Chiudono i negozi? Non è tutta colpa di Amazon

Schiacciante concorrenza dei centri commerciali – Errato accusare il commercio online, che non supera l’8%. La morte dei negozi tradizionali è frutto della moltiplicazione degli ipermercati. E di una politica che non ha saputo mettere paletti

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Non è colpa di Amazon e del commercio online se a Torino abbassano le saracinesche, cessando la propria attività, due negozi ogni giorno (fonte: Ascom). Le vendite via internet costituiscono solo il 7,3% delle compravendite complessive: sono in crescita progressiva (erano il 6,5% l’anno scorso, il 5,7% due anni fa, fonte Osservatorio eCommerce), ma non rappresentano ancora una spiegazione all’altissimo numero di chiusure di negozi a Torino. Chiusure superiori alla media nazionale.

La vera concorrenza viene dai grandi centri commerciali, lasciati moltiplicare a dismisura nell’ultimo decennio da un politica miope, che incassa il denaro delle concessioni edilizie e dalle licenze commerciali facendo finta di non sapere che sarà la morte dei piccoli negozi tradizionali. Non occorre la sferza di cristallo per capire che l’assalto delle famiglie agli ipermercati toglie clienti alle botteghe di quartiere.

Negli ultimi 5 anni sono stati chiusi a Torino 3.300 esercizi commerciali, soprattutto nel settore dell’abbigliamento. La chiusura dei negozi di vicinato è una doccia fredda per i commercianti che falliscono, ma è anche un problema molto grave per la gestione del territorio: ad ogni saracinesca che si abbassa avanzano l’incuria e l’abbandono dei marciapiedi, il senso di solitudine (fra gli anziani, soprattutto, che non riescono a raggiungere gli ipermercati), il buio nelle strade, il senso di insicurezza.

Il fatto è che le autorizzazioni ad aprire ipermercati sono state, per anni, una fonte di reddito importante per le casse disastrate degli enti locali. Il bisogno di far cassa è passato sopra tutto il resto, rinviando i problemi che inevitabilmente si sarebbero posti. È un dinamica che va oltre i confini di Torino. Nel giro di un decennio in Piemonte le autorizzazioni all’apertura di grandi centri commerciali sono più che raddoppiate: dal 2005 al 2017 si è passati da 143 a 334 licenze. Nella sola provincia di Torino, nell’ultimo decennio, sono state registrate nuove aperture di centri commerciali per 157.291 metri quadrati (26.425 in città), l’equivalente di 18 campi da calcio di Serie A.

Era proprio necessario tutto questo? Non si poteva fissare qualche paletto in più? Non si poteva (si potrebbe ancora) agire sulla leva degli incentivi o degli sconti fiscali per tenere in vita i negozi di quartiere? Il nodo politico esiste e pone sotto giudizio una intera generazione di amministratori pubblici.

La grande proliferazione degli ipermercati ha schiacciato la concorrenza dei negozi tradizionali con il potente sistema degli sconti e con l’organizzazione del lavoro in turni 7 giorni su 7, talvolta anche di notte. Gli orari prolungati di vendita sono impraticabili dai negozi a gestione familiare. La concorrenza ha stravolto anche la vita delle famiglie dei lavoratori degli ipermercati, costretti ad accettare turni discontinui, feriali e festivi.

A Torino chiudono soprattutto i negozi di abbigliamento. Tengono i ristoranti. Resistono gli alimentari che hanno saputo crescere fino al livello di un minimarket. Se c’è un settore dove la concorrenza di Amazon sta producendo davvero morti e feriti, è il campo dell’editoria: i prodotti digitali stanno facendo arretrare quelli di carta, le librerie chiudono, le edicole scompaiono (in altra parte del giornale, pag. 12, pubblichiamo un’analisi della nuova legge italiana sul mercato dei libri, che cerca di correre ai ripari fissando un tetto agli sconti sul prezzo di vendita).

Non c’è dubbio, la concorrenza delle vendite online è destinata a farsi sempre più aggressiva. Chi pagherà il prezzo più alto? Nessuno sa rispondere con certezza, ma vari osservatori ritengono che i negozi di quartiere – ora che sono stati ridimensionati – resisteranno all’urto finale, potendo offrire il servizio esclusivo della «vicinanza» sotto casa e del «rapporto umano». Non altrettanto possono offrire i centri commerciali, cui Amazon sta lanciando la sfida della spesa online a prezzi scontati e consegna a domicilio. È guerra commerciale, senza esclusione di colpi. Il futuro ci dirà.

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