La Giornata del creato all’Arsenale della Pace

Sermig – Una rete di soggetti delle comunità ecumeniche torinesi, nei giorni di Terra Madre, ha promosso all’Arsenale della Pace un confronto sugli effetti devastanti per l’ambiente di una cattiva gestione delle risorse naturali

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Coltivare l’alleanza con la Terra, ristabilire l’equilibrio di un’umanità che contemporaneamente muore di fame e soffre le criticità legate alla malnutrizione o al sovrappeso.

L’associazione Triciclo, che dal 1996 promuove stili di vita sobri orientati alla riduzione dei consumi, ha declinato così, sabato 22 settembre, al Sermig di Torino, la Dichiarazione di Assisi, che lo scorso 1° settembre, durante la Prima Preghiera Ecumenica per il Creato, ha dato il via al Mese del Creato, suggerito da Papa Francesco, per riflettere e avviare percorsi di rinnovamento a partire dall’enciclica «Laudato Si’».

Il titolo dell’incontro «Ci stiamo mangiando la Terra?», ha parlato chiaro: il 60% degli alimenti consumati in tutto il mondo sono derivati che provengono da tre cereali, grano, riso e mais, e la cui produzione, al 90%, è controllata da gruppi finanziari e industriali. Se, da un lato, questo dato mette a serio rischio la biodiversità e l’equilibrio del sistema alimentare tra le varie specie animali e vegetali, dall’altro, i diversi comportamenti dell’essere umano che rientrano fra le cause del cosiddetto «cambiamento climatico» – dalla distruzione delle foreste pluviali alla cementificazione dei paesaggi – hanno portato a prevedere una sesta estinzione di massa (nella quinta, 65 milioni di anni fa, sono scomparsi i dinosauri) che interessa le specie che mano a mano non si inseriscono più nel processo alimentare.

Siamo, quindi, di fronte ad un doppio problema: non solo l’uomo si starebbe «mangiando il pianeta», sovrasfruttandolo e inquinandolo con fertilizzanti chimici e fumi industriali, ma starebbe anche emarginando sempre più piccoli contadini, pescatori e allevatori, gli ultimi ‘custodi’ della biodiversità che, rispondendo a una logica opposta a quella capitalistica, conoscono i fragili equilibri della natura. Ogni anno, secondo Slow Food, spariscono 27mila specie.

Lo racconta la testimonianza di Giorgio Cingolani, economista agrario e produttore agricolo biologico nel Maceratese. Qui si occupa della produzione di farro, ceci, lenticchie ed erba medica (ampia intervista su La Voce e il Tempo del 30 settembre).

E lo testimonia anche Jean Nepomuscene Harelimana, proveniente dalla diocesi di Byumba in Rwanda, perché il problema dei piccoli produttori, emarginati dalle grandi filiere produttive, non ha conseguenze esclusivamente nel limitrofo. In Rwanda, il problema della carestia è da ricondursi alla mancanza di formazione e cultura dell’alimentazione, che produce «vagabondaggio» e consumo irresponsabile da parte della popolazione. Ma se gli abitanti del Rwanda non coltivano il terreno – per mancanza di fertilizzanti, per ignoranza delle condizioni metereologiche – è anche perché le politiche alimentari obbligano i contadini a concedere piccoli fondi ai grandi produttori industriali di thè e caffè, destinati in ultima istanza ai Paesi del «primo» e «secondo» mondo. Il paradosso dei Paesi sub-sahariani e di quelli dell’America latina, fra i più poveri del pianeta, sta proprio nella ricchezza del territorio e della fauna e nell’incapacità – e dalle difficoltà provocate dalla liberalizzazione del mercato – di cui soffrono agricoltori, pescatori e allevatori e le rispettive famiglie, che costituiscono la maggior parte degli abitanti.

Se proprio vogliamo «mangiarci il Pianeta», ha concluso infine Harelimana, «una soluzione per il Rwanda potrebbe essere sostituire tante piante ornamentali con piante da frutto, in modo che si ristabilisca un equilibrio uomo-natura di reciproco scambio».

A chiusura della giornata sono poi state presentate alcune realtà paradigmatiche che da anni, in Piemonte – e non solo – lavorano per realizzare concretamente il cambiamento: tra queste, La luna nel cesto e i suoi progetti di agricoltura sociale per restituire dignità alla persona e aiutarla nel reinserimento nel mondo lavorativo, i “Gas” (Gruppi di acquisto solidale) ed il Commercio equo-solidale, che da trent’anni sostiene progetti di sviluppo dell’economia dei Paesi sottosviluppati.

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