 2016 al 2020 lo squilibrio strutturale è passato da 80 milioni a 7,5 e abbiamo ridotto il debito di circa 360 milioni di euro. Ma la situazione è ancora difficile e la gestione virtuosa dell’Ente deve proseguire, per questo promettere grandi opere o mega interventi nei programmi elettorali è del tutto insensato. Ci sarà una grande opportunità, che sono i fondi del Pnrr, vorrei che a gestirli fossimo noi che abbiamo dato prova di buona gestione delle risorse: quei fondi devono avere ricadute il più possibile condivise. Non torniamo ad una gestione che, come al solito, premia i pochi.

Da un decennio il Comune sta tagliando i contributi alle scuole materne paritarie. Cosa risponde alle famiglie che chiedono di potenziare nuovamente questi contributi?

La città di Torino ha sempre rappresentato un’eccellenza nel campo dei servizi educativi grazie ad una distribuzione capillare sul territorio di questi servizi ed una elevata qualità. È opportuno inoltre ricordare che a Torino è garantito il posto nelle scuole dell’infanzia alla totalità dei bambini e delle bambine e questa offerta è garantita da scuole statali, comunali e paritarie. Il nostro obiettivo è quello di continuare  a garantire la pluralità dell’offerta all’interno del servizio integrato 0-6 con gli elevati standard qualitativi che da sempre lo connotano.

Temi etici: fece molto discutere, qualche anno fa, la presa di posizione del sindaco Appendino a favore dell’adozione di bambini nelle coppie gay. Qual è il suo punto di vista sui figli affidati a due mamme o a due papà?

Lo abbiamo detto durante tutta la campagna elettorale, per noi i diritti sono uno dei capisaldi per far ripartire la città. Ovviamente sono favorevole e, se gli elettori lo vorranno, continuerò a lavorare affinché vengano riconosciuti i nuovi diritti che la società civile richiede. L’amore non ha genere, è universale. Per i diritti deve essere la stessa cosa.

Tredici candidati 

I candidati che si contendono l’elezione a Sindaco di Torino nel voto del 3 e 4 ottobre sono complessivamente 13. Oltre a Stefano Lorusso (centrosinistra), Paolo Damilano (centrodestra) e Valentina Sganga (Cinque Stelle) che abbiamo intervistato in questo articolo, si presentano:

* Angelo D’Orsi, collegato alle liste Potere al Popolo, Partito Comunista Italiano, Sinistra in Comune, Rifondazione Comunista, Sinistra Anticapitalista, DemA, Torino Ecosolidale.

* Greta Giusy Di Cristina, collegata alle liste Partito Comunista e Torino Città Futura.

* Ugo Mattei, collegato alla lista Futura Torino.

* Roberto Salerno, collegato alla lista Mat – Movimento Ambientalista Torino.

* Ivano Verra, collegato alle liste Italexit e Noi Cittadini.

* Paolo Alonge, collegato alla lista Movimento 3V – Vaccini Vogliamo la Verità.

* Lorenzo Varaldo, collegato alla lista Divieto di Licenziare.

* Emilio Mazza, collegato alla lista Torino Capitale d’Europa Basta Isee.

* Davide Betti Balducci, collegato alle liste Partito Gay e Partito Ambientalista.

* Massimo Chiesi, collegato alla lista Partito Comunista dei Lavoratori.

 

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