Chiara Lubich, la purezza di un carisma

Rai1 – «Chiara Lubich. Tutto vince l’amore» è stato uno dei prodotti cinematografici più complessi per il regista Giacomo Campiotti. Coprodotto da Rai Fiction ed Eliseo Multimedia, domenica 3 gennaio su Rai1 ha portato sul piccolo schermo 5,6 milioni di italiani, per il 23% di share

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Cristina Capotondi nei panni di Chiara Lubich nel film diretto da Giacomo Campiotti

Sarebbe stato molto semplice allestire un documentario. Un’ora e mezza di clip messe insieme con un buon montaggio, voce narrante e qualche musica. Perché di immagini video su Chiara Lubich, tra l’Italia e il mondo, ve ne sono da poterne fare mille di documentari. Sarebbe stato più semplice anche farne una serie alla «The crown» o «Casa di carta». Avrebbe suonato pure bene il titolo: «La casa dell’amore». O qualcosa di simile.

Il rischio grosso invece era farne un film. Con una narrazione di una parte di vita per dare uno spaccato dell’intera esistenza di una delle più significative personalità della Chiesa del Novecento. «Chiara Lubich. Tutto vince l’amore» è stato uno dei prodotti cinematografici più complessi per il regista Giacomo Campiotti. Coprodotto da Rai Fiction ed Eliseo Multimedia, domenica 3 gennaio su Rai1 ha portato sul piccolo schermo 5,6 milioni di italiani, per il 23 per cento di share. Solo tre anni di Chiara, dal 1943 al 1946 a Trento, Seconda guerra mondiale. «Tutto crolla» è l’apertura del film, come è l’avvio della storia del Movimento dei Focolari, fondato da Chiara Lubich. Un carisma per la Chiesa che il film racconta nel suo embrione in piazza Cappuccini dove nasce il primo Focolare, con Chiara e le sue prime compagne che scoprono la forza del Vangelo vissuto. Una frase compiuta al giorno, «Parola di vita» che vince le bombe e la distruzione, le fratture tra fascisti e partigiani, il dolore del distacco terreno dai famigliari, l’abbandono della famiglia. «Solo Dio resta» è la scoperta di Chiara che nel suo testamento mette «Gesù abbandonato sulla Croce», la massima sofferenza da lui provata, e «la bellezza di Gesù che è presente tra noi».

È una fiction e non un documentario, il film biografico su Chiara. Cristiana Capotondi è perfetta in un ruolo difficile che tutti i media negli ultimi giorni hanno analizzato guardando al film e alla storia del Movimento dei Focolari, nel centesimo anniversario della nascita di Chiara Lubich (2020), della quale è in corso il processo di beatificazione, e alla vigilia dell’Assemblea generale (2021) che rinnoverà la presidenza (sarà sempre una donna per Statuto) oggi affidata a Maria Voce.

La Chiara della fiction non è una filantropa o una rivoluzionaria che cambia le sorti di Trento sotto la guerra. La finzione cinematografica racconta più facilmente gli aspetti esteriori – e meno quelli intimi – che comunque sempre la stessa Lubich e i documentari sul Movimento dei Focolari hanno sottolineato quali essenziali per conoscere i primi passi di quell’Opera che poi la fondatrice chiamerà «di Maria». Lo farà negli Statuti riconosciuti dalla Chiesa e da Paolo VI dopo una lunga e complessa analisi del Sant’Uffizio. Il film di Rai1 torna più volte tra le stanze dei Palazzi romani dove Chiara venne interrogata. Ci sono i preti che non comprendono la forza del Vangelo vissuto insieme, i Cardinali dell’inquisizione e poi c’è Mons. De Ferrari, quel Vescovo di Trento che vide «il dito di Dio» nel Focolare e nella scelta di Chiara. C’è una Chiara anche risoluta e determinata. Molte immagini sono cariche di voluto pathos tra le bombe della guerra, altre di analisi introspettiva. «Tutto vince l’amore» non è però melenso e non è una lezione di dottrina ecclesiastica. È un film per laici e per cattolici, per credenti e non, anche di altre religioni. E la dimensione valoriale che il film richiama è certamente non trascurabile in apertura del secondo anno di pandemia.

Chiara Lubich apre una via nella Chiesa che richiama a una dimensione comunitaria possibile per tutti e non certo solo per e nel Focolare. Non bastano i segni di carità come non ci sono mistica e vita del Vangelo senza fatti concreti, come «comunione dei beni» e «amore per il fratello». Non basta un carisma, non basta un Focolare, non bastano incontri e «comunione d’anima», senza un forte radicamento nella Chiesa e un forte legame anche con la gerarchia. Lo scrive il Concilio. Doni gerarchici mixati con i Doni carismatici. Non c’è focolare senza parrocchie e le stesse parrocchie trovano nei carismi vissuti una forza per la loro rigenerazione.

Non sembra una Chiara finita o peraltro un Movimento finito quando scorrono i titoli di coda. La forza dei fondatori, se viene meno con la morte terrena, affonda la loro stessa Opera. Le luci di Trento si spengono con le immagini della Chiara nel mondo con Athenagora, i musulmani di Arlem in Moschea, gli indù e i bangwa dell’Africa subsahariana. C’è però ancora una immagine che ‘manca’ e che inquadro tra le montagne di Trento, tra le Valli di Primiero, tra la Val Sugana e poi più avanti nelle Valli di Lanzo (molti ricordano le Mariapoli ad Ala di Stura negli anni ’60), a Vallo (dove «era più di una cittadina onoraria», ebbe a dire Monsignor Fiandino il 14 luglio 2018, dopo la morte di Chiara) o a Bra (e il Centro Mariapoli Raggio di Luce), ma anche a Loppiano, a Rocca di Papa e Castelgandolfo, sui Colli romani. E ancora a Torino, che nel 2002 la volle cittadina onoraria con una cerimonia al Teatro Regio mai così gremito. Chiara era territorio, comunità, legame con pezzetti di «provincia non provinciale» che generano scelte, opportunità, incontri, percorsi. Legami forti con le comunità che mai come oggi hanno urgenza di vincere solitudini e tradizionalismo. Vincerli con quella forza di «camminare insieme» che proprio negli anni Sessanta aveva fatto incrociare la «Chiesa-comunione» con una «Chiesa povera e per i poveri», anticipando la «Chiesa in uscita» che nel film è verso i poveri di Trento. E che oggi è negli spazi della città e dei borghi, vincendo ogni solitudine e abbandono. Anche per consegnarci questo monito, al regista Campiotti non bastava un documentario.

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