Chiesa torinese in festa per i preti novelli

Ordinazioni in Duomo – Samuele Moro, Mauro Donato, Giacomo Cisero, Federico Botta. Sono i nuovi sacerdoti di cui si è arricchito il presbiterio torinese. I primi ordinati dall’Arcivescovo mons. Repole, lo scorso 4 giugno in Cattedrale, che ha invitato a fissare lo sguardo sul Risorto. GALLERY 

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Samuele Moro, Mauro Donato, Giacomo Cisero, Federico Botta. Sono i nuovi sacerdoti di cui si è arricchito il presbiterio torinese. I primi ordinati dall’Arcivescovo mons. Roberto Repole lo scorso 4 giugno in Cattedrale. Quatto sacerdoti che come ha ricordato il rettore del Seminario, don Ferruccio Ceragioli, «hanno storie diverse per molti aspetti, provenienza, esperienze di studio e di lavoro, carattere, sensibilità, età… ma tutti accomunati dal desiderio di servire il Signore nella Chiesa. Un incoraggiamento all’Arcivescovo che avrà quattro nuovi preti carichi di entusiasmo come suoi collaboratori, ma incoraggino anche altri giovani a interrogarsi sulla possibilità di percorrere la loro stessa strada seguendo Gesù come preti».

E parole di incoraggiamento, ma soprattutto di stimolo a vivere il ministero sacerdotale unendo la povertà di Pietro alla sua capacità di fissare lo sguardo sul Maestro, per abbandonarsi a Lui e per riconoscere sempre il ruolo di custodi e non proprietari del gregge, sono state il filo conduttore dell’omelia dell’Arcivescovo. Omelia – a partire dal brano di Giovanni del capitolo 21 (1-17) scelto dagli ordinandi – in cui più volte mons. Repole si è rivolto ai novelli sacerdoti chiamandoli per nome, a sottolineare quell’inizio del cammino spirituale, quell’appartenenza e storia unica segnata dal Battesimo.

foto Bussio

«Nel dialogo tra il Risorto e Pietro», ha sottolineato, «colpisce anzitutto il fatto che il Maestro chiami Pietro con il suo nome di origine, Simone, quasi che il ministero di cui lo investe non solo non annulli l’itinerario di discepolato che ha dovuto compiere, iniziato quando era semplicemente Simone, ma richieda di essere innestato lì, in quel percorso lungo e tormentoso e anche drammatico che Pietro ha compiuto per essere discepolo del maestro. Dramma che si evidenzia nelle tre richieste che il Risorto gli fa: ‘mi ami?’ Perchè per tre volte? Perchè tre volte Pietro ha tradito. Pietro è un poveraccio che nel momento culminante se l’è data a gambe, è scappato quando il suo signore stava per dare la sua vita per lui, e lui ha trattenuto spasmodicamente la sua vita, persino con la menzogna. Pietro è questo. Eppure il Risorto si consegna a lui con la domando forse più intima che noi uomini possiamo farci: ‘mi ami?’, ‘mi vuoi bene?’. Quando Pietro non guarda a se stesso, ma fissa gli occhi sul Risorto e gli dice ‘sai tutto’, solo allora Gesù gli mette nelle mani la sua missione: ‘pasci le mie pecorelle’. La metafora del pastore serve a dire il servizio della comunione, dell’unità del gregge, ma anche il dono della vita che chi assume questa missione deve offrire per coloro che sono le sue pecore. Le sue, e non di chi assume la missione, le sue di Cristo, che non diventeranno mai proprietà di Pietro».

Ecco dunque dall’itinerario di Pietro, dal Vangelo scelto per l’ordinazione, il «programma» di vita sacerdotale incentrato su comunione, servizio, dialogo intimo con il Signore.

«Carissimi Federico, Mauro, Samuele, Giacomo, voi oggi ricordare che come Pietro il vostro itinerario di fede non sarà un optional nel vostro ministero presbiterale, diventate preti con il vostro nome di Battesimo con cui avete iniziato ad essere discepoli. Sarete preti e la vostra missione sarà vera, autentica autorevole solo se sarete pastori che rimangono discepoli, li si giocherà la più vera autorità di pastori. Potrete annunciare il Vangelo ad altri e la vostra parola toccherà i cuori solo se gli altri vedranno che quella parola ha sferzato anzitutto il vostro cuore, se no saranno insegnamenti accademici o al massimo chiacchiere. Potrete chiedere collaborazioni, affidarle, solo se voi per primi sarete dei servitori di Cristo fino in fondo, senza mai diventare padroni. Potrete guidare delle coscienze solo se ciò che indicherete agli altri è la strada che voi stessi vi siete impegnati a percorrere. Potrete persino presiedere l’Eucarestia in un modo che diventi nutriente per tutti coloro per cui la presiederete solo se voi per primi pregherete celebrando l’Eucarestia e solo per primi vi nutrirete di quel corpo di Cristo che per mezzo di voi viene offerto agli altri».

«Ricordate sempre», ha proseguito, «che come Pietro siete poveracci, ma non siete soli, siamo in tanti: non abbiate paura di riconoscere di avere bisogno come Pietro della misericordia di Cristo. Dovrete invece avere paura del momento in cui la vostra vita diventasse una menzogna e vi alzaste al mattino senza più riconoscere ciò che davvero siete. Sarete preti autentici e buoni se invece vi alzerete ogni mattino, punterete gli occhi negli occhi di Cristo e gli direte ‘Tu sai tutto sai che ti voglio bene’».

Una consapevolezza sulla quale fondare un ministero a servizio della comunione: «Un prete che divide», ha rimarcato, «è l’antitesi di ciò che è il prete», «a tutti i livelli c’è la persona e c’è la comunione, non c’è mai luna senza l’altra: diventiamo cristiani come unici ma membra del corpo di Cristo, diventiamo preti essendo unici – e non è così vero che un prete vale l’altro perche è un nome, un volto e una storia – ma ciascuno fa parte di un presbiterio. Persona e comunione vanno insieme e si possono servire le persone e la comunione, da preti, se non ci si stacca mai dalla comunione della Chiesa e del presbiterio. E c’è un piccolo segreto perchè questa parola possa portare i frutti dentro voi e in questa Chiesa ed è ciò che San Paolo dice quando dà il compito di vegliare sul popolo, sul gregge nello stesso istante in cui ingiunge di vegliare su se stessi. L’unico augurio che mi sento di farvi è di non trascurare mai tutti coloro che vi possono aiutare nella vita a vegliare su voi stessi».

Persone che vegliano come hanno fatto genitori, amici, formatori del seminario, sacerdoti, parrocchiani… un lungo elenco di persone che al termine della celebrazione don Samuele a nome dei tre confratelli ha voluto ricordare esprimendo il grazie per il dono del sacerdozio e per il cammino di discernimento compiuto: «Ogni cosa per cui oggi ringraziamo è una grazia, dono di Cristo nella nostra vita». Parole di gratitudine, ma anche di impegno e di affidamento: «Ci impegniamo a lavorare per la comunione nella Chiesa diocesana, per essere strumenti di unità e concordia e rivolgiamo il  grazie finale al Signore che ogni giorno tornerà a chiederci ‘mi vuoi bene?’ prima di darci in custodia il suo gregge. A Lui risponderemo con impegno ‘Tu sai tutto, sai che Ti voglio bene’ e a Maria Consolata ci affidiamo come preti novelli perché ci stia vicina nei primi passi e per sempre».

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